Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26053 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26053 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/09/2025
CARTELLA DI PAGAMENTO -IRES CONSOLIDATO 2006.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12568/2018 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ;
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al controricorso;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 9012/2017, depositata il 20 ottobre 2017; nonché sul ricorso proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso;
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ;
-controricorrente – avverso il provvedimento di diniego della definizione agevolata della controversia ex art. 6 d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, conv. dalla l. 17 dicembre 2018, n. 136, notificato il 3 giugno 2020, n. 54417/2020 prot.;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 17 giugno 2025 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME
– Rilevato che:
NOME NOME impugnava, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, la cartella di pagamento n. 0712014-0118635033/002, avente ad oggetto somme dovute a titolo di IRES per l’anno 200 6 , per l’importo complessivo di € 767.142,00.
Tale cartella era stata emessa a seguito della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 3549 /2014, depositata l’8 aprile 2014 e divenuta definitiva in favore dell’Agenzia delle E ntrate, avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. TF3090102575/2011, emesso a carico della società RAGIONE_SOCIALE in qualità di società consolidante/controllante della società consolidata RAGIONE_SOCIALE in liquidazione. Per l’anno d’imposta in questione, la RAGIONE_SOCIALE (consolidante ) aveva esercitato l’opzione per il
consolidato fiscale ex art. 117 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (consolidata), per cui era stato notificato alla RAGIONE_SOCIALE.r.lRAGIONE_SOCIALE il predetto avviso di accertamento per IRES 2006, in qualità di controllante/consolidante, a seguito di rettifica operata sul reddito della società consolidata RAGIONE_SOCIALE in liquidazione. A seguito del ricorso tributario proposto dalla società controllante/consolidante RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento in questione, l’Ufficio, a titolo di riscossione frazionata in pendenza di giudizio, aveva proceduto ad effettuare una serie di iscrizioni a ruolo, tra cui quella impugnata.
Nel ricorso, il sig. COGNOME precisava di avere ricoperto la carica di amministratore della RAGIONE_SOCIALE sino alla data del 25 marzo 2010, e, successivamente, dal 26 settembre 2011 al 18 dicembre 2014, nonché, nel contempo (fino al 25 marzo 2010), la carica di presidente del C.d.A. della RAGIONE_SOCIALE società interamente controllata dalla RAGIONE_SOCIALE il contribuente deduceva quindi l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo e della cartella impugnata, di cui chiedeva l’annullamento per: 1) omessa notifica dell’atto presupposto, in quanto l’avviso di accertamento n. TF3090102575/2011 non gli era stato notificato; 2) omessa motivazione dell’atto; 3) insussistenza della responsabilità solidale del ricorrente; 4) insussistenza della responsabilità per le sanzioni tributarie.
La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, con sentenza n. 25712/2015, depositata il 19 novembre 2015, accoglieva il ricorso, annullando la cartella di pagamento impugnata.
Interposto gravame dall’Agenzia delle Entrate , la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 9012/2017, pronunciata il 5 maggio 2017 e depositata in segreteria il 20 ottobre 2017 dichiarava inammissibile l’appello, confermando la sentenza impugnata e condannando l’Ufficio alla rifusione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 19 aprile 2018). l’Agenzia delle Entrate, sulla base di quattro motivi.
Ha resistito con controricorso COGNOME Giuseppe.
Nelle more del presente giudizio di legittimità, NOME presentava istanza di definizione agevolata ex art. 6 d.l. n. 119/2018, conv. dalla legge n. 136/2018, che tuttavia veniva rigettata dall’Ufficio con provvedimento n. 54417/2020 prot., notificato dall’Agenzia delle Entrate in data 3 giugno 2020.
Avverso tale diniego il contribuente ha proposto ricorso ex art. 6, comma 12, d.l. n. 119/2018, conv. dalla legge n. 136/2018, sulla base di un unico motivo.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Con decreto presidenziale del 14 marzo 2025 è stata fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l ‘adunanza in camera di consiglio del 17 giugno 2025, ai sensi degli artt. 375, comma 2, e 380bis .1 c.p.c.
– Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a quattro motivi.
1.1 . Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denuncia la nullità della sentenza impugnata per motivazione omessa o apparente, in violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art.
36 d.lg s. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Deduce, in particolare, parte ricorrente che la parte argomentativa della sentenza impugnata era assolutamente criptica, essendo composta da una sequenza di affermazioni prive di legami e quindi inidonea a costituire una sequenza logica cui attribuire un reale senso compiuto, contenendo altresì rinvii a temi ed argomenti totalmente inconferenti con la ratio decidendi della sentenza di primo grado, il cui contenuto era stato completamente travisato.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, l’Ufficio che , contrariamente a quanto affermato dai giudici di secondo grado, l’unico motivo fondante la decisione della C.T.P. risiedeva nella mancata notifica della cartella di pagamento alla RAGIONE_SOCIALE per cui la presenza , nella motivazione della sentenza d’appello, di considerazioni inconferenti rispetto al thema decidendum non sarebbero state comunque idonee a fondare una pronuncia di inammissibilità.
1.3. Con il terzo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 dello stesso codice di rito.
Deduce parte ricorrente che erroneamente la C.T.R. aveva ritenuto sussistente una carenza di interesse dell’Ufficio, in quanto la possibilità di estendere al Langella il titolo esecutivo emesso nei confronti della società non era comunque
circostanza idonea a far dubitare della sussistenza di un interesse alla prosecuzione del giudizio.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, infine, l’Agenzia delle Entrate prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Osserva parte ricorrente che la C.T.R. aveva omesso di considerare la determinante circostanza della emissione e notifica della cartella di pagamento, per le medesime causali, anche nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE
Con il ricorso proposto da NOME Giuseppe ex art. 6, comma 12, d.l. n. 119/2018, conv. dalla legge n. 136/2018, il contribuente eccepisce l’illegittimità del diniego opposto dalla domanda di definizione agevolata, deducendo -sulla base di un unico motivo -la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 cit., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c., in quanto la cartella di pagamento impugnata era da considerare un ‘atto impositivo’, trattandosi del primo e unico atto attraverso il quale la pretesa impositiva veniva estrinsecata nei confronti del ricorrente, e come tale rientrava tra le ipotesi di atto condonabile.
Cominciando, per evidenti ragioni di pregiudizialità logicogiuridica, lo scrutinio dei motivi dal ricorso proposto dal contribuente avverso il diniego della definizione agevolata opposto dall’Ufficio, ritiene la Corte che tale ricorso sia fondato.
Ed invero, il diniego è stato motivato sul presupposto che la presente lite non sarebbe definibile, «poiché l’atto oggetto della controversia, la C.P. n. 071 2014 01186350 33 (2006), non rientra tra quelli impositivi ai sensi dell’art. 6 del D.L. n.
119/2018. La cartella reca la partita di ruolo riferita all’IRES e sanzioni di cui all’avviso di accertamento n. TF3090102575/2011, redatto per l’anno d’imposta 200 6 a carico della RAGIONE_SOCIALE per la quale il sig. COGNOME è considerato coobbligato. Il giudizio incardinato dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento citato la ha vista soccombente, peraltro in via definitiva, sia in primo che in secondo grado. Più precisamente, con sentenza n. 70/35/2012, la C.T.P. di Napoli ha rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento citato; la sentenza è stata successivamente confermata dalla C.T.R. che, con la sentenza n. 3549/49/14 ha definitivamente concluso in senso favorevol e all’Ufficio il contenzioso avverso l’avviso di accertamento ».
