LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Definizione agevolata: quando è ammessa?

Un contribuente, ritenuto coobbligato per un debito IVA di un’associazione sportiva, ha impugnato un’intimazione di pagamento chiedendo di accedere alla definizione agevolata. La Cassazione ha stabilito che la definizione agevolata è applicabile solo agli atti impositivi. Se il contribuente ha già ricevuto una valida notifica dell’avviso di accertamento (atto presupposto), la successiva intimazione di pagamento è un mero atto riscossivo e non può essere oggetto di condono. La Corte ha rinviato il caso al giudice di merito per verificare la regolarità della prima notifica, passaggio cruciale per determinare la natura dell’atto impugnato.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Definizione Agevolata delle Liti: La Cassazione Fissa i Paletti

La definizione agevolata delle liti pendenti, comunemente nota come “pace fiscale”, è uno strumento che offre ai contribuenti l’opportunità di chiudere i contenziosi con il Fisco a condizioni vantaggiose. Tuttavia, non tutte le controversie possono beneficiare di questo strumento. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’ammissibilità al condono dipende dalla natura dell’atto impugnato. Vediamo nel dettaglio cosa ha stabilito la Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Dall’Avviso di Accertamento alla Richiesta di Condono

Il caso esaminato riguardava un contribuente che aveva ricevuto un avviso di iscrizione ipotecaria e un’intimazione di pagamento per un debito IVA relativo al 2007, originariamente contestato a un’associazione sportiva dilettantistica di cui era considerato coobbligato in solido. Il contribuente aveva impugnato questi atti, sostenendo di non aver mai ricevuto l’avviso di accertamento originario (l’atto presupposto) e chiedendo di poter accedere alla definizione agevolata prevista dalla legge.

La Commissione tributaria regionale aveva dato ragione al contribuente, ritenendo illegittimo il diniego alla definizione agevolata, proprio perché la mancata notifica dell’atto presupposto gli avrebbe impedito di contestare la propria responsabilità fin dall’inizio. L’Agenzia delle Entrate ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Questione Giuridica sulla Definizione Agevolata

Il cuore della controversia verteva sull’interpretazione dell’art. 6 del D.L. n. 119 del 2018. La legge ammette alla definizione agevolata le liti aventi ad oggetto “atti impositivi”. La domanda cruciale era: un’intimazione di pagamento, che è tipicamente un atto di riscossione, può essere considerata un atto impositivo e quindi rientrare nel perimetro del condono?

La risposta, secondo la giurisprudenza consolidata, è che un atto meramente riscossivo può assumere natura di atto impositivo solo se costituisce il primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale viene comunicata al contribuente. Se, invece, è stato preceduto da una valida notifica dell’atto presupposto (come un avviso di accertamento), esso rimane un semplice strumento di riscossione, escluso dalla definizione agevolata.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza regionale. I giudici di legittimità hanno sottolineato che la Commissione tributaria regionale ha commesso un errore fondamentale: ha dato per scontato che la contestazione della notifica fosse sufficiente per ammettere il contribuente alla definizione agevolata, senza però svolgere l’indagine cruciale sulla validità effettiva di quella notifica.

Secondo la Cassazione, il giudice di merito avrebbe dovuto verificare concretamente se l’avviso di accertamento originario fosse stato regolarmente notificato al contribuente. Solo in caso di notifica invalida o omessa, l’intimazione di pagamento successiva avrebbe potuto essere considerata come il primo atto con cui il contribuente veniva a conoscenza della pretesa, acquisendo così natura impositiva e diventando suscettibile di definizione agevolata.

La Corte ha inoltre richiamato un suo precedente (sentenza n. 11869/2024), relativo a un caso analogo tra le stesse parti, in cui era stato accertato che l’avviso di accertamento era stato regolarmente notificato “personalmente” al contribuente. Di conseguenza, l’intimazione di pagamento non poteva che essere un atto puramente riscossivo, impugnabile solo per vizi propri e non ammissibile al condono fiscale.

Conclusioni: L’Importanza della Prima Notifica

La decisione della Suprema Corte riafferma un principio chiaro e di grande importanza pratica. L’accesso alla definizione agevolata non è automatico per tutti gli atti impugnati, ma è strettamente legato alla loro natura giuridica. La distinzione tra atto impositivo e atto riscossivo è determinante. Per i contribuenti, ciò significa che la possibilità di definire una lite in modo agevolato dipende in modo cruciale dal momento in cui sono venuti a conoscenza della pretesa fiscale. Il giudice, dal canto suo, ha il dovere di accertare con rigore la validità della prima notifica prima di decidere sull’ammissibilità al beneficio, poiché da questa verifica dipende l’intera qualificazione della controversia.

Quando una controversia tributaria può essere ammessa alla definizione agevolata?
Secondo la Corte, la definizione agevolata è applicabile ai soli giudizi che hanno ad oggetto atti impositivi, ovvero i primi atti con cui l’amministrazione finanziaria comunica la pretesa fiscale al contribuente.

Un atto di riscossione, come un’intimazione di pagamento, può rientrare nella definizione agevolata?
Generalmente no. Tuttavia, un atto di riscossione può essere ammesso alla definizione agevolata solo se costituisce il primo e unico atto attraverso cui il contribuente viene a conoscenza della pretesa fiscale, a causa della mancata o invalida notifica dell’atto impositivo presupposto (es. l’avviso di accertamento).

Cosa deve fare il giudice se un contribuente contesta la notifica dell’atto presupposto e chiede la definizione agevolata?
Il giudice ha il dovere di verificare in concreto la regolarità e la validità della notifica dell’atto presupposto. Questa indagine è necessaria per stabilire se l’atto successivamente impugnato (es. intimazione di pagamento) sia un mero atto riscossivo (escluso dal beneficio) o un atto impositivo (ammesso al beneficio).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati