Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5911 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 5911 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
Estinzione per definizione agevolata art. 1 commi 186 ss. Legge n.197/22- Diniego definizione-Istanza revocazioneOneri dell’Agenzia -Ricorso successivo contro il diniegoPrincipio di diritto
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8229/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-ricorrente – contro
DI RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura speciale allegata al controricorso, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME;
-controricorrente e ricorrente incidentalenonchè
DI NOME COGNOME, DI COGNOME NOME COGNOME DI COGNOME NOME
-intimati – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, n. 10142/2018 depositata in data 23/11/2018;
nonché
sul ricorso successivo proposto da
DI RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., DI NOME COGNOME, DI COGNOME NOME COGNOME, DI COGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura speciale allegata al ricorso, elettivamente domiciliati in Roma alla INDIRIZZO;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore ;
-intimataavverso il diniego di definizione agevolata emesso con provvedimento n. RAGIONE_SOCIALE, notificato a mezzo PEC in data 12.02.2024, e in pari data per i soci della Società con nn. RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e per la revocazione del decreto di estinzione n. 31000 del Presidente della sezione, pubblicato in data 7/11/2023; udita la relazione della causa tenuta nella pubblica udienza del 29/11/2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME udito il sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi avverso il diniego di definizione agevolata, il rigetto del ricorso per revocazione contro il decreto di estinzione;
udito l’avv. NOME COGNOME per l’Avvocatura Generale dello Stato; udito l’avv. NOME COGNOME per la parte contribuente.
FATTI DI CAUSA
Il giudizio ha origine ne ll’emissione, da parte dell’Ufficio, dell’avviso di accertamento n. TFK020201450/2016 a carico della società RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2012 ai fini Irap e d egli avvisi nei confronti dei soci ai fini delle imposte sui redditi per la corrispondente quota di partecipazione (recanti i nn. TFK010201453/2016, TFK010201458/2016, TFK010201454/2016) per la medesima annualità; gli accertamenti erano fondati sui seguenti rilievi: a) riqualificazione delle spese di pubblicità, totalmente deducibili, in spese di rappresentanza, deducibili solo in parte, per euro 45.025,70; b) non inerenza dei costi riportati nella fattura n. prot. 2/2013 emessa dalla società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Luigi, per mancanza di documentazione, per euro 9.680,00.
Contro tali avvisi i contribuenti proponevano distinti ricorsi che, previa riunione, erano accolti dalla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Avellino.
La Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno (CTR), rigettava l’appello erariale .
In particolare , rigettata l’originaria doglianza di nullità degli avvisi per difetto di delega del firmatario degli stessi, doglianza pure accolta dai primi giudici, i giudici d’appello nel merito evidenziavano che, per quanto riguardava le spese di pubblicità, l’appello conteneva nuove e quindi inammissibili motivazioni dell’accertamento (antieconomicità delle spese sostenute anziché riqualificazione delle spese di pubblicità quali spese di rappresentanza); per quanto riguardava invece la deducibilità del costo della prestazione fornita da RAGIONE_SOCIALE condividevano le argomentazioni dei primi giudici poiché erano stati
depositati la fattura n. 2/2013, il contratto, la programmazione pubblicitaria del 2012 e la pubblicità esposta nei carrelli della spesa dei centri commerciali.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione l ‘ Agenzia delle Entrate, sulla base di due motivi.
La società resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato affidato a un motivo.
Sono rimasti intimati NOME, NOME e NOME COGNOME.
In data 10/03/2023 l’Agenzia delle Entrate ha depositato istanza di trattazione evidenziando di aver emesso diniego avverso la domanda di definizione agevolata presentata ai sensi della legge n. 130 del 2022.
In data 4/09/2023 la società e i soci hanno depositato le domande di definizione agevolata ai sensi dell’art. 1, commi 186 e ss. , della legge n. 197 del 2022, chiedendo l’estinzione del giudizio .
Con decreto del Presidente della sezione tributaria n. 31000/2023 è stata dichiarata l’estinzione del giudizio, in considerazione dell’inserimento della controversia nell’elenco previsto dall’art. 40 , comma 3, d.l. n. 13 del 2023, attestante l’avvenuta presentazione della domanda di definizione agevolata ai sensi dell’art. 1, commi 186 e ss., della legge n. 197 del 2022 e l’assenza allo stato di diniego.
In data 12/04/2024 l’Agenzia delle entrate ha presentato «istanza di revocazione ex lege 197/2022, art. 1, comma 201 del decreto di estinzione», sul presupposto che in data 12/02/2024 e 20/02/ 2024 l’Ufficio ha notificato il diniego della domanda di definizione agevolata.
In data 17/04/2024 i contribuenti, società e soci, hanno depositato ricorso contro il diniego di definizione agevolata, notificato
in data 11/04/2024 all’Agenzia delle Entrate, la quale in relazione ad esso non ha svolto difese scritte.
La causa è stata rimessa alla pubblica udienza del 29/11/2024, per la quale è stata depositata memoria da parte dei contribuenti.
Il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte per l’accoglimento del ricorso contro il diniego di definizione agevolata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate è affidato a due motivi.
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., si deduce vio lazione e falsa applicazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 ; l’Agenzia censura la statuizione della CTR che ha ritenuto che le argomentazioni dedotte in appello (antieconomicità delle spese) configurassero motivi nuovi rispetto a quelli fondanti l’accertamento (la riqualificazione della spese di pubblicità in spese di rappresentanza, per mancanza di un nesso diretto di relazione tra lo sponsor e l’attività di impresa) e quindi inammissibili; deduce che non poteva in tal caso parlarsi di motivi nuovi in quanto si era limitata ad evidenziare che il proprio assunto era corroborato dallo scarso ritorno economico delle spese stesse.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’a rt. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la difesa erariale deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del t.u.i.r. e dell’art. 2697 c od. civ. nonché dell’art. 115 c od. proc. civ.; nel censurare la statuizione relativa alla ripresa del costo con la RAGIONE_SOCIALE evidenzia che la documentazione prodotta (fattura e preventivo sottoscritto) non sia idonea a provare l ‘ effettività e l ‘ inerenza del costo.
Il ricorso incidentale condizionato della società è affidato a un motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc.
civ., con cui si deduce la violazione dell’art. 42, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, e si censura la sentenza della CTR laddove ha ritenuto fondato l’appello (e infondato il ricorso originario) in merito alla nullità degli avvisi firmati da funzionari in forza di deleghe impersonali, prive del nominativo del soggetto delegato.
Il ricorso contro il diniego di definizione agevolata è affidato a due motivi.
Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1, comma 198, della legge n. 197 del 2022 e 391 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; si chiede la cassazione dei dinieghi di definizione impugnati per violazione o falsa applicazione delle norme indicate in quanto, a seguito del deposito, in data 7/11/2023, del decreto di estinzione del giudizio e nonostante l’avvertimento di cui all’art. 391 cod. proc. civ. sulla facoltà della parte interess ata di chiedere la fissazione dell’udienza, l’Agenzia delle Entrate non si è avvalsa di tale facoltà, favorendo l’estinzione del processo a seguito del controllo della Corte: i ) sulla regolare presentazione dell’istanza di definizione agevolata della lite pendente; ii ) sul regolare e rituale versamento dell’importo dovuto per effetto della presentazione della predetta istanza (nel caso de quo in unica soluzione); iii ) sull’assenza di alcun diniego al perfezionamento della predetta istanza.
Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1, commi 186 e 200 , della legge n. 197 del 2022, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; i ricorrenti censurano i dinieghi di definizione opposti dall’Ufficio, in quanto non solo la disciplina in esame non opera alcun riferimento, nemmeno indiretto, all’esclusione di istanze di definizione agevolata in relazione all’accertamento di condotte penalmente rilevanti dell’ organo
giudicante, ma, inoltre, ricorrerebbe la evidente inammissibilità del ricorso per revocazione presentato dall’Ufficio.
Occorre per motivi di ordine logico esaminare prioritariamente il ricorso contro i dinieghi, affidato a due motivi.
La decisione sul diniego di condono si pone in «stretto rapporto di pregiudizialità» rispetto a quella concernente l’atto impositivo. Infatti, come è stato chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 27/01/2016, n. 1518, il condono fiscale costituisce «una forma atipica di definizione del rapporto tributario, che prescinde da un’analisi delle varie componenti ed esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria e immediata» e, pertanto, la definizione agevolata, incidendo sul rapporto sostanziale e processuale tra il contribuente e il fisco, assume carattere logicamente prevalente su quest’ultimo».
Non conduce invero a conclusioni diverse la parzialmente differente regolamentazione propria della legge condonistica rilevante nel caso di specie, la legge n. 197/2022, alla luce delle considerazioni che saranno sviluppate nell’esame del primo motivo del ricorso successivo contro il diniego e alla luce della espressa previsione dell’art. 1, comma 201, che attribuisce la cognizione sul diniego al giudice che ha pronunciato l’estinzione .
Ciò premesso il ricorso contro il diniego deve essere respinto.
4.1. Con il primo motivo i ricorrenti attribuiscono all’A genzia un comportamento viziante il condono, non aver presentato istanza ai sensi dell’art. 391 cod. proc. civ., favorendo l’estinzione a seguito dell’accertamento della Corte sulla sussistenza dei relativi presupposti; pertanto, secondo l’assunto difensivo, l’estinzione sarebbe ormai definitivamente perfezionata.
Il motivo è infondato.
4.1.1. L’art. 1, commi 186 e ss., della legge n. 197 del 2022, ha previsto una nuova definizione agevolata delle controversie fiscali,
introducendo una disciplina applicabile a tutti i giudizi in corso, siano essi pendenti nei gradi di merito quanto in sede di legittimità, e che non prevede differenze processuali significative a seconda del grado in cui penda la controversia, salvo quanto si dirà.
I commi 197 e 198, della legge n. 197 del 2022, come modificati dall’art. 20, comma 1, lett. c), d.l. n. 34 del 2023, dispongono che il contribuente che intende aderire alla definizione agevolata delle controversie pendenti ha l’onere di depositare, entro il 10 ottobre 2023, «presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia, copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata» e, in tal caso, «il processo è dichiarato estinto con decreto del presidente della sezione o con ordinanza in camera di consiglio se è stata fissata la data della decisione. Le spese del processo restano a carico della parte che le ha anticipate».
Ai sensi del comma 200 dell’art. 1 cit. «L’eventuale diniego della definizione agevolata deve essere notificato entro il 30 settembre 2024 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego è impugnabile entro sessanta giorni dalla notificazione del medesimo dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. Nel caso in cui la definizione della controversia è richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale può essere impugnata dal contribuente unitamente al diniego della definizione entro sessanta giorni dalla notifica di quest’ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine».
Ai limitati fini del giudizio di cassazione, peraltro, occorre evidenziare la previsione dell’art. 40, comma 3, del d.l. n. 13 del 2023, sopra citato, che dispone che «Al fine di conseguire gli obiettivi di riduzione del numero dei giudizi pendenti dinnanzi alla Corte di Cassazione di cui alla Riforma 1.7 “Giustizia tributaria” della Missione 1, Componente 1, Asse 2, del Piano nazionale di ripresa e resilienza
mediante la riduzione dei tempi per la dichiarazione di estinzione dei giudizi di legittimità ai sensi dell’articolo 1, comma 198, della legge 29 dicembre 2022 n. 197 e dell’articolo 391 del codice di procedura civile, l’Agenzia delle entrate, fermi restando gli oneri posti a carico del contribuente, provvede a depositare entro il 31 ottobre 2023 presso la cancelleria della Corte di cassazione un elenco delle controversie per le quali è stata presentata domanda di definizione, con l’indicazione dei relativi versamenti previsti dal comma 197 del medesimo articolo 1».
Il comma 201, infine, prevede che «Per i processi dichiarati estinti ai sensi del comma 198, l’eventuale diniego della definizione è impugnabile dinanzi all’organo giurisdizionale che ha dichiarato l’estinzione. Il diniego della definizione è motivo di revocazione del provvedimento di estinzione pronunciato ai sensi del comma 198 e la revocazione è chiesta congiuntamente all’impugnazione del diniego. Il termine per impugnare il diniego della definizione e per chiedere la revocazione è di sessanta giorni dalla notificazione di cui al comma 200».
