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Deduzione IRAP: quando si applica alle public utility?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2270/2025, ha stabilito che una società di trasporti pubblici operante in regime di concessione non è automaticamente esclusa dalla deduzione IRAP sul costo del lavoro. L’esclusione si applica solo se la tariffa praticata è ‘remunerativa’, ossia già calcolata per coprire i costi fiscali. La Corte ha cassato la sentenza precedente perché non aveva verificato questa cruciale condizione, rinviando il caso per un nuovo esame che valuti la natura della tariffa.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deduzione IRAP per le Public Utilities: La Cassazione fa Chiarezza

La questione della deduzione IRAP sul costo del lavoro per le imprese che operano in settori di pubblica utilità è da tempo al centro di un complesso dibattito giuridico. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta per delineare con precisione i confini applicativi dell’esclusione dal beneficio fiscale, introducendo un criterio fondamentale: la natura “remunerativa” della tariffa. Questa decisione offre importanti spunti di riflessione per tutte le società che operano in regime di concessione pubblica.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dal ricorso di una società di mobilità e trasporti contro un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate. L’amministrazione finanziaria contestava alla società l’indebita deduzione di alcune poste relative al costo del lavoro ai fini IRAP per l’anno d’imposta 2007. La normativa, infatti, esclude dal cosiddetto “taglio del cuneo fiscale” le imprese operanti in concessione e a tariffa in specifici settori, tra cui quello dei trasporti. La Commissione Tributaria Regionale aveva dato parzialmente ragione alla società, annullando le sanzioni ma confermando la pretesa fiscale. La società ha quindi impugnato tale decisione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Questione Giuridica: Deduzione IRAP e Tariffa Remunerativa

Il nodo centrale della controversia ruota attorno all’interpretazione dell’art. 11 del D.Lgs. 446/1997. La legge esclude dalla deduzione IRAP le imprese che operano in “concessione e a tariffa”. La Corte è stata chiamata a chiarire se questa esclusione sia automatica per tutte le public utilities o se richieda la coesistenza di specifici presupposti.

La difesa della società si basava sulla necessità di interpretare il concetto di “tariffa” in senso restrittivo, come “tariffa remunerativa”, ossia una tariffa già strutturata per coprire integralmente i costi operativi, incluso l’onere fiscale. Se così non fosse, negare la deduzione si tradurrebbe in un ingiustificato svantaggio economico.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Deduzione IRAP

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della società, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado. Gli Ermellini hanno stabilito che l’esclusione dal beneficio fiscale non è automatica ma subordinata alla compresenza di due requisiti: l’operatività in regime di concessione e l’applicazione di una tariffa specificamente “remunerativa”.

Richiamando la giurisprudenza nazionale e comunitaria, la Corte ha sottolineato che la ratio della norma è evitare una “sovracompensazione”. Se una tariffa è già stata calcolata tenendo conto dell’onere IRAP, concedere anche la deduzione sul costo del lavoro costituirebbe un doppio beneficio ingiustificato. Al contrario, se la tariffa non è remunerativa in tal senso, negare la deduzione creerebbe uno svantaggio selettivo, altrettanto ingiustificato.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su un’analisi logica e sistematica della normativa. I giudici hanno chiarito che il legislatore, nell’escludere le public utilities dalla deduzione, intendeva neutralizzare un potenziale vantaggio competitivo. L’esclusione è giustificata solo quando il livello delle tariffe è già stato determinato “tenendo conto dell’onere IRAP prima della riforma”. In assenza di questa condizione, l’esclusione perde la sua ragione d’essere.

La Corte ha quindi censurato la decisione di merito per non aver svolto alcuna indagine sulla natura della tariffa applicata dalla società di trasporti. Il giudice di secondo grado si era limitato a constatare l’operatività in regime di concessione, omettendo la verifica cruciale sulla remuneratività della tariffa. Questo errore procedurale ha portato alla cassazione della sentenza, con l’obbligo per il giudice del rinvio di accertare se, nel caso specifico, la tariffa contrattualmente stabilita fosse o meno remunerativa ai fini fiscali.

Conclusioni

Questa pronuncia rappresenta un punto fermo per le imprese del settore dei servizi pubblici. La Cassazione stabilisce un principio di equità sostanziale: l’accesso alla deduzione IRAP non dipende da un’etichetta formale (essere una public utility), ma da una valutazione concreta del meccanismo tariffario. Le società che operano in concessione dovranno quindi essere pronte a dimostrare, in caso di contenzioso, che le loro tariffe non sono state determinate includendo già l’intero carico fiscale IRAP. Per l’amministrazione finanziaria, d’altro canto, non sarà più sufficiente invocare la natura pubblica del servizio per negare l’agevolazione, ma dovrà provare l’effettiva natura remunerativa della tariffa applicata dal contribuente.

Una società che opera in concessione nel settore dei trasporti pubblici è sempre esclusa dalla deduzione IRAP sul costo del lavoro?
No, non è sempre esclusa. L’esclusione si applica solo se concorrono due presupposti: l’attività in “concessione” e una “tariffa” di tipo “remunerativo”, ovvero capace di generare un profitto tenendo già conto dell’onere fiscale.

Cosa intende la Corte per “tariffa remunerativa” ai fini dell’esclusione dalla deduzione IRAP?
Per “tariffa remunerativa” si intende una tariffa il cui livello è stato determinato tenendo già conto dell’onere IRAP. In questo caso, concedere la deduzione creerebbe una “sovracompensazione”, ovvero un vantaggio ingiustificato, che è ciò che la legge intende evitare.

Qual è la differenza fondamentale tra “concessione di servizi” e “appalto di servizi” secondo la Cassazione?
La differenza risiede principalmente nel trasferimento del rischio di gestione. Nella concessione, il corrispettivo è il diritto di gestire il servizio e il concessionario si assume il rischio operativo. Nell’appalto, il corrispettivo è un contributo economico pagato dalla stazione appaltante e il rischio non viene trasferito al prestatore del servizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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