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Definizione agevolata: no al 5% con vittoria parziale

Un contribuente, dopo una vittoria solo parziale nei primi gradi di giudizio contro un accertamento fiscale, ha richiesto la definizione agevolata versando il 5% del valore della lite. L’Agenzia delle Entrate ha negato la richiesta e la Corte di Cassazione ha confermato la decisione, specificando che la percentuale ridotta del 5% per la definizione agevolata si applica solo in caso di soccombenza totale e ininterrotta dell’Amministrazione Finanziaria. Una vittoria parziale iniziale esclude l’accesso a tale beneficio, richiedendo un calcolo differente. La Corte ha inoltre rigettato il ricorso originario dell’Agenzia, confermando la decisione di merito a favore del contribuente.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Definizione Agevolata delle Liti: La Cassazione e la Regola del 5% in caso di Vittoria Parziale

La definizione agevolata delle controversie tributarie rappresenta un’importante opportunità per chiudere i contenziosi con il Fisco. Tuttavia, le norme che la regolano richiedono un’applicazione rigorosa, come dimostra una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Il caso in esame chiarisce un punto fondamentale: il calcolo dell’importo da versare cambia drasticamente a seconda dell’esito dei precedenti gradi di giudizio, e una vittoria solo parziale del contribuente preclude l’accesso alla percentuale di pagamento più bassa.

I Fatti del Caso: Dall’Accertamento al Doppio Ricorso in Cassazione

La vicenda ha origine da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava a un contribuente maggiori imposte per oltre 1,5 milioni di euro, a seguito di movimentazioni su conti correnti esteri non giustificate. Il contribuente impugnava l’atto e otteneva un parziale accoglimento in primo grado, con l’annullamento delle riprese fiscali oggetto della controversia. La decisione veniva poi confermata in appello dalla Commissione Tributaria Regionale.

L’Agenzia delle Entrate, non rassegnandosi alla sconfitta, proponeva ricorso per cassazione. Nelle more del giudizio di legittimità, il contribuente presentava istanza di definizione agevolata, convinto di poter beneficiare della norma più favorevole (pagamento del 5% del valore della lite), in virtù della doppia soccombenza dell’Agenzia nei gradi di merito.

L’Ufficio, però, respingeva l’istanza, sostenendo che l’importo versato era insufficiente. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, il caso non rientrava nell’ipotesi di soccombenza totale, poiché la vittoria del contribuente in primo grado era stata solo parziale. Il contribuente impugnava quindi anche il provvedimento di diniego, portando di fatto due questioni distinte all’attenzione della Suprema Corte.

La Questione sulla Definizione Agevolata: Quando si Applica il 5%?

Il nodo cruciale del ricorso contro il diniego della sanatoria era l’interpretazione dell’articolo 6 del D.L. n. 119/2018. Il contribuente sosteneva l’applicabilità del comma 2-ter, che consente di definire le liti pendenti in Cassazione con il versamento del solo 5% del valore quando l’Agenzia delle Entrate è risultata soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio.

L’Amministrazione Finanziaria, al contrario, riteneva applicabile il comma 2-bis, che disciplina i casi di accoglimento parziale del ricorso. Questa norma prevede un calcolo più complesso, basato sulla distinzione tra la parte di atto confermata e quella annullata, con percentuali diverse applicate a quest’ultima. La corretta individuazione della norma applicabile era quindi determinante per la validità della procedura di definizione.

le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha esaminato separatamente le due questioni, giungendo a conclusioni nette su entrambe.

Prima di tutto, ha rigettato il ricorso del contribuente avverso il diniego della definizione agevolata. I giudici hanno chiarito che la norma che prevede il pagamento del 5% (comma 2-ter) ha carattere eccezionale e si applica solo nell’ipotesi di una soccombenza integrale e ininterrotta dell’Agenzia delle Entrate. Nel caso di specie, l’originario ricorso del contribuente era stato accolto solo in parte in primo grado. Sebbene quella parte fosse poi stata oggetto di conferma in appello, la vittoria iniziale non era totale. Di conseguenza, la fattispecie corretta era quella dell’accoglimento parziale, regolata dal comma 2-bis. Il calcolo effettuato dal contribuente era quindi errato e il diniego dell’Ufficio legittimo. La Corte ha inoltre precisato che non sussiste alcun obbligo per l’Amministrazione di consentire al contribuente di integrare il pagamento o correggere la domanda in caso di errore.

Successivamente, la Corte ha esaminato e rigettato anche il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate sull’accertamento originario. L’Agenzia lamentava la violazione delle norme sulle presunzioni legali derivanti da indagini finanziarie. Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto il motivo inammissibile. La Commissione Tributaria Regionale aveva accertato, in fatto, che l’atto impositivo non si basava su indagini bancarie sui conti del contribuente, ma esclusivamente su dati rinvenuti nella contabilità di un terzo soggetto, senza che fosse stato provato un collegamento funzionale. Criticare questa ricostruzione significava chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare la quaestio facti, un’operazione che esula dai suoi poteri. La motivazione della sentenza d’appello è stata inoltre ritenuta sufficiente e non meramente apparente.

le conclusioni

L’ordinanza offre due importanti insegnamenti. Il primo riguarda la definizione agevolata: le condizioni per accedere ai benefici vanno interpretate con estremo rigore. Una vittoria ‘sostanziale’ ma non ‘totale’ fin dal primo grado impedisce l’applicazione delle percentuali più favorevoli. I contribuenti e i loro consulenti devono quindi prestare la massima attenzione nel calcolare gli importi dovuti, poiché un errore può comportare la perdita definitiva del beneficio. Il secondo insegnamento ribadisce i confini del giudizio di legittimità: la Corte di Cassazione non è un terzo grado di merito e non può rimettere in discussione l’accertamento dei fatti operato dai giudici precedenti, a meno che la loro motivazione non sia palesemente illogica o inesistente.

È possibile accedere alla definizione agevolata con il pagamento del 5% se l’Agenzia delle Entrate ha perso nei primi due gradi di giudizio?
No, non necessariamente. La Corte di Cassazione ha chiarito che il versamento ridotto al 5% è consentito solo se la soccombenza dell’Agenzia delle Entrate è stata totale in tutti i precedenti gradi di giudizio. Se la vittoria del contribuente in primo grado è stata solo parziale, questa condizione non è soddisfatta e si devono applicare altre percentuali di calcolo.

Se un contribuente sbaglia a calcolare l’importo per la definizione agevolata, ha diritto a correggere l’errore?
No. Secondo la sentenza, in assenza di una specifica disposizione di legge che lo consenta, un versamento insufficiente a causa di un errato calcolo comporta il rigetto dell’istanza. L’Amministrazione Finanziaria non è tenuta a concedere al contribuente la possibilità di integrare il pagamento o di emendare la domanda.

Può la Corte di Cassazione riesaminare i fatti accertati da un giudice di merito?
No. La Corte di Cassazione giudica solo la corretta applicazione delle norme di diritto (quaestio iuris), non può entrare nel merito dei fatti (quaestio facti). Nel caso specifico, ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso dell’Agenzia perché si basava su una premessa fattuale (l’esistenza di indagini finanziarie) che era stata esclusa dai giudici di merito, la cui ricostruzione non poteva essere messa in discussione in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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