Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9665 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9665 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
prendendo atto dell’istanza di definizione agevolata della lite presentata dal contribuente ai sensi dell’art. 5 della legge 31 agosto 2022, n. 130 e del provvedimento di improcedibilità di detta istanza adottata dal Comune di Pistoia, ha rinviato la causa a nuovo ruolo onde procedere all’esame congiunto del presente ricorso con
l’eventuale impugnazione del provvedimento di diniego opposto dall’ente alla predetta istanza.
Con ricorso notificato il 16 marzo 2023, iscritto al n. NUMERO_DOCUMENTO di ruolo generale, NOME COGNOME ha impugnato il provvedimento diniego n. 9188 del 20 gennaio 2023 opposto dal Comune di Pistoia sulla domanda di definizione agevolata presentata dal ricorrente ai sensi dell’art. 5 della legge 31 agosto 2022 n. 130 relativamente al suindicato giudizio iscritto al n. NUMERO_DOCUMENTO di ruolo generale.
Il Comune di Pistoia ha resistito con controricorso depositato il 21 aprile 2023, depositando poi memoria il 27 ottobre 2023.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va in primo luogo riunito, per evidenti ragioni di connessione e pregiudizialità il ricorso n. 6575/2023 di ruolo generale (di natura incidentale rispetto a quello principale) a quello recante il n. 19217/2018 di ruolo generale, e trattato altresì prioritariamente.
Sull’impugnativa avverso il provvedimento di diniego –
Il Comune di Pistoia non ha dato seguito alla suindicata istanza di definizione agevolata della lite, ritenendo che, per gli enti territoriali, il tenore dell’art. 5, comma 15, della legge 31 agosto 2022, n. 130 (che, nel rispetto dell’autonomia fissata dai principi costituzionali, rinvia espressamente alle «forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti») giustifichi il principio per cui l’estensione dell’istituto di definizione agevolata alle controversie in cui gli stessi siano parte sia una facoltà (e non un obbligo) riservata alla regolamentazione locale, facoltà questa che la controricorrente non ha inteso esercitare.
1.1. Il ricorrente ha impugnato il diniego per violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge 31 agosto 2022, n. 130, anche in relazione ai principi dell’art. 12 disposizioni preliminari al codice civile, assumendo che il legislatore non ha attribuito agli enti
territoriali la facoltà discrezionale di scegliere se applicare o meno la definizione agevolata, disponendo, al contrario, con indicazione esplicita, che gli enti territoriali adottano le disposizioni applicative nell’ambito della loro competenza amministrativa, aggiungendo che il provvedimento del Comune che ha negato la definizione agevolata non è sostenuto da valide motivazioni e non allega gli atti ai quali fa riferimento, con eccesso di potere, quindi, per errore nei presupposti di diritto, carenza di istruttoria e difetto di motivazione, nonché violazione dell’art.7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ponendo infine in rilievo di aver presentato in modo corretto la domanda, nonostante l’inerzia del Comune, rispettando il principio di diligente collaborazione e buona fede previsto dall’art.10 dello Statuto del Contribuente.
1.2. L’impugnazione va respinta.
Va, difatti, ribadito l’orientamento già espresso sul punto da questa Corte, sulla scorta di una lettura sistematica RAGIONE_SOCIALE pertinenti disposizioni, circa il potere ampiamente discrezionale dell’ente locale nell’esercizio di detta facoltà.
La Corte ha, infatti, osservato che:
« In base del menzionato art. 5, comma 15, “Ciascun ente territoriale stabilisce, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti, l’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni di cui al presente articolo alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte il medesimo ente o un suo ente strumentale”.
Per quanto la formulazione letterale sia equivoca, ritiene questo Collegio che i Comuni abbiano una mera facoltà, come tale discrezionale, di aderire alla definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE controversie nelle quali sono coinvolti.
Invero, a fronte dell’argomento letterale fragile (rappresentato dall’uso dell’indicativo “stabilisce”, in luogo di “può stabilire”), peraltro isolato, va privilegiata una interpretazione sistematica della
disposizione, anche in coordinamento con le normative condonistiche che hanno immediatamente preceduto e seguito quella in esame, che induce a sostenere l’autonomia impositiva degli enti locali.
Del resto, il legislatore, se avesse voluto (criterio della intentio legis) favorire a tutti i costi la detta definizione, anche con il rischio di pregiudicare le RAGIONE_SOCIALE degli enti pubblici territoriali, lo avrebbe dovuto dire esplicitamente.
Vi è, dunque, in primo luogo, una discrezionalità sull’an, cioè sulla possibilità o meno di istituire, nell’ambito del proprio territorio di competenza, il condono, che assorbe la discrezionalità circa il quantum (cioè circa il valore RAGIONE_SOCIALE riduzioni degli ammontari dei tributi, interessi e sanzioni) e circa il quomodo (cioè relativa alle modalità organizzative, con cui disciplinare la procedura di definizione dei tributi locali)» (così Cass., Sez. T., 22 maggio 2023, n. 14101).
Tutto ciò, in termini confermati dalle considerazioni secondo le quali:
«La sola lettera della legge (“stabilisce”) non sembra elemento interpretativo sufficiente a fondare la qui sostenuta obbligatorietà dell’applicazione, da parte degli enti locali, RAGIONE_SOCIALE disposizioni sulla definizione agevolata in questione.
L’art. 6 (Definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE controversie tributarie) D.L. n. 119 del 2018, conv. in L. n. 136 del 2018, afferma al comma 16, che ciascun ente territoriale “può stabilire” questa applicazione; e così pure la L. n. 197 del 2022, art. 1, recante un’altra procedura di definizione RAGIONE_SOCIALE controversie tributarie, anche in questo caso comprese quelle pendenti innanzi alla Corte di Cassazione, prescrive al comma 205 che ciascun ente territoriale “può stabilire” entro il 31 marzo 2023 (…) l’applicazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni definitorie in cui sia parte il medesimo ente ovvero un suo ente strumentale.
Sarebbe dunque davvero singolare, in assenza di altri elementi normativi univoci volti a logicamente giustificare questa eccezione, che soltanto la L. n. 130 del 2022, abbia inteso sancire la vincolatività-obbligatorietà della disciplina di definizione per gli enti territoriali, pur ponendosi quest’ultima disciplina in complessiva continuità con normative del tutto analoghe e pressochè coeve, nell’ambito RAGIONE_SOCIALE quali questa vincolatività è invece indubitabilmente esclusa.
Avendo riguardo alla linea evolutiva della legislazione in materia ed alla ratio legislativa volta a demandare all’autonomia RAGIONE_SOCIALE amministrazioni locali la decisione ultima – perchè non priva di risvolti anche prettamente politici e di immediata incidenza sul governo RAGIONE_SOCIALE comunità e dei territori – di recepire o meno la disciplina definitoria RAGIONE_SOCIALE liti pendenti, il solo dato letterale secondo cui ciascun ente locale “stabilisce” l’applicazione di questa disciplina non può ritenersi significativa di una volontà legislativa nuova e diversa; che – solo in quest’unico caso, e nonostante l’evidente comunanza sistematica di disciplina con il panorama degli altri analoghi istituti latamente condonistici – imponga senz’altro agli enti territoriali di accedere alla disciplina di favore.
Ciò a maggior ragione in considerazione del fatto che la L. n. 130 del 2022 (art. 5, comma 15 cit.) non solo non mostra di voler sovrapporre la disciplina statuale alle autonomie comunali, ma anzi testualmente sancisce che il recepimento di tale disciplina ad opera di queste ultime avvenga nelle “forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti”, con ciò rinviando appunto alle forme di adozione di atti prettamente deliberativi di contenuto non vincolato, che gli organi del governo comunale correntemente assumono nel pieno esercizio della propria autonomia, anche in materia impositiva e di gestione RAGIONE_SOCIALE liti.
Da questo punto di vista, la obiettiva mancanza di parametri letterali e logico-giuridici volti a sostenere, con assoluta certezza, l’asserita obbligatorietà dell’adesione non può che essere colmata in
senso costituzionalmente orientato; e dunque nel senso della affermazione – non esclusione – dell’autonomia in materia dei Comuni, secondo quanto stabilito in linea generale, e seppure entro il perimetro RAGIONE_SOCIALE prescrizioni statuali in materia di federalismo fiscale e di coordinamento del sistema tributario nazionale, dagli artt. 117 e 119 Cost.. Sicchè alle competenze (tariffarieregolamentari, accertative, riscossive) attribuite ai Comuni in ordine ai tributi locali più armonicamente si associa la potestà (non l’obbligo) di valutare l’estensione ad essi (più esattamente, alle liti che li riguardano) del regime di definizione agevolata nella preminente e discrezionale valutazione, non ultimo, dell’impatto di tale estensione sul gettito atteso e sulle funzioni pubbliche locali che con esso si intendono perseguire e si sono programmate» (così Cass., Sez. T., 10 maggio 2023, n. 12720).
Può, dunque, passarsi ora all’esame del ricorso.
2. – Sui motivi del ricorso per cassazione –
Come anticipato, l’istante ha sviluppato nove motivi di ricorso.
I primi sette concernono le serre; l’ottavo motivo, invece i manufatti realizzati su terreno demaniale. Il nono riguarda il regolamento RAGIONE_SOCIALE spese
3. – Sui primi sette motivi relativi alle serre –
3.1. Con il primo motivo l’istante ha dedotto, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 10, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, 7, comma 2bis e ter, d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (conv. con mod. dalla l. 12 luglio 2011, n. 106), 2, comma 5bis, d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, 9 d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. in l. 26 febbraio 1994, n. 133, come modificato dall’art. 42 -bis , comma 1, d.l. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni nella legge 29 novembre 2007, n. 222), 23, comma 1bis, d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, (conv. in l. 27 febbraio 2009, n. 14), 2, comma 1, lett. a ), d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, 13, commi 14-
bis e 14ter , d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (conv. in l. 22 dicembre 2011 n.214), art. 29, comma 8, d.l. 29 dicembre 2011 n.216, conv. con l. 24 febbraio 2012 n. 14), 2, comma 5ter, d.l. 31 agosto 2013 n.102, (convertito con modificazioni in l. 28/10/2013, n. 124), nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 2, d.m. Finanze 26 luglio 2012, prot. 16784.
Tutto ciò, in sintesi, assumendo che « la categoria catastale scritta transitoriamente , nelle more della iscrizione attraverso la proposta del contribuente a mezzo Docfa, non diventa definitiva quando la proposta di rettifica con procedura Docfa è stata presentata nei termini, con le modalità prescritte, ha superato con esito positivo le verifiche dell’ufficio, è stata convalidata dall’RAGIONE_SOCIALE ed è stata iscritta nel registro generale» (v. pagine n. 10 e 11 del ricorso).
L’istante ha dedotto che dette circostanze ricorrono per tutte e tre le unità immobiliari (serre) realizzate su terreno agricolo del ricorrente, per avere lo stesso presentato il 10 agosto 2012 la dichiarazione docfa, proponendo l’iscrizione dei beni nella categoria rurale in categoria D/10, con esito positivo da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, che l’ha convalidata con provvedimento del 30 maggio 2013 (prot. NUMERO_DOCUMENTO).
La violazione di legge di cui all’articolo 19, comma 10, d.l. 31 maggio 2010, n. 78 risiederebbe nel fatto che detta disposizione prevede la possibilità che la prima iscrizione catastale operata dall’RAGIONE_SOCIALE possa essere sostituita dalla proposta rettifica con procedura docfa presenta nei termini, tenuto anche conto che la domanda di variazione della categoria catastale di cui all’articolo 7, comma 2bis e ter , d.l. 13 maggio 2011, n. 70 doveva essere presentata entro il termine (prorogato) del 30 settembre 2012.
3.2. Con la seconda doglianza, il contribuente denunciato, sempre in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 10, d.l.
31 maggio 2010, n. 78, 2, comma 5bis, d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, 9 d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. in l. 26 febbraio 1994, n. 133, come modificato dall’art. 42 -bis , comma 1, d.l. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni nella legge 29 novembre 2007, n. 222), 23, comma 1bis, d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, (conv. in l. 27 febbraio 2009, n. 14), 2, comma 1, lett. a ), d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, 7, comma 2bis , d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (come mod. dalla l. 12 luglio 2011, n. 106), 13, commi 14bis e 14ter , d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (conv. in l. 22 dicembre 2011 n.214), art. 29, comma 8, d.l. 29 dicembre 2011 n.216 (conv. con l. 24 febbraio 2012 n. 14), 2, comma 5ter, d.l. 31 agosto 2013, n. 102 (convertito con modificazioni in l. 28 ottobre 2013, n. 124).
L’istante ha sostenuto che le norme richiamate attribuiscono efficacia retroattiva di cinque anni rispetto all’iscrizione catastale nella categoria D/10 effettuata in data 10 agosto 2012, su istanza del contribuente con procedura docfa, convalidata il 30 maggio 2012 e quindi operante anche per gli anni 2008 e 2009.
3.3. Con la terza ragione di impugnazione NOME COGNOME ha eccepito, questa volta in relazione al paradigma censorio dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4 cod. proc. civ. la violazione dell’art. 132, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., per mancanza di motivazione e, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 111 e 3 Cost., assumendo che la Commissione regionale non aveva preso in considerazione l’atto dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 30 maggio 2013 di convalida della variazione del classamento in categoria catastale rurale D/10.
Il ricorrente ha aggiunto che solo per la porzione di serra B su p.lla 168/8 l’RAGIONE_SOCIALE aveva negato la ruralità con provvedimento con successivo atto del 24 settembre 2013, con efficacia, però non retroattiva, come riconosciuto dalla stessa RAGIONE_SOCIALE e dalla
Commissione Tributaria Provinciale con la sentenza n. 335/114 passata in giudicato.
3.4. Con il quarto motivo di ricorso, il contribuente ha lamentato, in relazione al parametro dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. per mancanza di motivazione e, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ. la violazione degli artt. 111 e 3 Cost., segnalando che la Commissione regionale non aveva preso in considerazione l’atto dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 20 maggio 2013, che aveva disposto, sempre con riguardo alle tre serre, l’annullamento in sede di autotutela dell’avviso di accertamento Irpef n. NUMERO_DOCUMENTO relativo all’anno 2007, riconoscendo la ruralità dei beni.
3.5. Con la quinta doglianza il ricorrente ha dedotto, con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., 3, 24 e 111 Cost., « sotto il profilo della violazione dell’efficacia esterna del giudicato collegata all’attuazione del principio costituzionale del giusto processo e della ragionevole durata per quanto accertato con la sentenza CTP di Pistoia 139/1/2014 » (v. pagina n. 21 del ricorso), la quale, emessa in giudizio tra il ricorrente ed il Comune di Pistoia, aveva riconosciuto, in relazione alle due serre 609/2 e 611/2, l’efficacia della categoria rurale assegnata in catasto alle due predette unità immobiliari per il quinquennio 2007-2012, per effetto della domanda prodotta dal contribuente con docfa del 10 agosto 2012 e della convalida dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 30 maggio 2013.
