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Deduzione spese pubblicitarie: il Fisco e il bilancio

Una società di calzature ammortizza le spese pubblicitarie in 10 anni a bilancio ma le deduce in 5 anni ai fini fiscali. L’Agenzia delle Entrate contesta la divergenza. La Corte di Cassazione conferma la legittimità dell’operato della società, stabilendo che la norma fiscale speciale sulla deduzione spese pubblicitarie permetteva questa scelta, anche se in contrasto con il principio di previa imputazione a conto economico. La sentenza chiarisce i limiti del disallineamento tra bilancio e dichiarazione fiscale per le norme vigenti all’epoca.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deduzione Spese Pubblicitarie: la Cassazione fa chiarezza sulla discrasia tra bilancio e fisco

La gestione della deduzione spese pubblicitarie rappresenta da sempre un punto di delicato equilibrio tra le norme civilistiche di redazione del bilancio e le disposizioni fiscali. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di disallineamento temporale, confermando la legittimità di una deduzione fiscale più rapida rispetto all’ammortamento contabile, sulla base della normativa vigente all’epoca dei fatti. Questa pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere l’interazione tra il principio di competenza e le norme speciali del TUIR.

I Fatti del Caso: La Divergenza tra Bilancio e Fisco

Una nota società operante nel settore calzaturiero aveva sostenuto ingenti spese pubblicitarie in un unico esercizio. Dal punto di vista civilistico, la società aveva scelto di capitalizzare tali costi e di ammortizzarli in un periodo di dieci anni, imputando una quota di un decimo al conto economico di ciascun esercizio. Tuttavia, ai fini fiscali, la stessa società aveva optato per una deduzione più accelerata, ripartendo il costo in cinque quote annuali costanti, come consentito dalla normativa tributaria dell’epoca. Di conseguenza, in sede di dichiarazione dei redditi, la società deduceva non solo la quota di ammortamento iscritta a bilancio, ma anche un’ulteriore somma, attraverso una variazione in diminuzione, per raggiungere l’importo fiscalmente ammesso di un quinto del costo totale. L’Agenzia delle Entrate contestava questa seconda deduzione, ritenendola illegittima in quanto non transitata per il conto economico, violando così il principio generale di previa imputazione.

La Questione Giuridica: È Legittima la deduzione spese pubblicitarie non imputata a bilancio?

Il cuore della controversia risiedeva nel conflitto tra due principi cardine del diritto tributario d’impresa. Da un lato, il principio di previa imputazione al conto economico (sancito dall’art. 75, comma 4, del TUIR, oggi art. 109), che lega la deducibilità di un costo alla sua iscrizione nel bilancio dell’esercizio. Dall’altro, la norma specifica per le spese di pubblicità (art. 74, comma 2, del TUIR, oggi art. 108), che offriva al contribuente un’opzione chiara: dedurre l’intero costo nell’anno o ripartirlo in cinque esercizi. La domanda era se questa norma speciale potesse prevalere sul principio generale, consentendo una deduzione extracontabile per la parte di costo non imputata a bilancio.

La Decisione della Cassazione sulla deduzione spese pubblicitarie

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando le decisioni dei giudici di merito e validando l’operato del contribuente. I giudici hanno stabilito che la norma sulla deduzione spese pubblicitarie era da considerarsi una disposizione di natura speciale, che consentiva una discrasia tra il trattamento fiscale e quello civilistico.

La Specialità della Norma Fiscale

Secondo la Corte, l’articolo 74, comma 2, del TUIR (nella sua versione ratione temporis applicabile) configurava una vera e propria opzione per il contribuente. Questa possibilità di scelta tra deduzione integrale e rateizzazione quinquennale era indipendente dal trattamento contabile adottato. Era sufficiente, ai fini della deducibilità, che le spese fossero annotate nelle scritture contabili, anche se non imputate per l’intero importo dedotto nel conto economico dell’esercizio. La norma fiscale, quindi, prevaleva sulla regola generale, permettendo la variazione in diminuzione operata dalla società.

L’Evoluzione Normativa e il Principio di Derivazione Contabile

La Corte ha anche sottolineato come questa specifica opzione sia stata eliminata con una modifica legislativa successiva (d.l. 244/2016), entrata in vigore nel 2017. A seguito di tale intervento, il principio di derivazione contabile è stato esteso in via generale a tutti i costi pluriennali. Oggi, quindi, le spese pluriennali sono deducibili fiscalmente nei limiti della quota imputabile a ciascun periodo d’imposta. La decisione della Corte, pur riferendosi al passato, evidenzia l’importanza di analizzare sempre la normativa vigente nel periodo d’imposta oggetto di accertamento.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione sul carattere speciale della normativa fiscale relativa alle spese pubblicitarie all’epoca vigente. I giudici hanno ribadito che l’articolo 74, comma 2, del TUIR offriva al contribuente una facoltà, uno ius variandi, che non poteva essere limitato dal diverso criterio di ammortamento adottato in bilancio. La previsione di una deduzione fiscale in cinque quote costanti era una regola autonoma, che derogava al principio generale di previa imputazione al conto economico. L’essenziale, per la legittimità della deduzione, era la corretta annotazione del costo originario nelle scritture contabili dell’azienda, garantendo così la tracciabilità e la certezza della spesa sostenuta. La discrasia tra il dato civilistico e quello fiscale era, pertanto, una conseguenza fisiologica e consentita dall’ordinamento tributario di allora.

le conclusioni

L’ordinanza in commento chiarisce in modo definitivo che, per i periodi d’imposta antecedenti alla riforma del 2017, la scelta di un ammortamento civilistico più lungo per le spese pubblicitarie non precludeva la possibilità di avvalersi della più favorevole deduzione fiscale quinquennale. Questa pronuncia è di fondamentale importanza per la gestione del contenzioso ancora pendente su tale materia. Al contempo, serve da monito per il presente: con la normativa attuale, il disallineamento tra il trattamento contabile e quello fiscale è stato superato, e vige il principio di derivazione contabile rafforzata, che impone una sostanziale coincidenza tra la quota di costo imputata a conto economico e quella dedotta ai fini fiscali.

Era possibile dedurre fiscalmente le spese di pubblicità in 5 anni anche se l’ammortamento civilistico era previsto in 10 anni?
Sì, secondo la Corte di Cassazione e la normativa vigente all’epoca dei fatti, era legittimo. La norma fiscale speciale (art. 74, comma 2, TUIR) offriva un’opzione autonoma che permetteva di ripartire la deduzione in cinque esercizi, indipendentemente dalla durata più lunga scelta per l’ammortamento in bilancio.

La deduzione fiscale di un costo richiede sempre la sua integrale imputazione al conto economico dell’esercizio?
Di norma sì, vige il principio di previa imputazione al conto economico. Tuttavia, come dimostra questo caso, possono esistere norme fiscali speciali che derogano a tale principio. La norma sulle spese di pubblicità era una di queste eccezioni, che consentiva una deduzione (tramite variazione in diminuzione) anche per la parte di costo non imputata al conto economico dell’anno.

La regola che permetteva la deduzione delle spese pubblicitarie in cinque anni a prescindere dal bilancio è ancora in vigore?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che questa opzione è stata eliminata a partire dal 10 marzo 2017. La normativa attuale ha esteso il principio di derivazione contabile a tutti i costi pluriennali, richiedendo che la deduzione fiscale segua i limiti della quota imputata a conto economico in ciascun esercizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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