Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2270 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2270 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 31/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.15987/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME (pec EMAIL), NOME COGNOME (pec EMAIL)e NOME COGNOME (pec EMAIL), elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
E
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore , domiciliata ope legis in Roma, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
ricorrente incidentale-
tributi
avverso la sentenza n.1695 della Commissione tributaria regionale della Liguria, pronunciata il 23 novembre 2016, depositata il 20 dicembre 2016 e non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 gennaio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ricorre con due articolati motivi contro l’Agenzia delle entrate , che resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale, avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha parzialmente accolto l’appello del la società contribuente, dichiarando non dovuta la sola sanzione tributaria irrogata, in controversia avente ad oggetto l’avviso di accertamento di maggiore Irap per l’anno di imposta 2007 .
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 22 gennaio 2025, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 -bis. 1 cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. dalla legge 25 ottobre 2016, n.197.
I n prossimità dell’udienza parte ricorrente ha depositato memoria .
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo del ricorso principale, la società denunzia , in relazione all’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., la violazione dell’art.1 32 , comma 2, n.4, dell’art.118 disp. Att. C.p.c., dell’art.36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n.546, e dell’art.111 Cost., per la mancata disamina dei motivi di appello, posto che la mera condivisione, priva di giustificazione, della sentenza di primo grado, non integra gli estremi di una motivazione effettiva.
1.2. Con il secondo motivo del ricorso principale, la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 , comma 1, lett.a), nn. 2 e 4, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.
1.3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate denunzia, in relazione all’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., la violazione dell’art.36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n.546., per la motivazione meramente apodittica ed assertiva priva di reali giustificazioni in ordine alla disapplicazione delle sanzioni.
I motivi del ricorso principale sono complessivamente fondati e vanno accolti, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale.
L ‘art. 11, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 446 del 1997, così come modificato dalla legge 27 dicembre 2006 n.296, esclude dal beneficio fiscale della deduzione ai fini IRAP di alcune poste relative al costo del lavoro, le «imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento rifiuti».
Ai fini dell’esclusione del beneficio, debbono concorrere i presupposti di legge dell ‘attività in “concessione” e della “tariffa” remunerativa.
In ordine al primo requisito, questa Corte ha gi à avuto occasione di precisare (vedi da ultimo Cass. n.19569/2023 e la giurisprudenza ivi richiamata; conf. Cass. n.22695/2023) che in tema di IRAP, poich é le imprese che svolgono attivit à regolamentata (cd. public utilities ), caratterizzate dall’operare in regime di concessione e a tariffa, sono escluse dal godimento degli sgravi sul costo del lavoro (cd. cuneo fiscale), ai fini agevolativi di riduzione della base imponibile rileva il regime in cui opera il contribuente, tenuto conto che nella concessione il corrispettivo è costituito dal diritto di gestire il servizio o i lavori oggetto del contratto con assunzione del rischio a carico del concessionario, mentre nel contratto di appalto esso consiste in un contributo economico erogato dalla stazione appaltante.
E’ stato poi sottolineato (vedi Cass. n.19569/2023 citata) che nello
stesso senso si è espressa la giurisprudenza comunitaria, secondo la quale si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalit à̀ di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest’ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi (Corte Giust. CE, 15 ottobre 2009, in C- 196/08), mentre in caso di assenza di trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione, l’operazione rappresenta un appalto di servizi.
In questo senso si sono pronunciate recentemente anche le Sezioni Unite di questa Corte che, sia pure nel contesto del riparto della giurisdizione, hanno chiarito che «in tema di affidamento di servizi da parte della P.A. ad imprese private, la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi risiede in ci ò , che i primi, a differenza delle seconde, riguardano di regola servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comportano il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione e non determinano, infine, in ragione delle modalit à di remunerazione, l’assunzione del rischio di gestione da parte dell’affidatario; pertanto, nell’ipotesi in cui l’amministrazione debba versare un canone al gestore dei servizi e questi non percepisca alcun provento dal pubblico indifferenziato degli utenti, il rapporto va qualificato in termini di appalto di servizi» (Cass., Sez. U, n. 10080/2020).