3.6. Con la sesta contestazione, sviluppata a mente dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., è stata dedotta la violazione degli artt. 2909 cod. civ., 3, 24 e 111 Costituzione,
sempre sotto il profilo della violazione dell’efficacia esterna del giudicato, nonché ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. per mancanza di motivazione, oltre che ai sensi 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la « per violazione degli artt. 111, 24 e 3 Cost., in relazione ai principi costituzionali del ‘giusto processo’ e della ‘ragionevole durata, per il travisamento degli effetti nel presente processo di quanto accertato con la sentenza CTP di Pistoia 335/01/14, art.360, n. 3 per violazione art. 7, comma 2-bis, del d.l. n. 70 del 2011 e art.2, co.1, del decreto del Ministero RAGIONE_SOCIALE Finanze 2 gennaio 1998» (v. pagina n. 24 del ricorso).
A dire della difesa dell’istante, la citata sentenza della Commissione tributaria di Pistoia n. 335/1/2014 realizzerebbe l’effetto esterno di giudicato vincolante, quantomeno per l’RAGIONE_SOCIALE (che era stata parte del predetto giudizio), in considerazione del fatto che la pronuncia aveva ritenuto l’efficacia non retroattiva del provvedimento del 24 settembre 2013, il quale, riferendosi alla serra n. 168/8, aveva escluso la ruralità del bene, collocandolo nella categoria commerciale .
3.7. Con il settimo motivo l’istante ha eccepito, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 9 d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. in l. 26 febbraio 1994, n. 133, come modificato dall’art. 42 -bis , comma 1, d.l. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni nella legge 29 novembre 2007, n. 222), 42 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, 23, comma 1bis, d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, (conv. in l. 27 febbraio 2009, n. 14), 2, comma 1, lett. a ), d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, 7, comma 2bis , d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (conv. con mod. dalla l. 12 luglio 2011, n. 106), 13, commi 14bis e 14ter , d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (conv. in l. 22 dicembre 2011 n.214), art. 29, comma 8, d.l. 29 dicembre 2011 n.216 (conv. con l. 24 febbraio 2012 n. 14), 2, comma 5ter, d.l. 31 agosto 2013, n. 102 (convertito con modificazioni in l. 28 ottobre 2013, n. 124),
nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1, d.m. Finanze 2 gennaio 1998, n. 28.
Con tale censura, il contribuente ha rimproverato al Giudice regionale di aver preso in considerazione elementi di fatto che assegnerebbero una presunta destinazione commerciale RAGIONE_SOCIALE unità immobiliari in argomento, benchè la normativa di riferimento e la giurisprudenza della Corte assegni, ai fini della ruralità, valore decisivo alla categoria catastale
I primi tre motivi ed il settimo possono essere esaminati congiuntamente, siccome connessi.
La complessiva contestazione del ricorrente ruota su tali argomenti:
ai fini dell’esenzione ICI è decisiva l’iscrizione catastale degli edifici rurali nella categoria D/10, ai sensi dell’art. 7, comma 2 -bis , d.l. 13 maggio 2011, n. 70;
b. per l’anno 2008 risultava efficace l’iscrizione nella categoria D/10, con docfa presentata il 10 agosto 2012, convalidata dall’RAGIONE_SOCIALE il 30 maggio 2013, in termini non impugnati, tenuto conto del disposto dell’art. 2, comma 5 -ter , d.l. 31 agosto 2013, n. 102, secondo cui detta annotazione ha efficacia dal quinto anno antecedente a quello della presentazione della domanda;
il provvedimento del 24 settembre 2013, che aveva escluso la ruralità del bene, non ha avuto effetto retroattivo, come ritenuto dalla stessa RAGIONE_SOCIALE e comunque come affermato dalla predetta sentenza passata in giudicato;
la Commissione regionale ha considerato decisive per escludere la ruralità circostanze fattuali non pertinenti, dovendo rilevare solo la categoria catastale;
non assumeva rilevanza la circostanza che l’iscrizione in via transitoria nella categoria D/8 da parte dell’RAGIONE_SOCIALE del territorio in
data 23 novembre 2000 non fosse stata impugnata, in quanto l’effetto di tale iscrizione era stato sostituito con efficacia retroattiva dall’iscrizione conseguente alla domanda presentata con la procedura docfa;
il Giudice regionale non aveva applicato le norme che attribuiscono efficacia retroattiva alla classificazione catastale D/10, effettuata con istanza docfa del 10 agosto 2012, convalidata il 30 maggio del 2013, ribadendo sul punto che la successiva iscrizione in categoria D/8 da parte dell’Ufficio, in virtù di provvedimento del 24 settembre 2013, era stata impugnata dal contribuente e la Commissione tributaria provinciale di Pistoia aveva accolto il ricorso con la citata sentenza n. 335/01/2014, stabilendo che la predetta categoria D/8 aveva efficacia ex nunc , a partire cioè dalla data di notifica del provvedimento e quindi dal 30 settembre 2013;
la Commissione non aveva esaminato i seguenti fatti decisivi per il giudizio:
l’atto dell’RAGIONE_SOCIALE di variazione del classamento del 30 maggio 2013, che aveva determinato la classificazione del fabbricato in categoria D/10, in conformità della richiesta docfa del 10 agosto 2012;
l’atto del 24 settembre 2013 con cui lo stesso Ufficio aveva dichiarato che l’efficacia dello stesso era da ritenersi decorrente dalla data del sopralluogo (17 settembre 2013) e comunque dalla data di notifica del provvedimento (30 settembre 2013);
-l’atto dell’RAGIONE_SOCIALE del 20 maggio 2013 con cui, sempre con riferimento alle tre serre, aveva disposto l’annullamento in autotutela l’avviso di accertamento ai fini IRPEF per l’anno 2007, avente i medesimi presupposti degli avvisi emessi per gli anni 2008 e 2009, dichiarandolo privo di effetti e stabilendo che le somme non erano dovute, avendo accertato il carattere rurale dei beni.