Questa Corte ha già chiarito che la definizione agevolata in esame, a differenza di quelle previste da leggi antecedenti, determina l’estinzione del giudizio alla sola condizione del deposito della domanda di definizione agevolata e della prova del pagamento di quanto dovuto o della prima rata (Cass. 11/06/2024, n. 16240; Cass. 01/03/2024, n. 5534), senza dover attendere il termine assegnato all’Agenzia per la emissione e notificazione del diniego.
Le precedenti disposizioni condonistiche, invece, subordinavano l’estinzione del processo ad una comunicazione dell’ente impositore attestante la regolarità del condono o prevedevano (in tal senso per esempio l’art. 6, comma 10, d.l. n. 119 del 2018) che all’atto del deposito della domanda del contribuente iniziasse a decorrere un periodo di sospensione del processo, all’esito del quale egli poteva
vedersi definire la propria domanda tacitamente, ove nessuna parte avesse fatto istanza di trattazione entro il termine, salva la possibilità dell’amministrazione di emettere il diniego, con possibilità in tal caso del contribuente di impugnare il diniego.
La recentissima Corte Cost. n. 189 del 2024 ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 53 e 111 Cost., dell’art. 1, comma 198, della legge n.197 del 2022, laddove dispone che il processo è dichiarato estinto in caso di deposito di copia della domanda di definizione agevolata e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, in quanto frutto di una scelta non irragionevole nell’ottica di favorire l’immediata chiusura delle controversie tributarie pendenti e di incentivare i pagamenti non ancora eseguiti, ed evidenziando che essa neppure comporta alcun effetto preclusivo del processo.
La legge condonistica ha però espressamente previsto (al comma 200) che l’amministrazione pote sse, entro il 30/09/2024, emettere diniego di condono e che ciò costituisca motivo della «revocazione» del decreto di estinzione, revocazione cui il comma 201 attribuisce, cioè, gli effetti di rimozione del decreto di estinzione e di attivazione della prosecuzione del giudizio sul merito della lite.
Il testo del comma 201 sul punto è inequivoco; nella sua prima proposizione esso prevede che, ove sia stato emesso provvedimento di estinzione, l’eventuale diniego sia impugnabile davanti allo stesso organo giurisdizionale che l’ha pronunciata; successivam ente dispone che il «diniego è motivo di revocazione del provvedimento di estinzione e la revocazione è chiesta congiuntamente all’impugnazione del diniego».
Nel sistema così descritto la revocazione condonistica, pur se rivolta contro un provvedimento idoneo a definire il processo, presenta caratteristiche peculiari in quanto trova il suo presupposto in un atto
emesso da una delle parti del giudizio ed è rivolto nei confronti di un provvedimento immune da vizi o comunque adottato in presenza dei presupposti che la legge stessa prevede; essa è finalizzata alla rimozione della dichiarazione di estinzione e a consentire la ripresa del giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, ripresa resasi necessaria alla luce dell’intervenuto diniego della definizione agevolata.
Come evidenziato da Corte Cost. n. 189 del 2024, il tenore letterale peraltro non esclude che l’amministrazione finanziaria possa attivare il rimedio della revocazione per il caso di diniego, senza attendere le iniziative del contribuente.
La disposizione deve quindi essere letta nel senso che, premesso che il diniego è motivo di revocazione e che l’istanza di revocazione del decreto e l’impugnazione del diniego sono atti diversi, essa si limita a disporre che, ove sia il contribuente a voler contestare il diniego, questi debba proporre congiuntamente al ricorso contro il diniego anche l’istanza di revocazione; essa quindi, in primo luogo, configura il diniego come motivo di revocazione (suscettibile di essere fatto valere da entrambe le parti in causa), e, in secondo luogo, prevede che, nel caso in cui ad agire sia il contribuente, l’istanza di revocazione e il ricorso contro il diniego siano proposti congiuntamente, al fine di evitare potenziali conflitti di giudicato e alla luce della stretta connessione esistente tra la domanda di definizione e la lite fiscale già pendente (connessione che è alla base della correlata disposizione che attribuisce al giudice del processo la cognizione anche sul diniego); in sintesi può dirsi che viene estesa la competenza del giudice del processo sul ricorso contro il diniego, già prevista per le altre forme condonistiche, anche al caso in cui tale processo sia stato definito, in virtù dell’innovativo meccanismo sopra descritto.
