Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5109 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5109 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
tributi -Irap -deducibilità -cuneo fiscale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24664/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dal l’avvocato NOME COGNOME (pec EMAIL, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME.
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore , domiciliata ope legis in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende
-controricorrente – avverso la sentenza n. 26 emessa dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo -Sezione Staccata di Pescara, sez. 7,
pronunciata in data 12 dicembre 2018, depositata in data 15 gennaio 2019 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
La società NOME RAGIONE_SOCIALE ricorre con due motivi nei confronti del l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, indicata in epigrafe, che ha respinto l’impugnazione del contribuente, confermando la decisione della Commissione Tributaria Pr ovinciale di Chieti relativamente all’esclusione della società dal beneficio delle deduzioni in tema di riduzione del cuneo fiscale ai fini Irap.
In particolare, la C.t.r. riteneva che la contribuente, che aveva impugnato l’avviso di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, agisse in forza di una concessione traslativa e che, ai fini dell’esclusione dell’agevolazione fiscale, assumesse rilevanza la sola circostanza ch e nel sistema di remunerazione dei servizi si tenesse conto dei costi nell’ottica di una conservazione dell’equilibrio economico -finanziario dell’attività, non assumendo dunque natura dirimente il fatto che la determinazione della tariffa non fosse direttamente influenzata dai costi di servizio e, specificamente, dai costi fiscali cui la concessionaria è onerata.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 19 febbraio 2025, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 -bis. 1 cod. proc. civ., il primo come modificato e il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n. 168, conv. dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
In prossimità dell’udienza parte ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, la contribuente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 1, lett. a), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, nonché dell’art. 6, primo comma, della l. 10 aprile 1981, n. 151, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
La ricorrente censura le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito, il quale ha ritenuto che il rapporto negoziale fosse riconducibile alla figura della concessione traslativa; ciò, sulla base di una generica ricostruzione dei principi regolatori discendenti da un’analisi sistematica normativa e giurisprudenziale, senza, tuttavia, alcun ancoraggio al caso di specie e al negozio disciplinante il rapporto sinallagmatico sussistente tra la società e la pubblica amministrazione.
Secondo l’argomentazione attorea, il sistema delineato dalla legge quadro n. 151 del 1981 configurerebbe un appalto di servizi tra la pubblica amministrazione e la società concessionaria del servizio di trasporto pubblico locale, in quanto la differenza tra costi e ricavi sarebbe sopportata in via esclusiva (o, quantomeno, in via sostanzialmente prevalente) dall’ente concedente, il quale sarebbe onerato di garantire l’equilibrio economico -finanziario della gestione.
Secondo la ricorrente, nella specie, non sarebbe rinvenibile alcuna traslazione del rischio della gestione in capo all’impresa concessionaria, che si rivale solo marginalmente sulla pubblica utenza in forza della tariffa; con la conseguenza che, configurandosi un appalto di servizi, nel caso in esame mancherebbe uno dei due requisiti, cumulativi e non alternativi, richiesti per l’esclusione dal beneficio fiscale.
Con il secondo motivo di ricorso, la società lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 1, lett. a), del D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, nonché dell’art. 6, primo comma, della L. 10
aprile 1981, n. 151, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
La ricorrente si duole del provvedimento impugnato, nella parte in cui è stata accertata la sussistenza dell’ulteriore requisito escludente il beneficio fiscale, quello della ‘tariffa remuneratoria’.
La contribuente sostiene che la legge quadro n. 151 del 1981 non configurerebbe nel caso in esame alcuna tariffa remunerativa, in quanto i ricavi del concedente sarebbero suddivisi tra (i) l’erogazione delle tariffe da parte degli utenti, le quali vengono fissate dalla pubblica amministrazione in modo da contemperare le esigenze sociali e, di conseguenza, risultano inidonee a produrre un surplus rispetto al costo del servizio e a compensare gli oneri fiscali, e (ii) i contributi di esercizio riconosciuti da ll’Ente concedente, finalizzati a garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione e a compensare il disavanzo tariffario.
Il Giudice di appello sarebbe dunque incorso in errore, interpretando il suddetto requisito in contrapposizione rispetto a quanto dichiarato dal Governo italiano in occasione della decisione della Commissione Europea, ove era stato evidenziato come l’esclusione dalla deduzione fosse da riconoscersi soltanto allorquando la tariffa fosse già ‘sensibile’ all’ Irap, in forza di un meccanismo di adeguamento automatico della tariffa.
I due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente; essi sono fondati e vanno accolti.
Nel caso di specie si discute dell’applicazione dell’art. 11, comma 1, lett. a), D. Lgs. n. 446 del 1997, così come modificato dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, il quale esclude dal beneficio fiscale della deduzione, ai fini Irap, di alcune poste relative al costo del lavoro, le «imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle
telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento rifiuti».
Occorre premettere che, in materia di c.d. cuneo fiscale, questa Corte, con giurisprudenza ormai consolidata, ha avuto modo di chiarire che «la misura agevolativa in argomento non si applica alle imprese che svolgono attività ‘regolamentata’ (cc.dd. ‘ public utilities ‘), ossia operano in situazione di ‘mercato protetto’. Il che si verifica allorché la gestione avviene sulla base di una concessione traslativa (con la quale l’ente pubblico conferisce ad un soggetto privato diritti o potestà inerenti un’attività economica in origine riservata alla pubblica amministrazione), ricevendone (sotto il profilo economico) un corrispettivo costituito da una tariffa, ossia un prezzo fissato o regolamentato dalla stessa pubblica amministrazione, da intendersi in senso proprio come corrisposto direttamente dall’utenza. Tariffa che però, per escludere il beneficio, deve assicurare l’equilibrio economicofinanziario dell’investimento e consentire in tale ambito di scontare il costo derivante dall’imposizione Irap» (tra le ultime, Cass. civ., sez. trib., n. 4612 del 21 febbraio 2024 e giurisprudenza ivi citata).
L’esclusione del beneficio richiede, dunque, la concorrenza di ambedue i presupposti di legge della concessione e della tariffa.
3.1. In ordine alla sussistenza del primo requisito, l ‘individuazione del rapporto negoziale in forza del quale opera il contribuente discende dalla premessa secondo la quale nella concessione il corrispettivo è costituito dal diritto di gestire il servizio o i lavori oggetto del contratto, con assunzione del rischio a carico del concessionario, mentre nel contratto di appalto consiste in un contributo economico erogato dalla stazione appaltante (Cass. civ., sez. trib., ordinanza n. 35800 del 22 dicembre 2023).
Il principio trova conferma nella giurisprudenza amministrativa: «alla stregua della disciplina di matrice eurounitaria, la concessione di
servizi è il contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi e di sfruttare economicamente il servizio od in tale diritto accompagnato da un prezzo; la distinzione attiene dunque alla struttura del rapporto, che nell’appalto di servizi intercorre tra due soggetti, essendo la prestazione a favore dell’amministrazione, mentre nella concessione di servizi pubblici intercorre tra tre soggetti, nel senso che la prestazione è diretta agli utenti» (da ultima, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 146 del 10 gennaio 2025); in un recente arresto delle Sezioni Unite: «si configura un appalto di pubblico servizio, anche in base al diritto unionale, quando il corrispettivo è pagato direttamente dall’Amministrazione al prestatore del servizio, il quale, conseguentemente, non ne sopporta il rischio legato alla gestione, a differenza del concessionario di servizi, il quale trae la propria remunerazione dai proventi ricavati dagli utenti» (Cass. civ., SS. UU., Ordinanza n. 23155 del 27 agosto 2024); nonché, come chiarito nella medesima pronuncia delle Sezioni Unite, nella giurisprudenza eurounitaria: «ai fini del diritto della UE si trova affermato – parimenti – che un appalto pubblico di servizi comporta un corrispettivo che è pagato direttamente dall’amministrazione al prestatore di servizi (v. C. giust. 13-10-2010, causa C-458/03, Parking Brixen, C. giust. 18-72007, causa C-382/05, Commissione c. Repubblica italiana, C. giust. 7-12-2000, causa C324/98, Telaustria); a fronte invece della concessione di servizi, che presuppone che l’amministrazione concedente abbia trasferito ‘integralmente o in misura significativa’ all’operatore privato il rischio di gestione economica connesso all’esecuzione del servizio (v. C. giust. 21 -5-2015, causa C-269/14)».