i giudicati derivanti dalla sentenza della Commissione tributaria di Pistoia n. 335/01/2014 (passata in giudicato), che -come detto –
aveva stabilito l’efficacia ex nunc e quindi dal 30 settembre 2013 del provvedimento che aveva negato il carattere rurale alla serra B e, quindi, la validità sino a tale data dell’iscrizione catastale del bene in categoria D/10, nonché dalla sentenza n. 139/1/2014, che aveva riconosciuto l’esenzione per le serre insistenti sulle particelle 609/2 e 611/2.
Detti motivi non possono essere accolti, sebbene per ragioni diverse da quelle espresse dal Giudice regionale, le quali possono essere modificate nella sede che occupa, nella ritenuta correttezza della decisione, a mente dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ.
4.1. Va osservato che la valutazione del Giudice regionale riposa sul rilievo secondo il quale, dopo l’attribuzione di ufficio, in data 23 novembre 2011, della categoria D/8 (commerciale) alle serre in questione, non impugnata dal contribuente, l’RAGIONE_SOCIALE aveva riconosciuto il carattere rurale dei beni a seguito della dichiarazione presentata in data 10 agosto 2012 tramite la procedura docfa, per cui tale operazione di aggiornamento catastale, poteva avere efficacia solo dalla relativa denuncia e non per il quinquennio precedente, ponendosi, peraltro, nonostante l’autocertificazione, in contrasto con gli accertamenti fattuali effettuati dall’Ufficio.
4.2. Ciò premesso, occorre rammentare sul piano dei principi che costituisce principio consolidato nella riflessione di questa Corte ritenere che, ai fini del riconoscimento della non assoggettabilità ad ICI di un immobile rurale, sia decisiva la classificazione catastale dello stesso, ove il relativo procedimento si sia regolarmente concluso con la relativa annotazione in atti e che, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, sarà onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI, così come, il Comune dovrà impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta.
Difatti, anche da ultimo, è stato ulteriormente ribadito che:
«Questa Corte (Sez. Un. n. 18565/2009, n. 18570/2009) ha ritenuto che la classificazione catastale costituisce elemento determinante per verificare l’esistenza del carattere di ruralità del fabbricato, e dunque per escludere o affermare l’assoggettabilità ad ICI, affermando il seguente principio: “In tema di ICI, l’immobile che sia stato iscritto nel catasto dei fabbricati come “rurale”, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del di n. 557 del 1993, conv. in legge n. 133 del 1994, non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a ), del d.lgs. n. 504 del 1992, come interpretato dall’art. 23, comma 1bis del d.l. n. 207 del 2008, aggiunto dalla legge di conversione n. 14 del 2009. Qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, sarà onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI. Allo stesso modo, il Comune dovrà impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta”»;
– «Al fine di risolvere le incertezze interpretative emerse per il riconoscimento della ruralità degli immobili, è successivamente intervenuta la L. n. 106/2011, art. 7 comma 2-bis, che ha attribuito ai contribuenti la facoltà di presentare domanda di variazione della categoria catastale (da A/6 a D/10) sulla base di autocertificazione attestante la presenza dei requisiti richiesti (di cui all’art. 9 dl. 557/1993); variazioni della categoria catastale cui la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto valore retroattivo, dal quinquennio antecedente alla presentazione della domanda, in virtù della norma d’interpretazione autentica di cui all’art. 2, comma 5-ter, del d.l n.102 del 2013, convertito in legge n. 124 del 2013 (Cass. n. 24020 del 2015; n. 24366 del 2016; n. 3226 del 2021, n. 16252 del 2021)»;
– «In seguito, l’art. 13, comma 14-bis, del D.L. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011 n. 214 ha stabilito che le domande di variazione di cui al predetto D.L. 13 maggio 2011 n. 70, convertito, con modificazioni, dalla Legge 12 luglio 2011 n. 106, producessero «gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralit à fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo»;
-«Ancora, l’art. 1 del D.M. 26 luglio 2012 ha disposto che: ‘Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attivit à agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una RAGIONE_SOCIALE categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralit à in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attivit à agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralit à , si applicano le disposizioni richiamate all’art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133’»;
– «L’art. 2, comma 5ter , del D.L. 31 agosto 2013 n. 102, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 ottobre 2013 n. 124, ha stabilito che: ‘Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 3, comma 14 bis , del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell’articolo 7, comma 2bis, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralit à di cui all’articolo 9 del decreto legge 30 dicembre n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda’»;
«Si tratta di disposizioni che disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione da ICI, sulla base di una procedura ad hoc , che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme (Cass., Sez. 5″, 30 dicembre 2020, n. 29864; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283)» (così Cass., Sez. T., 18 maggio 2023, n. 13710 e Cass., Sez. T, 17 maggio 2023, n. 13619; nello stesso senso, tra le altre, Cass., Sez. T. 18 ottobre 2023, n. 28896; Cass., Sez. T. 18 ottobre 2023, n. 28851; Cass., Sez. T. 30 giugno 2023, n. 18566; Cass. Sez. T. 8 giugno 2022, n. 18553 e le tante ivi citate).
4.3. La peculiarità della fattispecie in esame sta nel fatto che il riconoscimento del carattere rurale del bene è avvenuto all’esito della procedura docfa, per cui non può non ricevere applicazione, anche nell’ipotesi in rassegna, il principio di diritto più volte espresso da questa secondo cui per « le variazioni che conseguano a rettifica del classamento operato dal contribuente con procedura DOCFA , la successiva attribuzione, da parte dell’ente impositore, della rendita catastale costituisce, una volta notificata, la base imponibile anche per le annualità “sospese” suscettibili di accertamento», con decorrenza però «dalla data della denuncia e con inclusione anche RAGIONE_SOCIALE annualità “sub iudice” (v. Cass. 16679 dell’11/06/2021; 26347 del 29/09/2021; 10126 del 2019; 11472 del 2018)», nel senso che «la decorrenza retroattiva, ai fini dell’adeguamento dell’imposta ICI, opera, dunque, dal momento della richiesta di attribuzione della rendita catastale attraverso la DOCFA, per i periodi successivi alla denuncia di variazione o di attribuzione della rendita, a prescindere dall’epoca di notificazione o di definitiva attribuzione (Sul punto anche Cass. n. 16701/2007; n. 2017, n. 27024, in motiv; Cass. 7434/2014; SS. UU. 3160/2011; n. 9595/2016; n. 4613/2018; n.22653/2019, in motiv.; Cass. n. 29898/2020, in motiv.; n. 16679/2021, in motiv. (così Cass. Sez. T,
15 marzo 2022, n. 8358 cit. e, nello stesso senso, tra le tante, Cass. Sez. V, 4 luglio 2022, n. 21115 e, da ultimo, Cass., Sez. T, 15 giugno 2023, n. 17244)» (così Cass. Sez. T., 17 agosto 2023, n. 24699).
In tale direzione, va condivisa l’affermazione della difesa del ricorrente nella parte in cui ha sostenuto che non è rilevante che l’atto di iscrizione in via transitoria in categoria D/8 da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, avvenuta il 23 novembre 2011, non sia stato impugnato, risultando sostituito con efficacia retroattiva dalle iscrizioni conseguenti alle domande presentate dagli interessati con le procedure docfa.
4.4. Nondimeno, detta osservazione va precisata con il rilievo secondo il quale l’effetto retroattivo, per la specificità della procedura adottata (docfa), consentanea alle variazioni effettuate, che hanno condotto al riconoscimento della ruralità prima esclusa, risale alla data della denuncia e, per quanto sopra detto, opera per gli anni successivi alla stessa e quindi non per quella dell’anno 2008, oggetto di causa, siccome antecedente alla predetta dichiarazione docfa del 10 agosto 2012.
La pretesa del contribuente non si è agganciata alla presentazione di una mera domanda di variazione catastale per la sussistenza dei requisiti di ruralità allo scopo di raggiungere in un breve arco temporale la regolarizzazione dei fabbricati rurali che non risultavano accatastati nella corretta categoria catastale, ma alla presentazione di una ordinaria domanda per la procedura docfa, che non ha, invece, decorrenza retroattiva quinquennale (cfr., sul principio, Cass., Sez. T. 8 giugno 2022, n. 18553), giacchè solo la domanda di variazione catastale riconducibile alla previsione dall’art. 7 d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (conv., con modif., dalla l. 12 luglio 2011, n. 106) può produrre effetti dal quinquennio antecedente (cfr. Cass., Sez. T, 22 maggio 2023, n. 14101, che richiama Cass., Sez. 5, 19 maggio 2017, n. 12689) .
Né poteva essere diversamente, poiché in presenza di un’attribuzione catastale per effetto del provvedimento del 23 novembre 2011, non oggetto di impugnazione, il superamento di tale classamento e la sua sostituzione poteva avvenire solo in ragione di un rappresentato e dimostrato mutamento dello stato di fatto, con efficacia dalla denuncia di tali eventi, come sopra esposto, non potendo altrimenti la variazione catastale essere affidata ad una autocertificazione per giunta contraria al pregresso, non risalente, accertamento dell’ufficio.
Ragionare diversamente comporterebbe una ingiustificata elusione, siccome consegnata alla sola autocertificazione di parte per giunta contraria agli accertamenti fattuali compiuti, del precedente provvedimento di attribuzione (per quanto provvisoria) di iscrizione catastale del 23 novembre 2011, superato con l’atto del 30 maggio 2020, solo a seguito RAGIONE_SOCIALE rettifiche operate con la menzionata procedura docfa.
4.5. Deve aggiungersi che le riflessioni sopra svolte assumono valore assorbente rispetto alle circostanze dedotte nel terzo e quarto motivo (omesso esame dell’atto di convalida del 30 maggio 2013 e dell’atto dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 20 maggio 2013) e della settima censura, relativa alla dedotta erronea considerazione di fatti non pertinenti alla questione rilevante (le verifiche effettuate dal Comune e dall’RAGIONE_SOCIALE, le dichiarazioni rese dal contribuente dinanzi al TAR sulla destinazione commerciale dei beni), giacchè, per le ragioni sopra esposte, la categoria rivendicata dall’istante non poteva e non può che valere dalla data della relativa denuncia ovvero dal 10 agosto 2012, per cui non può essere considera per l’anno di imposta, 2008, qui rilevante.
4.6. Per la medesima ragione la soluzione descritta non può essere impedita dal citato provvedimento del 20 maggio 2013, con cui l’RAGIONE_SOCIALE aveva accolto l’istanza di annullamento in autotutela dell’avviso di accertamento per il reddito IRPEF dell’anno d’imposta 2007, ove si consideri, al netto del tema concernente il
requisito di autosufficienza del motivo (non essendo stato riportato nel ricorso, neanche per estratto, la motivazione del relativo provvedimento, ma solo il fatto che l’avviso di accertamento Irpef anno 2007 è stato dichiarato privo di effetti e che le somme non erano dovute), che diversa è l’imposta qui in esame (ICI) o l’anno di riferimento (Irpef 2008/2009) e che del tutto peculiare alla vicenda in rassegna è la descritta modalità operativa della nuova attribuzione catastale, a partire -come detto – dalla data di presentazione del docfa successiva agli anni in esame, per cui, quale sia stata la ragione per la quale l’Ufficio abbia ritenuto di annullare l’avviso di accertamento Irpef per l’anno 2007, essa non può assumere alcuna rilevanza ai fini che occupano.
4.7. Rilievo diverso va invece operato in relazione ai dedotti giudicati esterni di cui alle sentenze della Commissione tributaria provinciale di Pistoia nn. 139/1/2014 e 335/1/2014 rispetto ai quali è dirimente osservare, in uno al fatto che il Giudice regionale ha ampiamente spiegato, in termini corretti, le ragioni per cui la seconda RAGIONE_SOCIALE citate sentenze non può sortire l’effetto di giudicato, che di esse sono stati riportati gli esiti RAGIONE_SOCIALE decisioni, ma non i contenuti RAGIONE_SOCIALE stesse.
Per tale via, il motivo non supera il vaglio dell’autosufficienza, dovendo sul punto richiamarsi il principio secondo cui « n el giudizio di legittimità, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato esterno invece negato dalla corte di appello deve, per il principio di autosufficienza del ricorso ed a pena d’inammissibilità dello stesso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (cfr. Cass. 15737/2017 e Cass. n. 17310/2020)» (così, tra le tante, Cass., Sez. III, 6 giugno 2023, n. 15846).
A tutto voler concedere, non può non osservarsi che la sentenza n. 139/1/2014 (prodotta in atti) ha riguardato altro anno di imposta (ICI 2007) e che la decisione si è basata su valutazioni di natura
giuridica (la validazione della richiesta docfa per silenzio assenso pe i beni di cui ai mappali 602/2 e 611/1) che, per le ragioni sopra esposte, non possono essere condivise.
Val la pena poi aggiungere che, sulla base dell’orientamento più volte espresso da questa Corte, il giudicato può formarsi ed essere invocato solo sulle circostanze che hanno costituito oggetto di apprezzamenti di fatto e non anche su questioni giuridiche.
Va, infatti, ribadito che l’attività interpretativa RAGIONE_SOCIALE norme giuridiche compiuta da un giudice, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da un altro giudice, dovendosi richiamare a tal proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dalla efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 cod. civ. rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello ” stare decisis ” (cioè del precedente giurisprudenziale vincolante”), che non trova riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale. (così Cass., Sez. V, 7 aprile 2022, n. 11331, che richiama Cass., Sez. 5, 21 ottobre 2013, n. 23723; Cass., Sez. 5, 15 luglio 2016, n. 14509 e Cass., Sez. T., 1° giugno 2021, n. 15215/2021).
Ne consegue che l’interpretazione e l’individuazione della norma giuridica posta a fondamento della pronuncia sulla domanda/eccezione non limita il giudice dell’impugnazione nell’esercizio del suo potere di individuare ed interpretare la disposizione applicabile al caso controverso e non sono, quindi, suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo di essa cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione (così sempre, Cass. Sez. V, 7 aprile 2022, n. 11331, che richiama Cass. I sez. 29 aprile 1976 n 1531; Cass., Sez. L., 23 dicembre 2003, n. 19679; Cass. Sez. III, 20 ottobre 2010, n, 216561; Cass., Sez. V, 21 ottobre 2013, n. 23723).
Alla stregua di tali ragioni, i predetti motivi di ricorso vanno complessivamente rigettati.
