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Definizione agevolata: estinzione del giudizio

Una società ricorre in Cassazione per una cartella IVA. Nel frattempo, aderisce alla definizione agevolata. La Corte, nonostante un errore materiale sul numero di cartella, dichiara l’estinzione del giudizio, affermando che la richiesta di cessazione della materia del contendere è sufficiente a manifestare la volontà di rinunciare alla lite, come previsto dalla normativa sulla definizione agevolata.

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Pubblicato il 3 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Definizione agevolata e processo tributario: quando il giudizio si estingue

L’adesione a una definizione agevolata durante un contenzioso tributario ha conseguenze dirette sulla sorte del processo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che la volontà di definire la lite, manifestata dal contribuente, è sufficiente a determinare l’estinzione del giudizio, anche in assenza di una rinuncia formale e nonostante la presenza di errori materiali negli atti. Analizziamo questa importante decisione.

Il caso: dal ricorso in Cassazione alla richiesta di definizione agevolata

Una società di servizi finanziari si trovava in contenzioso con l’Amministrazione Finanziaria a causa di una cartella di pagamento relativa all’IVA per indebita compensazione. Dopo aver perso sia in primo che in secondo grado, la società ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione.

Nelle more del giudizio di legittimità, la società ha presentato domanda di adesione alla definizione agevolata prevista dalla legge, documentando i pagamenti effettuati. Tuttavia, sono emerse due complicazioni:

1. Errore materiale: Il numero della cartella di pagamento indicato nella sentenza impugnata era diverso da quello riportato nella domanda di definizione, a causa di un mero errore di trascrizione.
2. Comportamento ambiguo: Pur avendo aderito alla sanatoria, la società aveva depositato memorie in cui insisteva sull’accoglimento dei motivi di ricorso, senza menzionare la volontà di chiudere la lite.

Per questi motivi, la Corte aveva emesso una precedente ordinanza interlocutoria, chiedendo alla ricorrente di chiarire la sua posizione. Con le memorie successive, la società ha confermato che si trattava di un errore materiale, come provato dalla coincidenza dell’oggetto (IVA 2008) e dell’importo, e ha insistito per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

La normativa sulla definizione agevolata e l’impegno alla rinuncia

Il punto centrale della questione ruota attorno agli effetti della definizione agevolata sul processo in corso. La normativa di riferimento (art. 6 del d.l. n. 193/2016) prevede che l’adesione alla procedura implichi un impegno da parte del debitore a rinunciare ai giudizi pendenti. La Cassazione ha dovuto stabilire come questo impegno debba essere manifestato e quali siano le conseguenze processuali.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha dichiarato l’estinzione del giudizio, accogliendo la tesi della società contribuente. I giudici hanno richiamato un principio di diritto consolidato (Cass. n. 28602/2024), secondo cui l’impegno a rinunciare al giudizio, insito nella domanda di definizione agevolata, deve essere seguito da un atto che ne confermi la volontà.

Questo atto non deve necessariamente consistere in una rinuncia formale e solenne. È sufficiente una richiesta, formulata in qualsiasi modo, che manifesti l’intenzione di adempiere all’impegno preso. Nel caso di specie, la richiesta di dichiarare la cessazione della materia del contendere è stata ritenuta un atto idoneo a esprimere tale volontà.

Una volta manifestata questa intenzione, l’estinzione del giudizio consegue direttamente per disposizione di legge. Non è necessaria, ai fini dell’effetto estintivo, una successiva attestazione da parte dell’agente della riscossione sulla regolarità dei pagamenti. La Corte ha quindi ritenuto che i chiarimenti forniti dalla società fossero sufficienti e che sussistessero tutti i presupposti per dichiarare estinto il processo.

Le conclusioni: la volontà prevale sulla forma

La decisione della Cassazione rafforza il principio secondo cui, nelle procedure di sanatoria fiscale, la sostanza prevale sulla forma. L’adesione del contribuente alla definizione agevolata è l’elemento cruciale che porta all’estinzione del giudizio, a patto che la sua volontà di abbandonare la lite sia manifestata in modo chiaro, anche se non attraverso una rinuncia formale. Un errore materiale su un numero di cartella non può ostacolare questo esito se l’identità della pretesa tributaria è comunque certa. Infine, la Corte ha disposto la compensazione delle spese legali, una decisione comune in casi di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere.

Cosa succede a un processo tributario se il contribuente aderisce alla definizione agevolata?
Il processo si estingue. L’adesione alla definizione agevolata implica l’impegno a rinunciare alla lite, e una volta che questa volontà è manifestata, il giudizio si chiude per legge.

È necessaria una rinuncia formale al ricorso per ottenere l’estinzione del giudizio dopo aver aderito alla sanatoria?
No. Secondo la Corte, non è necessaria una rinuncia espressa in forme solenni. È sufficiente una qualsiasi richiesta che, anche con altre formule, confermi la volontà del contribuente di adempiere al suo impegno di abbandonare il contenzioso, come ad esempio la richiesta di dichiarare la cessazione della materia del contendere.

Un errore materiale, come un numero di cartella sbagliato, può impedire l’estinzione del giudizio in caso di definizione agevolata?
No, se l’errore è palesemente materiale e non crea dubbi sull’identità della controversia che si intende definire. Nel caso esaminato, la coincidenza dell’oggetto (IVA 2008) e dell’importo ha permesso di superare l’errore e confermare l’estinzione del giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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