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Definizione agevolata: quando il Fisco perde il ricorso

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso in cui una società e i suoi soci, dopo aver ricevuto otto avvisi di accertamento, hanno aderito alla definizione agevolata per sette di essi. L’Agenzia delle Entrate ha proseguito il ricorso per l’unico avviso non sanato. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando che il Fisco non può emettere nuovi accertamenti basati su elementi già in suo possesso. Gli altri motivi di ricorso sono stati dichiarati inammissibili per carenza di interesse, essendo la lite estinta dalla definizione agevolata.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Definizione agevolata: come una sanatoria parziale chiude la porta al Fisco

L’adesione a una definizione agevolata può cambiare le sorti di un contenzioso tributario, anche quando questo è già arrivato in Cassazione. Con una recente ordinanza, la Suprema Corte ha chiarito gli effetti di una sanatoria parziale, rigettando il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e ribadendo importanti principi sulla legittimità degli accertamenti fiscali. Il caso in esame riguarda una società e i suoi soci, destinatari di ben otto avvisi di accertamento, che hanno scelto di definire la propria posizione per la quasi totalità delle pretese, lasciando aperta la contesa solo per un atto. Vediamo come si è risolta la vicenda.

I Fatti del Caso: Accertamenti Multipli e la Scelta della Sanatoria

Una società a responsabilità limitata e i suoi due soci si sono visti notificare otto avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2010 e 2011. Le pretese del Fisco derivavano da due distinti Processi Verbali di Constatazione (PVC): il primo basato su una verifica contabile e il secondo su accertamenti bancari. Gli avvisi alla società comportavano, a cascata, accertamenti per maggior reddito da partecipazione anche a carico dei soci.

I contribuenti hanno impugnato tutti gli atti. La Commissione Tributaria Provinciale prima, e quella Regionale poi, hanno dato parzialmente ragione ai ricorrenti, annullando alcuni degli avvisi emessi nel 2015 perché considerati una duplicazione di quelli notificati nel 2014, non essendo basati su elementi probatori nuovi.

Mentre il contenzioso pendeva in Cassazione a seguito del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, i contribuenti hanno presentato istanza di definizione agevolata per tutte le controversie. La procedura è andata a buon fine per sette degli otto avvisi, mentre per l’ultimo è stata respinta per insufficiente versamento. La lite è quindi proseguita solo per quest’ultimo atto impositivo.

La Decisione della Corte: la Definizione Agevolata e l’inammissibilità parziale

La Corte di Cassazione ha innanzitutto preso atto della definizione agevolata intervenuta. Di conseguenza, ha dichiarato inammissibili per carenza di interesse tutti i motivi del ricorso dell’Agenzia delle Entrate che riguardavano gli avvisi ormai sanati. Se la lite è estinta, infatti, non c’è più alcun interesse a ottenere una pronuncia nel merito.

L’attenzione si è quindi concentrata sull’unico avviso rimasto in piedi. La Corte ha esaminato e rigettato i motivi di ricorso del Fisco, confermando la decisione della Commissione Tributaria Regionale. La sentenza di secondo grado, secondo i giudici di legittimità, aveva costruito un percorso logico-giuridico chiaro e comprensibile, immune da vizi.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto infondati i primi tre motivi del ricorso. Il punto centrale della motivazione risiede nel confermare il ragionamento del giudice d’appello, secondo cui l’Ufficio non può notificare un secondo avviso di accertamento basandosi su elementi (in questo caso, il secondo PVC) che erano già a sua disposizione al momento dell’emissione del primo. Un simile comportamento viola il principio che vieta la doppia imposizione e l’emissione di atti impositivi non supportati da elementi di novità.

Il percorso argomentativo della sentenza impugnata è stato giudicato “comprensibile e completo”. Per questo motivo, non sussisteva la denunciata nullità della sentenza. Gli altri motivi di ricorso, relativi alla presunta distribuzione di utili ai soci e ad altre questioni connesse agli avvisi del 2015, sono stati dichiarati inammissibili. Essendo quelle pretese fiscali state oggetto di una definizione agevolata andata a buon fine, l’Agenzia delle Entrate non aveva più interesse a proseguire il giudizio su quei punti, poiché la materia del contendere era cessata.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti spunti di riflessione per i contribuenti e i professionisti del settore. In primo luogo, conferma la grande utilità degli strumenti di definizione agevolata: essi permettono di chiudere le liti pendenti in modo tombale, facendo venir meno l’interesse delle parti a una decisione nel merito. In secondo luogo, ribadisce un principio fondamentale a tutela del contribuente: il Fisco deve esercitare il proprio potere impositivo in un’unica soluzione, sulla base di tutti gli elementi di cui dispone. Non può “rateizzare” gli accertamenti o emettere nuovi atti sulla base di informazioni già note, a meno che non emergano fatti genuinamente nuovi, a garanzia della certezza dei rapporti giuridici.

L’Agenzia delle Entrate può emettere un nuovo avviso di accertamento se possedeva già tutte le informazioni necessarie?
No. La Corte ha confermato che i successivi avvisi di accertamento sono illegittimi se non si fondano su elementi nuovi e diversi, non disponibili al momento dell’emissione del primo atto. Agire diversamente viola il principio del divieto di doppia imposizione.

Cosa accade a un ricorso in Cassazione se il contribuente aderisce con successo alla definizione agevolata?
La lite relativa agli atti sanati si estingue. Di conseguenza, i motivi di ricorso che riguardano tali atti vengono dichiarati inammissibili per cessata materia del contendere e carenza di interesse, e il processo prosegue solo per gli eventuali atti non coperti dalla sanatoria.

Perché alcuni motivi del ricorso del Fisco sono stati dichiarati inammissibili?
Sono stati dichiarati inammissibili per “difetto di interesse”. Poiché gli avvisi di accertamento a cui si riferivano erano stati sanati tramite la definizione agevolata, non esisteva più una controversia attiva su cui la Corte potesse pronunciarsi, rendendo di fatto inutile l’esame di quei motivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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