Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5755 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5755 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME FILIPPO
Data pubblicazione: 04/03/2024
Oggetto: tributi -definizione agevolata -accertamenti definitivi -inammissibilità – giudizio di merito – funzionario spese processuali
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7677/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME ( C.F. CODICE_FISCALE) e dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE) in virtù di procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliato presso i loro domicili digitali (PEC) EMAIL e EMAIL
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura
Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-intimato -avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Calabria, n. 2036/01/20, depositata in data 16 settembre 2020 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 febbraio 2014 dal Consigliere Relatore NOME COGNOME .
RILEVATO CHE
Il contribuente COGNOME NOME ha impugnato una intimazione di pagamento, la quale riguardava un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2008, oggetto di impugnazione da parte del contribuente ma divenuto definitivo per mancata riassunzione in sede di giudizio di rinvio, a seguito del quale si era proceduto a iscrivere l’intero importo a ruolo a termini dell’art. 68, comma 1, lett. c-bis) d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo periodo. Il ricorrente ha dedotto, per quanto qui ancora rileva, che non avrebbe trovato applicazione la suddetta disposizione e che, in ogni caso, il contribuente si era avvalso della definizione agevolata di cui all’art. 10, comma 10 , d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, in quanto nelle more del giudizio di primo grado il contribuente si era avvalso della stessa.
La CTP di Vibo Valentia ha rigettato il ricorso.
La CTR della Calabria, con sentenza qui impugnata, ha rigettato l’appello del contribuente. Ha ritenuto il giudice di appello -per quanto qui ancora rileva -che non trova applicazione nel caso di specie la definizione agevolata, non vertendosi nella specie in tema di atti impositivi, bensì di atti di mera riscossione. Nel merito, il giudice di appello ha ritenuto che la mancata riassunzione comporta estinzione del giudizio, con conseguente definitività della pretesa impositiva, anche in caso di sentenz e di merito sfavorevoli all’Ufficio.
Propone ricorso per cassazione il contribuente, affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso l’Ufficio.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 6, commi 10 e 12, d.l. n. 119/2018, per essere la sentenza stata emessa durante il periodo di sospensione indotto dall’adesione del contribuente alla menzionata definizione agevolata. Osserva, inoltre, parte ricorrente che nella definizione di atti impositivi debba ricomprendersi qualsiasi atto che attenga alla pretesa impositiva.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 63, comma 2 e 68, comma 1, lett. cbis , d. lgs. n. 546/1992, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l’intimazione di pagamento impugnata sia legittima, deducendo nullità della sentenza per avere disatteso la questione di legittimità costituzionale senza motivazione.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., nella parte in cui il giudice di appello ha condannato il contribuente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, nonostante l’RAGIONE_SOCIALE si sia difesa attraverso funzionari del proprio ufficio legale.
Il primo motivo è infondato sia nella parte in cui si deduce la nullità della sentenza per essersi il giudice di appello pronunciato sulla controversia senza tenere conto della sospensione indotta dalla presentazione della domanda di definizione agevolata, sia nella parte in cui deduce che all’impugnazione dell’intimazione di pagamento possa applicarsi la definizione agevolata di cui all’art. 6, commi 10 e 12, d.l. n. 119/2018. E’ accertato che l’intimazione di pagamento è
stata emessa a fronte della definitività di un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2008, derivante dalla omessa riassunzione del giudizio di rinvio, attesa la natura impugnatoria del giudizio tributario che comporta, per effetto dell’omessa o tardiva riassunzione del giudizio di rinvio e della conseguente estinzione dell’intero procedimento, la definitività del provvedimento impositivo impugnato (Cass., Sez. V, 7 giugno 2023, n. 16002). Ne consegue che la pretesa dell’amministrazione fina nziaria doveva ritenersi definitiva, per cui non è esperibile la definizione agevolata di cui all’art. 6 d.l. n. 119/2018, non essendo più la controversia pendente (Cass., Sez. V, 21 febbraio 2023, n. 5373), trattandosi di controversia relativa a un atto che si esaurisce nell’intimazione al versamento della somma dovuta in base ad una pretesa fiscale ormai definitiva che non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo (Cass., Sez. V, 4 dicembre 2013, n. 27163). Parimenti, il giudice di appello correttamente si è pronunciato sul merito della pretesa impositiva, essendo la definizione agevolata, nella specie, inammissibile.
5. Il secondo motivo è inammissibile per difetto di specificità, nonché per difetto di argomentazioni a sostegno della dedotta nullità della sentenza. Il motivo è, inoltre, inammissibile nella parte in cui censura il rigetto, peraltro implicito, della questione di costituzionalità, in quanto -in disparte l’inammissibilità del motivo anche sotto tale profilo per omessa indicazione dei parametri costituzionali che sarebbero stati dedotti davanti al giudice del merito -non può costituire motivo di ricorso per cassazione la valutazione negativa che il giudice di merito abbia fatto circa la rilevanza e la manifesta infondatezza di una questione di legittimità costituzionale, perché il relativo provvedimento ha carattere puramente ordinatorio e, d’altra parte, la stessa questione può essere riproposta in ogni grado di giudizio (Cass., Sez. II, 16 aprile 2018, n. 9284).
Il terzo motivo è infondato, posto che nel processo tributario, alla parte pubblica assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite spetta la liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti (Cass., Sez. V, 11 ottobre 2021, n. 27634; Cass., Sez. V, 17 settembre 2019, n. 23055; Cass., Sez. V, 23 novembre 2011, n. 24675). Tale principio riposa su una espressa norma di legge, inestensibile ad altri casi in cui in giudizio sia presente una amministrazione pubblica (v. Cass., Sez. II, 4 agosto 2023, n. 23825), quale è nel caso di specie l’art. 15, comma 2-sexies, d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass., Sez. V, 17 gennaio 2024, n. 1879).
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali in favore della controricorrente, che liquida in complessivi € 2.400,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 27 febbraio 2024