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Definizione agevolata: ricorso inammissibile

Un contribuente, dopo aver perso in appello contro un avviso di accertamento e aver presentato domanda di definizione agevolata pagando la prima rata, ha proposto ricorso in Cassazione al solo fine di ottenere la declaratoria di estinzione del giudizio. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per carenza di interesse, affermando che tale condotta processuale frustra la finalità deflattiva della definizione agevolata. L’impugnazione è ammessa solo in caso di diniego della definizione da parte dell’Agenzia delle Entrate, da impugnare congiuntamente al diniego stesso.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Definizione Agevolata: Quando il Ricorso in Cassazione Diventa Inammissibile

L’istituto della definizione agevolata delle liti pendenti, introdotto dalla Legge n. 197 del 2022, offre ai contribuenti un’importante opportunità per chiudere i contenziosi con il Fisco. Tuttavia, le modalità procedurali per accedervi devono essere seguite con attenzione per non incorrere in errori che possono vanificare la strategia difensiva. Con l’ordinanza n. 15057/2024, la Corte di Cassazione ha chiarito un punto cruciale: presentare ricorso dopo aver aderito alla sanatoria, al solo fine di ottenere la declaratoria di estinzione, è una mossa processualmente errata che porta all’inammissibilità.

I Fatti del Caso: Dalla Sponsorizzazione Sportiva alla Lite Fiscale

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a una contribuente, titolare di un’attività commerciale, per l’anno d’imposta 2012. L’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di un ingente costo per la sponsorizzazione di un’associazione sportiva dilettantistica. Secondo l’amministrazione finanziaria, la deducibilità era limitata a una piccola percentuale dei ricavi, con conseguente recupero di maggiori imposte (IRPEF e IVA), sanzioni e interessi.

La contribuente impugnava l’atto, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado respingevano le sue ragioni, sostenendo la mancata prova del ritorno economico dell’investimento pubblicitario.

La Procedura di Definizione Agevolata e la Mossa del Contribuente

Di fronte alla sentenza di secondo grado sfavorevole e mentre i termini per l’impugnazione in Cassazione erano ancora aperti, la contribuente decideva di avvalersi della definizione agevolata prevista dalla Legge di Bilancio 2023. Presentava quindi la domanda e provvedeva al pagamento della prima rata.

Successivamente, però, notificava ricorso per cassazione non per contestare il merito della sentenza d’appello, ma con l’unico obiettivo di far dichiarare l’estinzione del giudizio per avvenuto perfezionamento della definizione agevolata. L’Agenzia delle Entrate, nel suo controricorso, pur confermando l’avvenuta presentazione della domanda di sanatoria, eccepiva la carenza di interesse della contribuente a ricorrere.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto l’eccezione dell’Agenzia, dichiarando il ricorso inammissibile. Il ragionamento dei giudici si fonda sulla ratio stessa della normativa sulla definizione agevolata, che è quella di deflazionare il contenzioso tributario.

I giudici hanno spiegato che la legge (in particolare il comma 200 dell’art. 1 della L. 197/2022) disciplina specificamente l’ipotesi in cui la domanda di definizione sia presentata in pendenza dei termini per l’impugnazione. In questo scenario, il contribuente non perde il diritto di impugnare, ma può esercitarlo solo a una precisa condizione: che l’Agenzia delle Entrate notifichi un provvedimento di diniego della definizione. Solo in quel caso, il contribuente ha interesse a impugnare la sentenza sfavorevole, ma deve farlo unitamente al diniego della definizione e entro 60 giorni dalla notifica di quest’ultimo.

Nel caso di specie, la contribuente non solo non aveva ricevuto alcun diniego, ma l’Agenzia stessa aveva confermato che la procedura di definizione si era perfezionata. Pertanto, l’interesse a ricorrere era venuto meno. Proporre un ricorso in Cassazione dopo aver già scelto la via della sanatoria e averne perfezionato i requisiti (domanda e pagamento) è una condotta che contraddice lo scopo della legge.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento offre un’importante lezione pratica per contribuenti e professionisti. L’adesione alla definizione agevolata è una scelta strategica che prevale sul giudizio pendente. Una volta che la definizione si è perfezionata con la domanda e il pagamento, gli effetti della transazione prevalgono su quelli di eventuali sentenze non ancora passate in giudicato. Non vi è, quindi, alcuna necessità né interesse a proseguire il giudizio per ottenerne una declaratoria di estinzione. L’unica ipotesi in cui l’interesse a impugnare sopravvive è quella del rigetto della domanda di sanatoria da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Diversamente, il ricorso è destinato a essere dichiarato inammissibile, con la sola conseguenza di una possibile condanna alle spese (in questo caso compensate per la novità della questione).

È possibile presentare ricorso in Cassazione al solo fine di far dichiarare l’estinzione del giudizio dopo aver aderito alla definizione agevolata?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che un simile ricorso è inammissibile per carenza di interesse, poiché la condotta processuale frustra la finalità deflattiva della procedura di definizione agevolata.

Cosa succede se un contribuente aderisce alla definizione agevolata mentre sono ancora aperti i termini per impugnare una sentenza sfavorevole?
Gli effetti della definizione, una volta perfezionata con la domanda e il pagamento, prevalgono sulla sentenza non ancora definitiva. Il termine per impugnare la sentenza è sospeso e il diritto di impugnazione può essere esercitato solo se l’Agenzia delle Entrate notifica un diniego della definizione.

In quali casi il contribuente mantiene l’interesse a impugnare una sentenza dopo aver chiesto la definizione agevolata?
L’interesse a impugnare la sentenza sfavorevole persiste solo nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate notifichi un provvedimento di diniego della domanda di definizione. In tale situazione, il contribuente può impugnare la sentenza unitamente al diniego, entro 60 giorni dalla notifica di quest’ultimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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