La conclusione della legittimazione dell’Agenzia delle Entrate a proporre l’istanza di revocazione appare confermata dal positivo
riscontro della sussistenza di un interesse della stessa a rimuovere il provvedimento estintivo, conseguente alla ricognizione degli effetti dell’estinzione prevista dal comma 198.
La stessa Corte Costituzionale ha infatti espressamente evidenziato che «se è il contribuente che ha interesse a dolersi del diniego della definizione agevolata, viceversa la revocazione del provvedimento di estinzione motivata con il diniego della definizione è esperibile dall’amministrazione finanziaria, la quale non voglia sentirsi più vincolata, dopo il sopravvenuto diniego della definizione agevolata, all’esecuzione di una conciliazione annullata, né privata della facoltà di ripristinare la sottostante controversia per far valere la propria originaria pretesa tributaria».
Come già evidenziato da questa Corte (Cass., Sez. U., 27/01/2016, n. 1518, richiamando diversi arresti della Corte costituzionale), l’effetto normale del condono è infatti quello di elidere la res litigiosa mediante un pagamento in misura predefinita e di elidere le conseguenze sanzionatorie amministrative e penali.
Il condono fiscale, secondo Corte Cost. n. 172 del 1986, ha natura meramente procedurale e più esattamente, secondo Corte Cost. n. 321 del 1995, costituisce una forma atipica di definizione del rapporto tributario, che prescinde da un’analisi delle varie componenti ed esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria e immediata, nella prospettiva di recuperare risorse finanziarie e ridurre il contenzioso, e che esula dalla funzione dell’accertamento dell’imponibile.
Alla luce di tale impostazione s’è quindi evidenziato che la conseguenza processuale del condono è la cessazione della materia del contendere.
Nel processo tributario di merito sia di primo grado che di appello (ex art. 61 d.lgs. n. 546 del 1992) la vicenda è quindi stata ricondotta
alla generale previsione dell’art. 46 d.lgs. n. 546 del 1992, che, sotto la rubrica «estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere», stabilisce che «il giudizio si estingue nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere» e che «la cessazione della materia del contendere è dichiarata con decreto del presidente o con sentenza della commissione».
Nel giudizio di legittimità l’effetto definitorio è normalmente ricondotto alla previsione dell’art. 391 cod. proc. civ. e all’estinzione del processo disposta per legge (Cass., Sez. U., 23/09/2014, n. 19980; Cass. 03/10/2018, n. 24083, anche per il caso in cui il legislatore non abbia testualmente previsto l’estinzione quale formula di definizione). Nel sistema condonistico in esame, peraltro, il richiamo all’art. 391 cod. proc. civ. è esplicitamente compiuto dallo stesso legislatore, con il su riportato art. 40, comma 3, d.l. n. 13 del 2023.
Si è quindi affermato che nel processo tributario, l’estinzione del giudizio di legittimità per cessata materia del contendere comporta conseguenze di ordine sostanziale sul contenuto delle domande, determinando, in virtù della cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in giudicato, in quanto non più attuali in ragione del venire meno del contrasto tra le parti (Cass. 13/07/2016, n. 14258). Viene, cioè, meno la regolazione della fattispecie operata dalle precedenti decisioni.
Il comma 196 dell’art. 1 della legge n. 197 del 2022 prevede espressamente che gli effetti della definizione perfezionata prevalgono su quelli delle eventuali pronunce giurisdizionali non passate in giudicato anteriormente alla data di entrata in vigore della legge.
Si tratta peraltro di un fenomeno estintivo diverso – in ragione delle peculiarità del processo tributario -sia da quello disciplinato dall’art.
310 cod. proc. civ., il cui secondo comma fa infatti salve le sentenze di merito pronunciate nel corso del giudizio (Cass. 22/04/2015, n. 8150), sia da quello analogo, dell’art. 338 cod. proc. civ., ed anche infine da quello, invece diverso dalle prime due ipotesi, previsto per il caso di estinzione del giudizio di rinvio (di cui all’art. 393 cod. proc. civ. unitamente, per il processo tributario, all’art. 63 d.lgs. n. 546/1992), cui segue invece il consolidamento della pretesa fiscale (vedi, per tale specifica ipotesi, Cass. 7/06/2023, n. 16002; Cass. 12/04/2017, n. 9521; Cass. 23/11/2016, n, 23922; Cass. 19/10/2015, n. 21143; Cass. 3/07/2013, n. 16689; Cass. 28/03/2012, n. 5044; Cass. 8/02/2008, n. 3040; secondo un percorso giurisprudenziale che risale fi no a Cass. 8/01/1980, n. 119, in riferimento all’ingiunzione fiscale) .
La stessa Corte costituzionale n. 189 del 2024 ha evidenziato «l’asimmetria e l’eterogeneità dei modelli dell’estinzione nel processo civile in quello tributario che hanno trovato costante conferma nella interpretazione dei diversi provvedimenti legislativi volti a favorire la definizione delle liti fiscali pendenti nel senso che in questi casi la declaratoria di estinzione, accertativa della intervenuta definizione di una controversia tributaria, importa la caducazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali resi nel processo relativo».
Tali conclusioni appaiono da confermare anche nella definizione agevolata prevista dalla legge n. 197 del 2022.
La disciplina in esame ha la sua peculiarità nella previsione di un provvedimento di estinzione (con decreto presidenziale o con ordinanza collegiale, se la causa è già fissata per la trattazione davanti al collegio, ma che potrebbe essere anche sentenza, ove siano impugnati cumulativamente più avvisi di accertamento, solo alcuni dei quali definiti) che è anticipato rispetto alla verifica da parte dell’Agenzia delle Entrate della sussistenza dei presupposti per accedere alla definizione agevolata ed è subordinato al solo controllo giudiziale della
presentazione della domanda e del pagamento della prima o unica rata; tale scelta è stata ritenuta da Corte Cost. n. 189 del 2024, come visto, pienamente legittima, data l’ampia discrezionalità legislativa nella conformazione degli istituti processuali per cui l’estinzione immediata delle liti fiscali definite anche con il pagamento della sola prima rata dell’importo dovuto è in armonia con gli obiettivi del legislatore di riduzione del numero dei giudizi tributari pendenti in attuazione degli impegni assunti nel PNRR.
Si tratta però di un effetto suscettibile di essere rimosso, in caso di emissione del diniego di condono , e che l’Agenzia delle entrate, quindi, evidentemente ha l’interesse a rimuovere ove non ne sussistano i presupposti sostanziali.
Tali considerazioni conducono quindi a ritenere che l’interesse del fisco a rimuovere il decreto di estinzione, sul presupposto della successiva emissione del diniego, sia testuale (in quanto non escluso dal comma 201) e sistematico (in quanto necessario per rimuovere gli effetti del subentro di una minore e diversa pretesa da definizione agevolata alla originaria obbligazione tributaria).
Deve quindi respingersi il primo motivo in quanto, ai sensi delle predette disposizioni, il decreto di estinzione di cui all’art. 1, comma 198, della legge n. 197 del 2022, postula la sola verifica dell’inserimento della lite nell’elenco delle controversie di cui all’art. 40 del d.l. 13/2023 o la verifica della presentazione della domanda di definizione e del pagamento della prima o unica rata; esso però è espressamente qualificato come revocabile, ai sensi del comma 201, su istanza dell’Agenzia delle entrate, sul presupposto che abbia emesso il dinego di condono, o del contribuente, che avrà l’onere di chiederne la revocazione unitamente al ricorso contro il diniego; la revocazione riattiva il giudizio sul merito dell ‘impugnazione dell’atto impositivo ; sul
diniego di condono, infine, vi è la cognizione del giudice che ha pronunciato l’estinzione .
Nel caso di specie, quindi correttamente l’Agenzia delle entrate ha presentato l’istanza di revocazione solo dopo aver emesso il diniego di definizione agevolata e sul presupposto di esso.
4.1.2. Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
In merito a tale motivo, occorre in primo luogo rilevare che i ricorrenti hanno depositato un solo atto di diniego, indirizzato alla società, che però è riferito ad una istanza di definizione agevolata proposta ai sensi della legge n. 130 del 2022 e non a quella che ha condotto all’estinzione della lite, avvenuta ai sensi della legge n. 197 del 2022.
Anche a voler far riferimento ai dinieghi prodotti dall’Agenzia delle entrate, occorre evidenziare che essi si fondano sulla considerazione che la sentenza oggetto di ricorso sia espressamente menzionata nel giudicato penale di condanna formatosi nel processo contro il Presidente della sezione; ciò premesso, l’Agenzia motivava in considerazione della impossibilità di quantificare il corretto importo da versare , sul rischio di abuso della definizione e sull’ interesse a proseguire l’azione, se non altro per u lteriori finalità risarcitorie (citando al riguardo Cass. n. 5682/2023 che ritiene indispensabile la previa revocazione straordinaria della sentenza corrotta prima di esperire un’azione risarcitoria ex art. 185 c.p.) ; ciò al fine di evitare che la stessa Corte tributaria di secondo grado chiamata a pronunciarsi sulla revocazione della sentenza corrotta dichiarasse con decreto l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 1, comma 198, della legge 197/2022 ; l’Agenzia evidenziava altresì che il contribuente aveva già ricevuto comunicazione di diniego di definizione agevolata, prot. n. 8702/2023, ai sensi dell’art. 5 della legge 31 agosto 2022, n. 130 sul
medesimo contesto e sulla base dei medesimi presupposti e il provvedimento non era stato impugnato dalla parte.
A fronte di ciò, il motivo dei contribuenti si fonda su tre asserzioni: a) l’assenza di una norma preclusiva al condono per casi del genere; infatti, la sola disciplina agevolativa che in passato espressamente prevedeva l’esclusione della definizione «per i soggetti nei cui confronti è stata esercitata l’azione penale per i reati previsti dal D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di cui il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di perfezionamento della definizione», era quella prevista dalla legge n. 289 del 2002 (art. 15, comma 1); b) il generale favor della Corte per il condono; c) l’assenza di strumentalità della lite , in base alla fondatezza delle proprie tesi difensive.
Si deve necessariamente premettere che questa Corte (Cass. 16/07/2010, n. 16724/2010 e Cass. 5/10/2018, n. 24486) ha già affermato il principio per cui il diniego deve essere congruamente motivato e le ragioni esposte nel diniego vincolano l’amministrazione che non potrà, nel giudizio avverso il diniego, introdurre nuove ragioni; coerentemente però anche il giudizio contro il diniego ha natura di impugnazione e il giudice è vincolato ai motivi esposti dal ricorrente, non potendo annullare il diniego per motivi diversi. Tali considerazioni valgono anche per la definizione agevolata prevista dalla legge n. 197 del 2022, alla luce delle considerazioni già esposte in precedenza.
In primo luogo, non può non rilevarsi che il secondo motivo esposto dai contribuenti nel ricorso, oltre ad essere reso incerto alla luce del predetto mancato deposito dei dinieghi, non si confronta propriamente con la motivazione erariale, sopra esposta.
La presenza della disciplina di cui all’art. 15, comma 1, della legge n. 289 del 2002, per quella forma condonistica, non ha infatti alcuna rilevanza nel caso di specie laddove la tesi erariale evidentemente fonda sulla considerazione che alcuna legge di condono possa regolare
ex ante il caso che la sentenza relativa al carico tributario oggetto di definizione possa essere oggetto di corruzione in atti giudiziari; del resto anche la disposizione citata aveva un’ altra finalità in quanto volta ad escludere dal condono coloro che fossero destinatari dell’azione penale in relazione agli stessi fatti fondanti la pretesa tributaria.
Né appaiono in alcun modo rilevare l’asserita fondatezza della tesi difensiva dei contribuenti, in quanto questione evidentemente attinente al merito della lite, o il generico assunto del favor del legislatore per il condono.
Né, infine, incide la dedotta inammissibilità della revocazione proposta dall’Agenzia contro la sentenza della CTR, questione che, pur non facendo parte dei motivi del ricorso, è pure richiamata all’inizio di esso, e che però appartiene all’esclusiva cognizione di qu el giudice; né risulta allegato il passaggio in giudicato della sentenza resa sulla revocazione.
Pertanto, rigettato il ricorso contro il diniego, occorre esaminare il merito della lite, e quindi il ricorso erariale, proposto in via principale, e il ricorso della società, proposto in via incidentale.
Il primo motivo del ricorso erariale attiene alla decisione con cui la CTR, nell’esaminare le ragioni di appello, in merito alla prima ripresa, relativa a costi di sponsorizzazione/pubblicità, li ha ritenuti nuovi e quindi inammissibili, in quanto la ripresa era fondata sulla qualificazione di tali costi e l’appello invece sulla loro antieconomicità.
5.1. Il motivo è ammissibile e fondato.
Il motivo è ammissibile in quanto, ove si tratti di questioni processuali, la Corte è anche giudice del fatto, con la conseguenza di non essere vincolato alla valutazione degli atti processuali compiuta dal giudice del merito (Cass. 17/01/2007, n. 978; Cass., Sez. U., 14/05/2010, n. 11730), purchè il vizio processuale sia correttamente
dedotto, come avvenuto nel caso di specie, con chiara indicazione deli motivi di appello e del contenuto rilevante dell’avviso di accertamento.
Il motivo è altresì fondato in quanto dalla tras crizione dell’appello e degl i stralci dell’avviso di accertamento appare evidente che la questione della cd. antieconomicità era dedotta dall’ufficio solo per evidenziare che la mancanza di aspettativa di ritorno commerciale era elemento funzionale a sostenere che si trattasse di spese di rappresentanza e non di pubblicità, il che era esattamente il proprium della ripresa fiscale.
Ha quindi errato la CTR a ritenere inammissibile l’appello perché fondato su nuove argomentazioni a sostegno dell’accertamento.
5.2. Il secondo motivo, attinente alla seconda e diversa ripresa, è invece inammissibile.
L’ufficio infatti deduce l’assenza di documentazione probatoria attestante l’effettività dell’attività svolta e la sua inerenza.
La CTR però ha espressamente evidenziato che il costo è documentato dalla fattura n. 2/2014 della RAGIONE_SOCIALE, dal contratto, dalla programmazione pubblicitaria e dalla pubblicità esposta nei carrelli delle spese dei centri commerciali, elementi cui l’Agenzia non fa alcun riferimento.
6. Alla luce dell’accoglimento parziale del ricorso principale, occorre esaminare il ricorso incidentale condizionato, che si fonda su un solo motivo relativo alla parte della decisione con cui la CTR ha accolto l’appello erariale in merito alla nullità dell’avviso per mancanza della indicazione nominativa del delegato alla firma dell’avviso di accertamento.
6.1. L’unico motivo del ricorso incidentale è infondato.
Questa Corte intende dare continuità all’orientamento, affermatosi già da alcuni anni, secondo il quale la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex art. 42, comma
1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni: poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass. 29/03/2019, n. 8814; Cass. 19/04/2019, n. 11013; Cass. 08/11/2019, n. 28850).
Con la delega di firma, dunque, il delegato non esercita alcun potere o competenza riservata al delegante, trovando titolo il suo agire nei poteri di ordine e direzione, coordinamento e controllo attribuiti al dirigente preposto all’ufficio (art. 11, comma 1, lett. c) e d) Statuto Agenzia delle entrate, approvato con delibera n. 6 del 2000; art. 14, comma 2, reg. amm. n. 4/2000), nell’ambito dello schema organizzativo della subordinazione gerarchica tra persone appartenenti al medesimo ufficio. Trattandosi di una delega per la sottoscrizione, pertanto, alla stessa non è applicabile la disciplina dettata per la delega di funzioni di cui all’art. 17, comma 1 -bis , del d.lgs. n. 165 del 2001, per cui non è richiesta né la sua temporaneità né una specifica motivazione (ancora di recente Cass. 19/02/2024, n. 4366).
Di tali principi ha dato retta applicazione la sentenza impugnata e quindi il ricorso incidentale va respinto.
Pertanto, e in conclusione, il ricorso contro il diniego di definizione agevolata deve essere respinto; il decreto di estinzione va pertanto revocato, con conseguente esame nel merito dei ricorsi, principale e incidentale; il ricorso principale dell’Agenzia delle entr ate
va accolto nel suo primo motivo, respinto il secondo, mentre il ricorso incidentale della parte contribuente va respinto.
La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Napoli, sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, per nuovo esame, e alla quale si demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte revoca il decreto di estinzione n. 31000 del 7/11/2023; rigetta il ricorso contro il diniego della definizione agevolata; rigetta il ricorso incidentale; accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigettato il secondo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata; rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente incidentale e successiva , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 29 novembre 2024.