Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2076 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2076 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
DINEIGO DEFINIZIONE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31670/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, NOME COGNOME
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. n. 2860/2018 depositata il 27/03/2018,
e sul ricorso di cui al sub-procedimento proposto da
COGNOME NOME, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, NOME COGNOME
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore ,
-intimata –
Avverso l’atto di diniego della definizione agevolata della controversia Tributaria, di cui alla domanda n. TF5 000025/2019 il 5 giugno 2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 novembre 2023 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME ricorre, nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE , che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe con la quale la C.t.r., in riforma della sentenza della C.t.p. di Napoli che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso l’avviso di accertamento con il quale, per l’anno di imposta 2010, era stato recuperato a tassazione un maggior reddito ai fini Irpef , ha accolto l’appello dell’Ufficio.
L’Ufficio, in particolare accerta va un maggiore imponibile, rispetto al reddito dei fabbricati dichiarato dalla contribuente, in ragione di un contratto di locazione registrato.
Successivamente, tuttavia, dopo aver preso atto, in ragione di quanto dichiarato dalla contribuente che l’immobile di cui al contratto di locazione era stato ceduto il 28 ottobre 2010 con atto registrato l’8 novembre 2010 procedeva, in autotutela, al parziale annullamento
dell’atto impositivo rideterminando il reddito in misura inferiore a quella originaria e la maggiore imposta accertata in euro 3.301,05.
Avverso detto avviso di accertamento, così come ridotto in sede di autotutela, la ricorrente frapponeva ricorso.
La RAGIONE_SOCIALE accoglieva il ricorso con sentenza riformata in appello.
Il contribuente depositava istanza di sospensione in pendenza della domanda di definizione agevolata della controversia, ai sensi dell’art. 6, comma 10, d.l. 24 ottobre 2018 n. 119.
L ‘ RAGIONE_SOCIALE ha depositato il provvedimento di diniego della definizione agevolata.
La ricorrente ha impugnato anche detto ultimo.
Con ordinanza interlocutoria n. 13046 del 2022 la sesta sezione della Corte, preso atto dell’impugnazione del dineigo, ha rimesso il ricorso alla quinta sezione
La contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con l’unico motivo del ricorso principale la contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 16, 17 e 49 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Censura la sentenza impugnata per non aver rilevato l’inesistenza della notifica dell’atto di appello e per non aver dichiarato l’appello improcedibile, sebbene la notifica fosse stata eseguita preso difensore privo di ius postulandi per essere stato sostituito già in primo grado da nuovo difensore ivi costituitosi e con domicilio eletto presso quest’ultimo.
Con il primo motivo di ricorso avverso il provvedimento di diniego la contribuente denuncia, in relazione all’art . 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma
5 e 6, d.l. 23 ottobre 2018, n. 119 convertito con modificazione dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136.
Censura il provvedimento di diniego per aver negato la definizione agevolata in ragione della mancata indicazione del codice tributo. Deduce che si tratta di motivo di diniego non previsto dalla legge e, comunque, frapposto ad una violazione formale del tutto irrilevante al fine della individuazione della lite.
Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 5 e 6, d.l. n. 119 del 2018, convertito con modificazione dalla legge n. 136 del 2018, e dell’art. 12, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Censura il provvedimento di diniego per aver negato la definizione agevolata assumendo il versamento, in sede di prima rata, di un importo inferiore rispetto a quello dovuto.
Osserva in proposito che il valore della controversia si era ridotto stante la rideterminazione del reddito ad opera dell’Ufficio in ragione della documentazione prodotta con la quale era stato dimostrato che l’immobile di cui al contratto di locazione era stato ceduto in data 28 ottobre 2010.
Su di un piano logico, è necessario esaminare con precedenza il ricorso avverso il diniego di definizione agevolata in quanto all’accoglimento conseguirebbe l’inammissibilità sopravvenuta dell’anteriore ricorso per Cassazione avente ad oggetto la cartella di pagamento.
Il ricorso è fondato.
4.1. L’Ufficio ha motivato il diniego di definizione agevolata assumendo che la contribuente aveva versato l’importo di euro 3.479,00 indicando, erroneamente (anziché il codici tributo relativi alla definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE liti pendenti) i codici tributo di cui
all’intimazione di pagamento emessa dall’Ufficio a seguito della sentenza della C.t.r. integralmente favorevole per l’U fficio stesso; che, pertanto, il versamento era stato effettuato a fronte dell’intimazione di pagamento provvisoria in pendenza del giudizio; che, a tutto voler concedere, la contribuente avrebbe comunque dovuto versare la differenza, stante il valore della lite oggetto di domanda, pari ad euro 4.421,00.
4.2. Il diniego è infondato.
L’art. 6 d.l. n. 119 del 2018 prevede che l e controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’RAGIONE_SOCIALE, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia. Il valore della controversia è stabilito ai sensi del comma 2 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.
Detta ultima norma stabilisce, a propria volta, che il valore della lite si determina in ragione dell’importo del tributo, al netto degli interessi e RAGIONE_SOCIALE eventuali sanzioni.
Ciò posto, risulta dal provvedimento di autotutela allegato dalla ricorrente che, a seguito del parziale sgravio, l’imposta dovuta era rideterminata in euro 3301,00 per irpef, in euro 137,00 per addizionali regionale ed in euro 41,00 per addizionale comunale, per un totale di euro 3479,00.
La somma che l’Ufficio ha indicato come dovuta nell’atto di diniego è quella determinata in ragione dell’originario accertamento (euro 4196,00 irpef, euro 174,00 addizionale regionale, euro 51, addizionale comunale, per un totale di euro 4421,00).
Va rammentato, tuttavia, che il giudizio è stato introdotto in primo grado in data 14 marzo 2016, ovvero successivamente al provvedimento di parziale annullamento con il quale l’Ufficio , agendo in autotuela, aveva ridotto l’importo dell’accertamento.
Le somme corrisposte, pertanto, sono esattamente quelle dovute.
È del tutto irrilevante, pertanto, che la contribuente abbia, come sostenuto dall’Ufficio , indicato i codici tributi errati perché riferiti all’intimazione di pagamento.
In primo luogo, la domanda di definizione agevolata conteneva espresso ed inequivoco riferimento al presente giudizio, pendente in Cassazione, e all’avviso di accertamento, sicché alcun equivoco poteva sorgere sul suo oggetto. Del resto, quest’ultimo stato correttamente individuato dall’Ufficio nell’atto di diniego.
In secondo luogo, l’ intimazione di pagamento -emessa a seguito di sentenza della C.t.r. che, accogliendo l’appello dell’ Ufficio, aveva confermato la legittimità dell’accertamento per come ridotto in autotutela -indicava esattamente gli importi dovuti per intero, ovvero euro 3301,00, pe Irpef, euro 137,00 per addizionale regionale ed euro 41,00 per addizionale comunale, corrispondenti a quanto pagato.
Ne segue, in definitiva, l’annullamento del diniego e l’affermazione della definibilità della presente lite ex d.l. 119 del 2018, art. 6.
Le spese del giudizio di diniego della definizione agevolata vanno compensate, considerata la particolarità del caso e l’esito estintivo della lite. Le spese del giudizio estinto, ai sensi dell’ultimo periodo dei comma 13 dell’art. 6 d.l. n. 119 del 2018, restano a carico della parte che le ha anticipate.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso avverso il diniego della definizione agevolata compensandone le spese; dichiara estinto il giudizio di cui al
ricorso avverso la cartella di pagamento con spese a carico di chi le ha sostenute.
Così deciso in Roma, il 29 novembre 2023.