-Sull’ottavo motivo relativi ai manufatti realizzati su terreno demaniale –
Con tale doglianza NOME COGNOME ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché, a mente dell’art. 360, primo comma, num. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132, primo comma, num. n. 4, cod. proc. civ. per mancanza di motivazione ed ancora, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 111 e 3 Cost., sostenendo, in relazione all’ICI, che la Commissione non avrebbe preso in considerazione che:
-l’accatastamento dei manufatti precari su terreni demaniali disposto in via transitoria con il provvedimento del 23 novembre 2011 era stato soppresso dall’RAGIONE_SOCIALE per ‘errato censimento’, con variazione del 12 febbraio 2013 n. 5351.1/2013 (prot. NUMERO_DOCUMENTO) per la p.lla 610/1 e variazione del 14 febbraio 2013 n.5473.1/2013 (prot. NUMERO_DOCUMENTO) per la p.lla 543/1;
-era stato accolto il ricorso in autotutela proposto il 10 maggio 2013 per l’annullamento in autotutela avverso l’avviso di accertamento emesso dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto l’attribuzione della rendita catastale presunta iscritta in via transitoria in catasto, avendo l’RAGIONE_SOCIALE riconosciuto che « ‘sulla base del sopralluogo effettuato in data 6 febbraio 2013 si è verificato che i fabbricati risultano essere precari in quanto privi di copertura e pertanto non soggetti all’obbligo dell’accatastamento’» (v. pagina n. 32 del ricorso);
per tale motivo l’RAGIONE_SOCIALE nei propri avvisi di accertamento, oggetto del presente giudizio non ha considerato i manufatti realizzati su suolo demaniale ai fini della tassazione dei redditi IRPEF 2008 e 2009, escludendoli dal calcolo dell’imposta.
5.1. La difesa del Comune ha eccepito la novità della censura, ponendo in evidenza che « con il ricorso proposto innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pistoia il signor COGNOME nulla aveva dedotto in relazione ai due manufatti in questione, essendo il ricorso di prime cure relativo solamente alle particelle 168 sub 8, 609 sub 1 e 611 sub 1» (v. pagina n. 35 del controricorso).
9.2. Nel delineato contesto, va osservato, che, stante l’omessa pronuncia da parte del Giudice regionale, le tre censure sopra indicate non possono che ridursi alla violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., risultando del tutto inconferenti il richiamo all’omesso esame di un fatto decisivo (che non può riguardare la domanda) o il difetto di motivazione (che attiene alle ragioni poste fondamento dell’esame della domanda) e, sotto tale profilo, concorrono varie ragioni per considerare il motivo inammissibile.
5.3. Intanto, va rilevato che l’articolato motivo, in violazione del canone di autosufficienza, non contiene alcuna trascrizione o indicazione circa la deduzione della suddetta questione nelle sedi di merito, che non è stata scrutinata dal giudice del gravame.
Per giurisprudenza pacifica di questa Corte, « qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (tra le tante: Cass., Sez. 2^, 9 agosto 2018, n. 20694; Cass., Sez. 2^, 18 settembre 2020, n. 19560; Cass., Sez.
5^, 9 dicembre 2020, n. 28036; Cass., Sez. 6^-5, 23 marzo 2021, n. 8125; Cass., Sez. 5^, 5 maggio 2021, n. 11708; Cass., Sez. 6^5, 18 ottobre 2021, n. 28714; Cass., Sez. 5^, 29 ottobre 2021, n. 30863; Cass., Sez. 5^, 24 novembre 2021, n. 36393; Cass., Sez. 2^, 21 dicembre 2021, n. 40984; Cass., Sez. 5^, 15 marzo 2022, n. 8362; Cass., Sez. 5^, 6 dicembre 2022, n. 35885)» (così Cass., Sez. T, 21 febbraio 2023, n., 5429 e, nello stesso senso, Cass., Sez. T. 20 luglio 2023, n. 21727).
L’assenza di ogni riferimento alla proposizione di motivi di impugnazione avverso gli atti contestati, con la loro trascrizione e/o riassunto e la localizzazione RAGIONE_SOCIALE domande, anche con riferimento ai predetti manufatti realizzati su suolo demaniale, non consente, quindi, nemmeno di verificare se via stata un’omessa pronuncia da parte del Giudice di appello.
5.4. L’istante, infine, non ha specificamente dedotto la nullità della decisione derivante dalla citata omissione di pronuncia, non valendo a tal fine la mera richiesta di cassazione della sentenza valevole per tutti i vizi di cui all’art. 360 cod. proc. civ., il che vale a rendere il motivo ulteriormente inammissibile, essendosi il ricorrente limitato a sostenere l’omessa e/o insufficiente motivazione (cfr. sul principio Cass, S.U, 24 luglio 2013, 17931, richiamata da Cass., Sez. T, 8 maggio 2023, n. 12043; nello stesso senso, Cass. Sez. T., 4 novembre 2022, n. 3252; Cass., Sez. II, 7 maggio 2018, n. 10862).
Il nono motivo, basato sul principio di soccombenza RAGIONE_SOCIALE spese di giudizio, resta assorbito nel rigetto del ricorso.
– La decisione –
Alla stregua RAGIONE_SOCIALE considerazioni svolte i ricorsi vanno rigettati.
Le spese seguono la soccombenza tra il ricorrente ed il Comune, mentre nulla va disposto a favore dell’RAGIONE_SOCIALE che non ha svolto difese e nemmeno partecipato all’udienza pubblica.
Va, infine, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte del ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso contro il provvedimento di diniego di definizione agevolata della controversia ed il ricorso principale.
Condanna NOME COGNOME al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore del Comune RAGIONE_SOCIALE Pistoia, nella misura di 3.000,00 € per competenze, oltre accessori ed alla somma di 200,00 € per esborsi.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte del ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 novembre