Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9718 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9718 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
Corte, prendendo atto dell’istanza di definizione agevolata della lite presentata dal contribuente ai sensi dell’art. 5 della legge 31 agosto 2022, n. 130 e del provvedimento di improcedibilità di detta istanza adottata dal Comune di Pistoia, ha rinviato la causa a nuovo ruolo onde procedere all’esame congiunto del presente ricorso con l’eventuale impugnazione del provvedimento di diniego opposto dall’ente alla predetta istanza.
3.4. Con ricorso notificato in data 16 marzo 2023, depositato il 25 marzo 2023, il contribuente ha impugnato il provvedimento n. 9178 del 20 gennaio 2023 , con cui il Comune di Pistoia ha negato ingresso all’istanza di definizione agevolata della lite; l’ente territoriale ha resistito con controricorso depositato il 21 aprile 2023.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ragioni evidenti di priorità logico-giuridica impongono di trattare prima l’impugnazione contro il provvedimento di diniego.
Sull’impugnativa avverso il provvedimento di diniego –
Il Comune di Pistoia non ha dato seguito alla suindicata istanza di definizione agevolata della lite, ritenendo che, per gli enti territoriali, dal tenore dell’art. 5, comma 15, della legge 31 agosto 2022, n. 130 (che, nel rispetto dell’autonomia fissata dai principi costituzionali, rinvia espressamente alle «forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti») si ricava il principio per cui l’estensione dell’istituto di definizione agevolata alle controversie in cui gli stessi siano parte sia una facoltà (e non un obbligo) riservata alla regolamentazione locale, facoltà questa che la controricorrente non ha inteso esercitare.
1.1. Il ricorrente ha impugnato il diniego per violazione e falsa applicazione della predetta disposizione, anche in relazione ai principi dell’art. 12 disposizioni preliminari al codice civile, assumendo che il legislatore non ha attribuito agli enti territoriali la facoltà discrezionale di scegliere se applicare o meno la definizione agevolata, disponendo, al contrario, con indicazione esplicita, che gli enti territoriali adottano le disposizioni applicative nell’ambito della loro competenza amministrativa, aggiungendo che il provvedimento del Comune che ha negato la definizione agevolata non è sostenuto da valide motivazioni e non allega gli atti ai quali fa riferimento, con eccesso di potere, quindi, per errore nei presupposti di diritto, carenza di istruttoria e difetto di motivazione, nonché violazione dell’art.7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ponendo infine in rilievo di aver presentato in modo corretto la domanda, nonostante l’inerzia del Comune, rispettando il principio di diligente collaborazione e buona fede previsto dall’art.10 dello Statuto del Contribuente.
1.2. L’impugnazione va respinta.
Va, difatti, ribadito il condiviso orientamento già espresso sul punto da questa Corte, sulla scorta di una lettura sistematica delle pertinenti disposizioni, circa il potere ampiamente discrezionale dell’ente locale nell’esercizio di detta facoltà:
La Corte, ha, infatti, osservato che:
«In base del menzionato art. 5, comma 15, “Ciascun ente territoriale stabilisce, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti, l’applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte il medesimo ente o un suo ente strumentale”.
Per quanto la formulazione letterale sia equivoca, ritiene questo Collegio che i Comuni abbiano una mera facoltà, come tale
discrezionale, di aderire alla definizione agevolata delle controversie nelle quali sono coinvolti.
Invero, a fronte dell’argomento letterale fragile (rappresentato dall’uso dell’indicativo “stabilisce”, in luogo di “può stabilire”), peraltro isolato, va privilegiata una interpretazione sistematica della disposizione, anche in coordinamento con le normative condonistiche che hanno immediatamente preceduto e seguito quella in esame, che induce a sostenere l’autonomia impositiva degli enti locali.
Del resto, il legislatore, se avesse voluto (criterio della intentio legis ) favorire a tutti i costi la detta definizione, anche con il rischio di pregiudicare le entrate degli enti pubblici territoriali, lo avrebbe dovuto dire esplicitamente.
Vi è, dunque, in primo luogo, una discrezionalità sull’ an , cioè sulla possibilità o meno di istituire, nell’ambito del proprio territorio di competenza, il condono, che assorbe la discrezionalità circa il quantum (cioè circa il valore delle riduzioni degli ammontari dei tributi, interessi e sanzioni) e circa il quomodo (cioè relativa alle modalità organizzative, con cui disciplinare la procedura di definizione dei tributi locali)» (così Cass., Sez. T., 22 maggio 2023, n. 14101).
Tutto ciò, in termini confermati dalle considerazioni secondo le quali:
«La sola lettera della legge (“stabilisce”) non sembra elemento interpretativo sufficiente a fondare la qui sostenuta obbligatorietà dell’applicazione, da parte degli enti locali, delle disposizioni sulla definizione agevolata in questione.
L’art. 6 (Definizione agevolata delle controversie tributarie) D.L. n. 119 del 2018, conv. in L. n. 136 del 2018, afferma al comma 16, che ciascun ente territoriale “può stabilire” questa applicazione; e così pure la L. n. 197 del 2022, art. 1, recante un’altra procedura di definizione delle controversie tributarie, anche in questo caso
comprese quelle pendenti innanzi alla Corte di Cassazione, prescrive al comma 205 che ciascun ente territoriale “può stabilire” entro il 31 marzo 2023 (…) l’applicazione delle disposizioni definitorie in cui sia parte il medesimo ente ovvero un suo ente strumentale.
Sarebbe dunque davvero singolare, in assenza di altri elementi normativi univoci volti a logicamente giustificare questa eccezione, che soltanto la L. n. 130 del 2022, abbia inteso sancire la vincolatività-obbligatorietà della disciplina di definizione per gli enti territoriali, pur ponendosi quest’ultima disciplina in complessiva continuità con normative del tutto analoghe e pressochè coeve, nell’ambito delle quali questa vincolatività è invece indubitabilmente esclusa.
Avendo riguardo alla linea evolutiva della legislazione in materia ed alla ratio legislativa volta a demandare all’autonomia delle amministrazioni locali la decisione ultima – perchè non priva di risvolti anche prettamente politici e di immediata incidenza sul governo delle comunità e dei territori – di recepire o meno la disciplina definitoria delle liti pendenti, il solo dato letterale secondo cui ciascun ente locale “stabilisce” l’applicazione di questa disciplina non può ritenersi significativa di una volontà legislativa nuova e diversa; che – solo in quest’unico caso, e nonostante l’evidente comunanza sistematica di disciplina con il panorama degli altri analoghi istituti latamente condonistici – imponga senz’altro agli enti territoriali di accedere alla disciplina di favore.
Ciò a maggior ragione in considerazione del fatto che la L. n. 130 del 2022 (art. 5, comma 15 cit.) non solo non mostra di voler sovrapporre la disciplina statuale alle autonomie comunali, ma anzi testualmente sancisce che il recepimento di tale disciplina ad opera di queste ultime avvenga nelle “forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti”, con ciò rinviando appunto alle forme di adozione di atti prettamente deliberativi di contenuto non vincolato, che gli organi del governo comunale correntemente
assumono nel pieno esercizio della propria autonomia, anche in materia impositiva e di gestione delle liti.
Da questo punto di vista, la obiettiva mancanza di parametri letterali e logico-giuridici volti a sostenere, con assoluta certezza, l’asserita obbligatorietà dell’adesione non può che essere colmata in senso costituzionalmente orientato; e dunque nel senso della affermazione – non esclusione – dell’autonomia in materia dei Comuni, secondo quanto stabilito in linea generale, e seppure entro il perimetro delle prescrizioni statuali in materia di federalismo fiscale e di coordinamento del sistema tributario nazionale, dagli artt. 117 e 119 Cost. Sicchè alle competenze (tariffarieregolamentari, accertative, riscossive) attribuite ai Comuni in ordine ai tributi locali più armonicamente si associa la potestà (non l’obbligo) di valutare l’estensione ad essi (più esattamente, alle liti che li riguardano) del regime di definizione agevolata nella preminente e discrezionale valutazione, non ultimo, dell’impatto di tale estensione sul gettito atteso e sulle funzioni pubbliche locali che con esso si intendono perseguire e si sono programmate» (così Cass., Sez. T., 10 maggio 2023, n. 12720).
Può, dunque, passarsi ora all’esame del ricorso.
– Sui motivi del ricorso per cassazione –
Come anticipato, l’istante ha sviluppato cinque motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo il Comune di Pistoia ha dedotto, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 10, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, 7, comma 2bis e ter , d.l. 13 maggio 2011, n. 70, (conv. con mod. dalla l. 12 luglio 2011, n. 106), 2, comma 5bis , d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, 9 d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. in l. 26 febbraio 1994, n. 133, come modificato dall’art. 42 -bis , comma 1, d.l. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni nella legge 29 novembre 2007, n. 222), 23, comma 1bis, d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, (conv. in l. 27 febbraio 2009, n.
14), 2, comma 1, lett. a ), d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, 13, commi 14bis e 14ter , d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (conv. in l. 22 dicembre 2011 n. 214), 29, comma 8, d.l. 29 dicembre 2011, n.216 (conv. con l. 24 febbraio 2012 n. 14), 2 comma 5ter d.l. 31 agosto 2013, n.102, (convertito con modificazioni in l. 28 ottobre 2013, n. 124), nonché la violazione e falsa applicazione dell’art.2, comma 1, d.m. Finanze 26 luglio 2012, prot. 16784, oltre che la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Tutto ciò, in sintesi, assumendo l’omessa pronuncia sul motivo di appello con cui era stata contestata la sentenza di primo grado per aver omesso di valutare che la classificazione catastale D/8 assegnata alle tre serre con il provvedimento dell’agenzia delle entrate del 23 novembre 2011 non era stato oggetto di impugnazione, con ciò dovendo essere presa necessariamente in considerazione « per le annualità di imposta precedenti – come quella de qua 2009 -all’iscrizione definitiva perfezionatasi con l’atto dell’RAGIONE_SOCIALE del territorio del 30.5.2013, poi ‘superata’ anch’essa con l’atto della stessa agenzia del 25.9.2013 di diniego del riconoscimento della ruralità sulla base del sopralluogo svolto in data 17.9.2013 dai dipendenti della medesima RAGIONE_SOCIALE » (v. pagina n. 13 del ricorso).
2.2. Con la seconda doglianza, l’ente territoriale ha denunciato, questa volta in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., ed in subordine al mancato accoglimento del primo motivo, la violazione e falsa applicazione delle medesime disposizioni sopra indicate.
L’istante ha sostenuto che il Giudice regionale avrebbe considerato solo la circostanza per cui l’iscrizione nella categoria D/10, richiesta con il docfa del 10 agosto 2012, era stata in un primo tempo convalidata dall’RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE il 30 maggio 2013, con relativa annotazione nelle visure catastali, senza però porre mente al fatto che l’Ufficio aveva in precedenza assegnato ai predetti beni la categoria D/8, giusta provvedimento del 23
novembre del 2011, la cui rendita presunta, in base all’art. 19 d.l. 31 maggio 2010, n. 78, aveva sì valore provvisorio, ma gli effetti della stessa decorrevano, ai sensi dell’art. 2, comma 5bis , d.l. 29 dicembre 2010, n. 225 (conv. dalla l. 26 febbraio 2011, n. 10), dal 1° gennaio 2007, ove non impugnata, come avvenuto nella specie.
I successivi aggiornamenti catastali, invece, proposti dal contribuente per quegli stessi immobili tramite docfa avrebbero potuto dispiegare effetti solo ex nunc e non con efficacia retroattiva e quindi, al più, solo dalla data della presentazione della dichiarazione docfa ed a condizione che le rendite proposte fossero state poi convalidate dall’agenzia del territorio, circostanza questa che non si era verificata per la porzione di serra B (p.lla 168/8), stante il diniego al riconoscimento della ruralità richiesta, in virtù del provvedimento dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 24 settembre 2013.
2.3. Con la terza ragione di impugnazione l’ente ha eccepito, questa volta in relazione al paradigma censorio dell’art. 360. primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla classificazione catastale di ufficio da parte dell’RAGIONE_SOCIALE in forza del provvedimento del 23 novembre 2011 di assegnazione della categoria catastale D/8, aggiungendo sul punto che era stato rappresentato in appello che la particella 168/8 di cui alla dichiarazione docfa presentata dal contribuente il 10 agosto 2012 era oggettivamente diversa dai soppressi fabbricati precedentemente censiti alle particelle 168/5 e 168/7 e 542/1, per cui il nuovo classamento proposto per la nuova particella catastale non poteva che avere efficacia ex nunc .
2.4. Con il quarto motivo di doglianza, il Comune ha lamentato, in relazione alla previsione dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 2, comma 5bis d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, (conv. dalla l. 26 febbraio 2011, n. 10), 5, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, 7, comma 2bis d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (conv. con mod. dalla l. 12
luglio 2011, n. 106), assumendo che la rendita catastale presunta e quella successivamente dichiarata come rendita proposta o attribuita come rendita catastale definitiva producono effetti fiscali sin dalla data della loro iscrizione in catasto, con decorrenza dal 1° gennaio 2007, salvo prova contraria, per cui, non essendo stata impugnata, detta rendita assume efficacia retroattiva a valere per l’anno 2009, anche perché nessuna dimostrazione era stata offerta in sede di dichiarazioni docfa dal contribuente per dimostrare la destinazione rurale dei beni anche nell’anno 2009 di cui trattasi.
2.5. Con la quinta censura, l’istante ha infine chiesto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ. di imputare al contribuente le spese di lite.
Il ricorso va accolto nei termini che seguono.
Va respinto il primo motivo di impugnazione con cui il Comune ha lamentato l’omessa pronuncia sul predetto motivo di appello concernente il carattere irretrattabile del provvedimento del 23 novembre 2011 di attribuzione di ufficio della categoria D/8, perchè non impugnato.
Come sopra esposto, la ragione della decisione del Giudice di appello risulta fondata sull’efficacia retroattiva quinquennale della domanda presentata dal contribuente, avente ad oggetto la variazione catastale, con autocertificazione attestante la ruralità del bene.
Non è, pertanto, revocabile in dubbio che con detta valutazione (non importa, sotto il profilo in esame, se corretta o meno) la Commissione abbia implicitamente -quanto chiaramente – rigettato il predetto motivo di appello sulla base della considerazione, logicamente e giuridicamente inconciliabile con la dedotta operatività del regime catastale di cui al provvedimento del 23 novembre 2011, della sufficienza della successiva domanda di variazione catastale, munita della predetta autocertificazione, al fine
del riconoscimento con effetto retroattivo del carattere rurale dei beni.
Va, invece, accolto il secondo motivo di impugnazione.
La riferita valutazione del Giudice regionale si pone, infatti, in contrasto con i principi espressi da questa Corte in relazione alle norme indicate nel motivo in esame, per cui sussistono le dedotte violazioni di legge.
5.1. Occorre, invero, rammentare che costituisce principio consolidato nella riflessione di questa Corte ritenere che, ai fini del riconoscimento della non assoggettabilità ad ICI di un immobile rurale, sia decisiva la classificazione catastale dello stesso, ove il relativo procedimento si sia regolarmente concluso con la relativa annotazione in atti e che, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, sarà onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI, così come, il Comune dovrà impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta».
Difatti, anche da ultimo, è stato ulteriormente ribadito che:
«Questa Corte (Sez. Un. n. 18565/2009, n. 18570/2009) ha ritenuto che la classificazione catastale costituisce elemento determinante per verificare l’esistenza del carattere di ruralità del fabbricato, e dunque per escludere o affermare l’assoggettabilità ad ICI, affermando il seguente principio: “In tema di ICI, l’immobile che sia stato iscritto nel catasto dei fabbricati come “rurale”, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del d.l. n. 557 del 1993, conv. in legge n. 133 del 1994, non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a ), del d.lgs. n. 504 del 1992, come interpretato dall’art. 23, comma 1bis del d.l. n. 207
del 2008, aggiunto dalla legge di conversione n. 14 del 2009. Qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, sarà onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI. Allo stesso modo, il Comune dovrà impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta”»;
«Al fine di risolvere le incertezze interpretative emerse per il riconoscimento della ruralità degli immobili, è successivamente intervenuta la L. n. 106/2011, art. 7 comma 2 -bis , che ha attribuito ai contribuenti la facoltà di presentare domanda di variazione della categoria catastale (da A/6 a D/10) sulla base di autocertificazione attestante la presenza dei requisiti richiesti (di cui all’art. 9 dl. 557/1993); variazioni della categoria catastale cui la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto valore retroattivo, dal quinquennio antecedente alla presentazione della domanda, in virtù della norma d’interpretazione autentica di cui all’art. 2, comma 5ter , del d.l n.102 del 2013, convertito in legge n. 124 del 2013 (Cass. n. 24020 del 2015; n. 24366 del 2016; n. 3226 del 2021, n. 16252 del 2021)»;
«In seguito, l’art. 13, comma 14bis , del D.L. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011 n. 214 ha stabilito che le domande di variazione di cui al predetto D.L. 13 maggio 2011 n. 70, convertito, con modificazioni, dalla Legge 12 luglio 2011 n. 106, producessero «gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralit à fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo»;
-«Ancora, l’art. 1 del D.M. 26 luglio 2012 ha disposto che: ‘Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attivit à agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell’iscrizione negli atti del
catasto della sussistenza del requisito di ruralit à in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attivit à agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralit à , si applicano le disposizioni richiamate all’art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133’»;
«L’art. 2, comma 5ter , del D.L. 31 agosto 2013 n. 102, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 ottobre 2013 n. 124, ha stabilito che: ‘Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 3, comma 14bis , del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell’articolo 7, comma 2bis, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralit à di cui all’articolo 9 del decreto legge 30 dicembre n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda’»;
«Si tratta di disposizioni che disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione da ICI, sulla base di una procedura ad hoc, che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme (Cass., Sez. 5″, 30 dicembre 2020, n. 29864; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283)» (così Cass., Sez. T., 18 maggio 2023, n. 13710 e Cass., Sez. T, 17 maggio 2023, n. 13619; nello stesso senso, tra le altre, Cass., Sez. T. 18 ottobre 2023, n. 28896; Cass., Sez. T. 18 ottobre
2023, n. 28851; Cass., Sez. T. 30 giugno 2023, n. 18566; Cass. Sez. T. 8 giugno 2022, n. 18553 e le tante ivi citate).
5.2. La peculiarità della fattispecie in esame sta nel fatto che per come è pacifico tra le parti – il riconoscimento del carattere rurale del bene è avvenuto all’esito della procedura docfa proposta dal contribuente in data 10 agosto 2012, per cui non può non ricevere applicazione, anche nell’ipotesi in rassegna, il principio di diritto più volte espresso da questa secondo cui per « le variazioni che conseguano a rettifica del classamento operato dal contribuente con procedura DOCFA , la successiva attribuzione, da parte dell’ente impositore, della rendita catastale costituisce, una volta notificata, la base imponibile anche per le annualità “sospese” suscettibili di accertamento», con decorrenza però «dalla data della denuncia e con inclusione anche delle annualità “sub iudice” (v. Cass. 16679 dell’11/06/2021; 26347 del 29/09/2021; 10126 del 2019; 11472 del 2018)», nel senso che «la decorrenza retroattiva, ai fini dell’adeguamento dell’imposta ICI, opera, dunque, dal momento della richiesta di attribuzione della rendita catastale attraverso la DOCFA, per i periodi successivi alla denuncia di variazione o di attribuzione della rendita, a prescindere dall’epoca di notificazione o di definitiva attribuzione (Sul punto anche Cass. n. 16701/2007; n. 2017, n. 27024, in motiv; Cass. 7434/2014; SS. UU. 3160/2011; n. 9595/2016; n. 4613/2018; n.22653/2019, in motiv.; Cass. n. 29898/2020, in motiv.; n. 16679/2021, in motiv. (così Cass. Sez. T, 15 marzo 2022, n. 8358 cit. e, nello stesso senso, tra le tante, Cass. Sez. V, 4 luglio 2022, n. 21115 e, da ultimo, Cass., Sez. T, 15 giugno 2023, n. 17244)» (così Cass. Sez. T., 17 agosto 2023, n. 24699).
In tale direzione, se è vero che l’atto di iscrizione in via transitoria in categoria D/8 da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, avvenuta il 23 novembre 2011, pur non essendo stata impugnata, poteva essere superata da iscrizioni conseguenti alle domande presentate dagli interessati con le procedure docfa, va nondimeno osservato e precisato che l’effetto retroattivo, per la specificità della
procedura adottata (docfa), consentanea alle variazioni effettuate, che hanno condotto al riconoscimento della ruralità prima esclusa, risale e non può andare (a ritroso) oltre la data della denuncia, operando, per quanto sopra detto, per gli anni successivi alla stessa e quindi non per quella dell’anno 2009, oggetto di causa, siccome antecedente alla predetta dichiarazione docfa del 10 agosto 2012.
La pretesa del contribuente non si è agganciata alla presentazione di una mera domanda di variazione catastale per la sussistenza dei requisiti di ruralità allo scopo di raggiungere in un breve arco temporale la regolarizzazione dei fabbricati rurali che non risultavano accatastati nella corretta categoria catastale, ma alla presentazione di una ordinaria domanda per la procedura docfa, che non ha, invece, decorrenza retroattiva quinquennale (cfr., sul principio, Cass., Sez. T. 8 giugno 2022, n. 18553), giacchè solo la domanda di variazione catastale riconducibile alla previsione dall’art. 7 d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (conv., con modif., dalla l. 12 luglio 2011, n. 106) può produrre effetti dal quinquennio antecedente (cfr. Cass., Sez. T, 22 maggio 2023, n. 14101, che richiama Cass., Sez. 5, 19 maggio 2017, n. 12689) .
Ragionare diversamente comporterebbe una ingiustificata elusione, siccome consegnata alla sola autocertificazione di parte per giunta contraria agli accertamenti fattuali compiuti dall’ufficio, del precedente provvedimento di attribuzione (per quanto provvisoria) di iscrizione catastale del 23 novembre 2011, superato con l’atto del 30 maggio 2020, solo a seguito delle rettifiche operate con la menzionata procedura docfa.
Per tali ragioni, il secondo motivo di ricorso va accolto.
5.3. Deve ancora osservarsi sul punto che non è stato ammissibilmente ed utilmente invocato dalla difesa del contribuente il giudicato esterno di cui alla sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pistoia nn. 139/1/2014 (che ha annullato, in relazione al diverso anno di imposta 2007, analogo avviso ICI per le due serre su particelle 611/2 e 609/2).
Sotto il profilo dell’ammissibilità del rilievo conta, infatti, osservare che di tale decisone è stato riportato l’esito, ma non il relativo contenuto.
Per tale via, va richiamato il principio secondo cui «nel giudizio di legittimità, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato esterno invece negato dalla Corte di appello deve, per il principio di autosufficienza del ricorso ed a pena d’inammissibilità dello stesso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (cfr. Cass. 15737/2017 e Cass. n. 17310/2020)» (così, tra le tante, Cass., Sez. III, 6 giugno 2023, n. 15846).
In ogni caso ed a tutto voler concedere, non può non osservarsi che la sentenza n. 139/1/2014 (prodotta in atti) ha riguardato altro anno di imposta (ICI 2007) e che la decisione si è basata su valutazioni di natura giuridica (la validazione della richiesta docfa per silenzio assenso per i beni di cui ai mappali 602/2 e 611/1), le quali per le ragioni sopra esposte non possono essere condivise.
Val la pena poi aggiungere che, sulla base dell’orientamento più volte espresso da questa Corte, il giudicato può formarsi ed essere invocato solo sulle circostanze che hanno costituito oggetto di apprezzamenti di fatto e non anche su questioni giuridiche.
Va, infatti, ribadito che l’attività interpretativa delle norme giuridiche compiuta da un giudice, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da un altro giudice, dovendosi richiamare a tal proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dalla efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 cod. civ. rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello ” stare decisis ” (cioè del precedente giurisprudenziale vincolante”), che non trova riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale. (così Cass., Sez. V, 7 aprile 2022, n. 11331, che richiama Cass., Sez. 5, 21 ottobre 2013, n. 23723; Cass., Sez. 5, 15
luglio 2016, n. 14509 e Cass., Sez. T., 1° giugno 2021, n. 15215/2021).
Ne consegue che l’interpretazione e l’individuazione della norma giuridica posta a fondamento della pronuncia sulla domanda/eccezione non limita il giudice dell’impugnazione nell’esercizio del suo potere di individuare ed interpretare la disposizione applicabile al caso controverso e non sono, quindi, suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo di essa cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione (così sempre, Cass. Sez. V, 7 aprile 2022, n. 11331, che richiama Cass. I sez. 29 aprile 1976 n 1531; Cass., Sez. L., 23 dicembre 2003, n. 19679; Cass. Sez. III, 20 ottobre 2010, n, 216561; Cass., Sez. V, 21 ottobre 2013, n. 23723).
5.4. Allo stesso modo, non può rilevarsi il dedotto giudicato interno in relazione ai due fabbricati insistenti su suolo demaniale, non emergendo dalle difese della controricorrente che l’originaria domanda sia stata proposta in primo grado, mentre dal contenuto della sentenza di primo grado, nei termini riportati nel relativo atto di appello versato in atti dal Comune, risulta che la decisione di primo grado si sia basata solo sul carattere rurale dei beni come da dichiarazione docfa del 10 agosto 2012, validata dall’RAGIONE_SOCIALE in data 30 maggio 2013 e, quindi, con riferimento alla serre e non ai predetti fabbricati realizzati su suolo demaniale.
Le valutazioni che precedono assorbono l’esame dei restanti motivi di impugnazione.
7. – La decisione –
Alla stregua delle considerazioni svolte il ricorso va accolto in relazione al suo secondo motivo, dichiarando assorbiti il quarto ed il quinto, inammissibile il terzo ed infondato il primo.
Non essendo necessari accertamenti in fatto la causa va decisa nel merito, rigettando l’originario ricorso del contribuente.
8 Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza, mentre il progressivo consolidamento dell’orientamento sopra esposto sul tema rilevante dopo la proposizione dele ricorso in rassegna, giustifica la compensazione di quelle di merito.
P.Q.M.
la Corte rigetta l’impugnazione avverso il provvedimento di diniego dell’istanza di definizione agevolata, accoglie il secondo motivo di impugnazione principale, dichiara assorbiti il quarto ed il quinto, inammissibile il terzo ed infondato il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di merito e condanna NOME COGNOME al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore del Comune RAGIONE_SOCIALE Pistoia nella misura di 3.000,00 € e per competenze, oltre accessori ed alla somma di 200,00 € per esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 novembre