Nella fattispecie in esame, come si è detto, a i fini dell’esclusione dell’agevolazione , il requisito della concessione deve concorrere con quello della tariffa remunerativa.
A nche l’interpretazione corretta di tale ultimo elemento è stata chiarita recentemente da questa Corte, alla luce soprattutto della valutazione espressa dalla Commissione Europea.
La Commissione europea (dec. 12/09/2007 C -2007 4133, def.) ha riconosciuto la legittimit à dell’esclusione del beneficio fiscale, nei
confronti delle public utilities , prendendo atto che: (§ 33.) «le autorit à italiane hanno giustificato l’esclusione sostenendo che essa ha lo scopo di evitare la potenziale sovracompensazione generata dalla misura in quanto l’attuale livello delle tariffe è stato determinato tenendo conto dell’onere IRAP prima della riforma, ossia senza le deduzioni dalla base imponibile introdotte dalla misura. In effetti i pubblici servizi interessati sono soltanto quelli operanti in settori nei quali si tiene gi à interamente conto dell’onere fiscale nella determinazione della tariffa (§ 34). Inoltre, per quanto riguarda il futuro, le autorit à italiane si sono impegnate a far s ì che l’esclusione non determini n é vantaggi n é svantaggi per i pubblici servizi in quanto i costi fiscali continueranno a essere presi in considerazione. Per questi motivi l’esclusione dei pubblici servizi operanti in concessione e a tariffa non determiner à un vantaggio o uno svantaggio selettivo.».
Per questa ragione, tenuto conto della neutralit à dell’esclusione del beneficio fiscale rispetto ai servizi pubblici operanti in concessione e a tariffa, la Commissione europea ha negato che la misura costituisse aiuto di Stato, incompatibile con il mercato comune, ai sensi dell’art. 87, § 1., del trattato CE.
Anche con recenti pronunce, questa Corte ha affermato che, in tema di IRAP, il vantaggio fiscale della riduzione della base imponibile dichiarata, in applicazione delle deduzioni introdotte dall’art. 1, comma 266, della l. n. 296 del 2006 (cd. “riduzione del cuneo fiscale”, prevista dalla legge finanziaria 2007), che ha modificato l’art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 4, del d.lgs. n. 446 del 1997, non si applica alle imprese che svolgono attività regolamentata (ccdd. public utilities ) in forza di una concessione traslativa e a tariffa remunerativa, ossia capace di generare un profitto, essendo tale interpretazione del concetto di tariffa coerente con la ratio giustificatrice del cd. “cuneo fiscale” (Cass. n. 35633/2023).
In particolare, <>.
A giudizio di questa Corte, la necessit à d’intendere il criterio normativo della «tariffa» come «tariffa remunerativa», ossia capace di generare un profitto, è coerente con la ratio giustificatrice del c.d. cuneo fiscale: consentire, indiscriminatamente, a tutte le imprese operanti nel settore dei pubblici servizi di fruire delle deduzioni IRAP darebbe luogo a un utile insperato, genererebbe cio è quella sovracompensazione (secondo la terminologia dell’Amministrazione
finanziaria) capace di frustrare l’obiettivo perseguito dall’autorit à di regolamentazione con la fissazione delle tariffe; per converso, escludere dal beneficio fiscale le imprese del settore che applicano una tariffa non remunerativa, causerebbe uno svantaggio selettivo, ossia un pregiudizio economico del tutto ingiustificato (Cass. n. 35633/2023, citata).
La decisione impugnata non ha fatto buon governo di tali principi, peraltro omettendo ogni verifica in ordine alla remuneratività della tariffa contrattualmente stabilita.
In accoglimento del ricorso principale, assorbito quello incidentale, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 22 gennaio 2025