Sul punto, va innanzitutto precisato che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ufficio, l’atto impugnato, pur essendo rappresentato da una cartella, ha natura di ‘atto impositivo’ ex art. 6, comma 1, d.l. n. 119/2018, conv. dalla legge n. 136/2018, essen do il primo atto con i quale l’ente impositore ha portato a conoscenza del contribuente NOME Giuseppe la propria pretesa impositiva nei confronti dello stesso contribuente. Al riguardo, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, allorquando una cartella di pagamento non è stata preceduta dalla notificazione di un avviso di accertamento (come avviene, ad es., nel caso degli accertamenti automatici ex art. 36bi s d.P.R. n. 600/1973), la cartella riveste anche la natura di ‘atto impositivo’, trattandosi del primo ed unico atto mediante il quale la pretesa fiscale è esercitata nei confronti del contribuente, conseguendone inoltre la sua impugnabilità ex art. 19 del d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546, anche per
contestare il merito della pretesa impositiva (Cass., sez. un., 25 giugno 2021, n. 18298; Cass. 27 agosto 2024, n. 23183; Cass. 24 ottobre 2019, n. 27271; Cass. 28 dicembre 2017, n. 31055).
E’ evidente, pertanto, come, nel caso di specie, in cui è pacifico che l’avviso di accertamento delle maggiori imposte non è stato notificato al contribuente, quale coobbligato solidale con le società consolidata e consolidante, la cartella di pagamento de bba essere qualificata come ‘atto impositivo’, e quindi rientri tra quelli che possono essere oggetto di definizione agevolata.
Quanto agli altri requisiti previsti dall’art. 6, comma 1, d.l. n. 119/2018, conv. dalla legge n. 136/2018, deve rilevarsi che è irrilevante il rilievo, contenuto nel provvedimento di diniego, secondo il quale «la controversia che il COGNOME intende definire non è volta alla sua estromissione dal ruolo, intestato anche ad altri contribuenti, bensì all’annullamento del ruolo e della cartella (…) Nella presente fattispecie, la cartella di pagamento e il ruolo oggetto di impugnazione sono intestati anche ad altri soggetti, sicché il petitum dell’azione del COGNOME è costituito dall’annullamento non di una pretesa a lui notificata per la volta bensì di atti, la cartella ed il ruolo, afferenti anche ad altre posizioni giuridiche soggettive non più definibili in via agevolata». Invero, il fatto che il ruolo riguardi anche altre posizioni non esclude che il sig. COGNOME possa definire quel ruolo con riferimento esclusivo alla sua posizione, e limitatamente al credito per il quale è stata esercitata la pretesa impositiva; del resto, è chiaro che, attraverso l’impugnazione della cartella di pagamento, il contribuente intende procedere all’annullamento del ruolo, ma sempre limitatamente alla
propria posizione, ragion per cui il rilievo in questione appare, prima che infondato, addirittura incomprensibile.
Ne discende, quindi, che: i ) la controversia è attribuita alla giurisdizione tributaria; ii ) è parte in giudizio l’Agenzia delle entrate; iii ) l’atto rientra tra quelli impugnabili, ed ha natura di atto impositivo; iv ) il ricorso in primo grado è stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore del d.l. n. 119/2018, e cioè entro il 24 ottobre 2018; v ) alla data della presentazione della domanda di definizione agevolata il processo non si era concluso con pronuncia definitiva; vi ) la c ontroversia non concerne risorse proprie della U.E. e l’I.V.A., né il recupero di aiuti di Stato.
Ciò determina l’accoglimento del ricorso proposto avverso il diniego di definizione agevolata, avendo il ricorrente versato l’importo del 5% del valore della controversia, ex art. 6, comma 2ter , d.l. n. 119/2018, conv. dalla legge n. 136/2018.
4 . L’accoglimento del ricorso contro il diniego di definizione agevolata comporta anche che il giudizio principale debba essere dichiarato estinto, per intervenuta definizione della controversia.
Sussistono giustificati motivi per la compensazione integrale tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità, stante l’intervenuta definizione in via amministrativa ed alla stregua della natura delle questioni giuridiche esaminate.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso contro il diniego di definizione agevolata e dichiara l’estinzione del giudizio.
Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME