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Definizione agevolata: ricorso inammissibile

Una contribuente ha impugnato un avviso di accertamento per redditi da locazione parzialmente dichiarati. Durante il processo, ha aderito con successo a una definizione agevolata della lite, pagando quanto dovuto. Nonostante ciò, ha proseguito il ricorso in Cassazione. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di interesse, poiché la definizione agevolata aveva già estinto la materia del contendere, rendendo inutile la prosecuzione del giudizio.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Definizione agevolata: quando la scelta di chiudere la lite rende il ricorso inutile

La scelta di aderire a una definizione agevolata di una lite fiscale è una decisione strategica con conseguenze processuali definitive. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione chiarisce che, una volta perfezionata la procedura di definizione, il contribuente perde l’interesse a proseguire il giudizio, anche se questo è ancora pendente. Analizziamo insieme questo caso emblematico e il principio di diritto che ne scaturisce.

I fatti del caso

Una contribuente riceveva un avviso di accertamento dall’Amministrazione Finanziaria relativo all’anno d’imposta 2012. La contestazione riguardava la parziale dichiarazione di redditi derivanti da canoni di locazione: a fronte di 15.274,00 euro accertati, ne erano stati dichiarati solo 8.221,00.

La contribuente, dopo il rigetto di un’istanza in autotutela, impugnava l’atto impositivo. Tuttavia, i suoi ricorsi venivano respinti sia dalla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) che dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR). Tra i motivi di appello, la contribuente lamentava una presunta violazione del principio del ne bis in idem (divieto di essere processati due volte per lo stesso fatto), sostenendo di aver già subito un accertamento sulla medesima dichiarazione, sebbene per motivi diversi (recupero di detrazioni per spese sanitarie).

La richiesta di definizione agevolata e le sue conseguenze

Il punto di svolta della vicenda avviene quando, con il giudizio pendente, la contribuente presenta, in data 31 maggio 2019, domanda di definizione agevolata della lite, ai sensi dell’art. 6 del D.L. n. 119/2018. L’Amministrazione Finanziaria accoglieva la domanda e la contribuente iniziava a versare regolarmente le rate previste.

Nonostante ciò, il giudizio d’appello proseguiva, concludendosi con una sentenza sfavorevole alla contribuente depositata il 20 ottobre 2020. A questo punto, la contribuente decideva di presentare ricorso per cassazione.

L’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse

La Corte di Cassazione, investita della questione, dichiara il ricorso inammissibile. Il motivo non risiede nel merito delle contestazioni, ma in una questione procedurale fondamentale: il difetto di interesse a ricorrere.

La Corte osserva che la definizione agevolata si è perfezionata con la presentazione della domanda e il pagamento della prima rata, ben prima della pronuncia della sentenza d’appello. Questo perfezionamento ha l’effetto di estinguere il giudizio “ex lege”, ovvero per diretta previsione di legge. Di conseguenza, nel momento in cui la contribuente ha proposto ricorso in Cassazione, non aveva più alcun interesse giuridicamente rilevante a ottenere una pronuncia, poiché la controversia era già stata chiusa attraverso la procedura di definizione.

Il principio di diritto enunciato dalla Corte

La Suprema Corte cristallizza questo concetto in un chiaro principio di diritto: “Difetta di interesse ad impugnare il contribuente che ricorra per cassazione avverso una sentenza sfavorevole d’appello deliberata dopo la tempestiva e regolare proposizione – con conseguente accettazione da parte dell’Amministrazione – di istanza di definizione agevolata ex art. 6 d.l. n. 119 del 2018, essendosi il giudizio estinto ‘ex lege’ per effetto dell’intervenuto perfezionamento della definizione”.

Le motivazioni della decisione

La motivazione della Corte si basa sulla natura stessa della definizione agevolata, che rappresenta una scelta del contribuente di chiudere definitivamente la controversia. Una volta che questa scelta viene formalizzata e accettata, con il relativo pagamento, la lite si estingue. Qualsiasi attività processuale successiva diventa priva di scopo. Il fatto che l’avviso di accertamento non fosse stato formalmente sospeso è irrilevante, poiché l’effetto estintivo della definizione prevale. Proseguire il giudizio significherebbe sprecare risorse giudiziarie per una questione già risolta in via amministrativa. La decisione della CTR, essendo intervenuta quando il giudizio era già di fatto estinto, è da considerarsi tamquam non esset, cioè come se non fosse mai esistita.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per i contribuenti e i loro consulenti. L’adesione a una definizione agevolata è un atto che pone fine alla controversia in modo tombale. Non è possibile percorrere contemporaneamente due strade: quella della conciliazione e quella del contenzioso. La scelta di definire la lite implica la rinuncia a far valere le proprie ragioni in sede giudiziale. Pertanto, prima di presentare domanda di definizione, è fondamentale valutare attentamente le probabilità di successo del ricorso, poiché una volta intrapresa la via della definizione, non si può più tornare indietro.

Presentare domanda di definizione agevolata blocca un ricorso in Cassazione?
Sì, secondo la Corte, se la domanda di definizione agevolata viene presentata e perfezionata (con l’accettazione e il pagamento), il giudizio si estingue ‘ex lege’. Di conseguenza, un successivo ricorso per cassazione è inammissibile per difetto di interesse, poiché la lite è già stata risolta.

Cosa significa ‘difetto di interesse ad impugnare’ in questo contesto?
Significa che il contribuente, avendo già chiuso la controversia tramite la definizione agevolata, non ha più alcun vantaggio concreto da ottenere da una eventuale sentenza favorevole della Cassazione. La prosecuzione del giudizio è quindi inutile.

La mancata sospensione dell’avviso di accertamento influisce sulla validità della definizione agevolata?
No. La Corte ha specificato che la mancata sospensione dell’atto impositivo è irrilevante. L’effetto estintivo del giudizio deriva direttamente dal perfezionamento della definizione agevolata, che prevale su ogni altra circostanza processuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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