Definizione Agevolata: Quando l’Adesione Rende Inammissibile il Ricorso
L’adesione a una definizione agevolata durante un contenzioso tributario può avere conseguenze decisive sull’esito del processo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione illustra come la dichiarazione di aver aderito a una sanatoria fiscale, se non supportata da adeguata documentazione, possa portare a una declaratoria di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, anziché alla richiesta cessazione della materia del contendere. Analizziamo insieme questo interessante caso.
I Fatti di Causa
La vicenda trae origine da un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società in accomandita semplice per l’anno d’imposta 2006. L’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di alcuni componenti negativi di reddito. Di conseguenza, un accertamento veniva notificato anche a una delle socie, la quale decideva di impugnarlo dinanzi al giudice tributario.
Il giudizio di primo grado si concludeva con un esito parzialmente favorevole alla contribuente, decisione poi confermata in appello. Non soddisfatta, la socia proponeva ricorso per cassazione. La controversia sembrava destinata a seguire il suo corso, fino a un colpo di scena avvenuto in prossimità dell’udienza finale.
La Dichiarazione di Adesione alla Definizione Agevolata e le Sue Conseguenze
Prima dell’udienza di discussione, la parte ricorrente depositava una memoria con cui dichiarava di aver aderito alla procedura di definizione agevolata prevista dal decreto-legge n. 119 del 2018. Con tale atto, chiedeva alla Corte di dichiarare la cessazione della materia del contendere, ovvero la fine del processo per avvenuta risoluzione della controversia al di fuori delle aule di giustizia.
Questa mossa, tuttavia, non ha prodotto l’effetto sperato. La Corte di Cassazione ha dovuto valutare le conseguenze processuali di tale dichiarazione in assenza di un elemento fondamentale: la prova documentale del perfezionamento della procedura.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
I giudici della Suprema Corte hanno affrontato la questione in via pregiudiziale, ovvero prima di entrare nel merito dei motivi del ricorso. Hanno osservato che, sebbene la contribuente avesse chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere, non aveva fornito alcuna documentazione che attestasse la regolarità e l’effettivo completamento della procedura di definizione agevolata.
Secondo la Corte, in assenza di tale riscontro documentale, l’istanza presentata dalla parte non poteva essere accolta come richiesta di terminare il giudizio per avvenuta transazione. Piuttosto, essa è stata interpretata come una dichiarazione implicita di non avere più interesse alla prosecuzione del ricorso. In termini tecnici, si è verificata una “sopravvenuta carenza di interesse al giudizio”. Quando una parte processuale perde interesse alla decisione, il suo ricorso non può più essere esaminato nel merito e deve essere dichiarato inammissibile.
Inoltre, la Corte ha deciso di non pronunciarsi sulle spese legali. La ragione risiede nel fatto che l’Avvocatura Generale dello Stato, pur costituita in giudizio, non aveva svolto un’attività difensiva sostanziale, limitandosi a una presenza formale. Pertanto, non vi era luogo a una condanna alle spese.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Contribuenti
La decisione offre un’importante lezione pratica: quando si aderisce a una sanatoria fiscale con un processo in corso, non è sufficiente comunicarlo al giudice. È essenziale fornire la prova documentale che la procedura si è conclusa regolarmente. In caso contrario, il rischio è che il ricorso venga dichiarato inammissibile per carenza di interesse, una pronuncia che, pur definendo il giudizio, ha una natura prettamente processuale e non certifica la risoluzione della lite nel merito. Questa ordinanza sottolinea quindi l’importanza di una gestione attenta e documentata dei rapporti tra procedure di definizione agevolata e contenziosi pendenti.
Cosa succede se un contribuente dichiara di aderire a una definizione agevolata durante un processo in Cassazione?
Se la dichiarazione non è accompagnata da prove documentali che attestino il perfezionamento della procedura, la Corte può interpretarla come una sopravvenuta carenza di interesse a proseguire il giudizio e dichiarare il ricorso inammissibile.
Perché la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile invece di dichiarare la cessazione della materia del contendere?
La cessazione della materia del contendere richiede la prova che la lite sia stata effettivamente risolta. In assenza di documentazione sulla regolarità della definizione agevolata, la Corte ha ritenuto che mancasse tale prova, qualificando l’istanza della parte come una semplice perdita di interesse alla decisione.
In questo caso sono state addebitate le spese legali alla parte ricorrente?
No, la Corte ha deciso di non pronunciarsi sulle spese poiché la parte resistente (l’Avvocatura Generale dello Stato) non aveva svolto un’attività difensiva sostanziale che giustificasse una condanna al rimborso dei costi.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5897 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5897 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21507/2016 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, con l’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-resistente- sopravvenuta carenza di interesse al ricorso per definizione agevolata
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO – SEZ. DIST. LATINA n. 899/2016 depositata il 19/02/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE, esercente attività di intermediazione nel commercio di vari prodotti senza prevalenza alcuna, era attinta da avviso di accertamento sull’anno d’imposta 2006, con recupero a tassazione di componenti negativi del reddito ritenuti non deducibili. Conseguente avviso di accertamento era emesso nei confronti della socia COGNOME NOME, che adiva il giudice di prossimità, rappresentando nel proprio ricorso gli stessi argomenti fatti valere dalla società predetta.
La sentenza di primo grado era parzialmente favorevole alla parte contribuente e veniva confermata in appello. Donde ricorre per cassazione la socia COGNOME NOME affidandosi a due motivi, mentre l’Avvocatura generale dello Stato si è riservata di spiegare difesa in pubblica udienza.
Con memoria depositata in prossimità dell’adunanza la parte contribuente ha dichiarato di aver aderito alla procedura di definizione agevolata di cui al decreto-legge numero 119 del 2018 ed ha chiesto dichiararsi la cessazione della materia del contendere.
CONSIDERATO
Vengono proposti due motivi di ricorso.
In via pregiudiziale di rito deve essere esaminata la dichiarazione di definizione agevolata con richiesta di dichiarazione di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere.
In assenza di riscontro documentale sulla regolarità della procedura di definizione agevolata, l’istanza di parte vale quale dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse al giudizio, cui segue l’inammissibilità del ricorso.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva sostanziale del Patrono di parte pubblica.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in Roma, il 19/02/2024.