La dicotomia tra concessione e contratto d’appalto trova fondamento nella sussistenza, o meno, del fenomeno della traslazione
dell’alea di rischio in capo al privato; fenomeno che si rinviene solamente nella concessione, ove il privato assume i rischi economici della gestione del servizio, mentre nell’appalto l’onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sulla pubblica amministrazione (cfr. Cass. civ., sez. V, n. 22062 del 2022 e CGUE, causa C-206/08, 10 settembre 2009). In sostanza, la caratteristica principale della concessione è il trasferimento al concessionario di un rischio operativo di natura economica, che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per realizzare i lavori o i servizi, con la necessità -e la facoltà -di rivalersi sull’utenza per mezzo della riscossione di un canone o di una tariffa.
Dunque, nel caso del trasporto pubblico locale, si delinea una concessione ove, unitamente al servizio, al concessionario viene altresì trasferita la potestà tariffaria, incluse la riscossione e l’accertamento, seppur sotto i poteri dell’Ente relativi al c ontrollo amministrativo dell’attività e di approvazione o determinazione della tariffa. Si configura un appalto, invece, allorquando si rinvenga la previsione negoziale di un corrispettivo a carico della pubblica amministrazione a favore dell’appaltatore e le tariffe, a carico dell’utenza, rimangano in capo all’amministrazione conferente (Cass. civ., sez. trib., ordinanza n. 4612 del 21 febbraio 2024).
È stato inoltre chiarito che si ravvisa una concessione solo se, in base al titolo, l’operatore assuma i rischi economici della gestione del servizio; nell’appalto, invece, l’onere del servizio grava sostanzialmente sul concedente (Cass. civ., sez. trib., ordinanza n. 35800 del 22 dicembre 2023).
3.2. Come si è detto , l’esclusione del beneficio richiede la concorrenza dei due requisiti della concessione e della tariffa. Tariffa che, tuttavia, deve essere remunerativa: tale è quella idonea ad assicurare l’equilibrio economico -finanziario dell’investimento e scontare il costo
derivante dall’imposizione Irap; in caso contrario, l’esclusione non può operare.
In effetti, entro tali limiti la Commissione europea (dec. 12/09/2007 C(2007) 4133, def.) ha riconosciuto la legittimità dell’esclusione del beneficio fiscale, nei confronti delle public utilities , prendendo atto che: (§ 33.) ‘le autorità italiane hanno giustificato l’esclusione sostenendo che essa ha lo scopo di evitare la potenziale sovracompensazione generata dalla misura in quanto l’attuale livello delle tariffe è stato determinato tenendo cont o dell’onere Irap prima della riforma, ossia senza le deduzioni dalla base imponibile introdotte dalla misura’.
Ciò in particolare rileva in considerazione del fatto che «le decisioni adottate dalla Commissione UE, nell’ambito delle funzioni a essa conferite, ancorché prive dei requisiti della generalità e dell’astrattezza, costituiscono fonte di produzione del diritto eurounitario, sia pure limitatamente ai rapporti giuridici tra privati e pubblici poteri (cd. efficacia verticale) e, pertanto, vincolano il giudice nazionale nell’ambito dei giudizi portati alla cognizione dello stesso, sicché è preclusa ogni ulteriore discussione e contestazione relativa all’illegittimità o invalidità delle valutazioni compiute dalla istituzione comunitaria (Cass., Sez. VI, 21 maggio 2018, n. 12393; Cass., Sez. V, 19 gennaio 2018, n. 1325 (Cass., Sez. V, 3 febbraio 2010, n. 2428). Detta vincolatività sussiste non solo nel caso in cui la Commissione abbia ravvisato la denunciata violazione, ma anche nel caso in cui la Commissione medesima abbia escluso il contrasto della normativa nazionale con le prescrizioni del Trattato (Cass., Sez. I, 17 novembre 2005, n. 23269), costituendo la valutazione data dalla Commissione UE della disposizione di diritto interno la cifra alla quale va adeguata l’esegesi della medesima disposizione, ove incida sul libero mercato per effetto di misure di sostegno finanziario attribuite con risorse pubbliche
o con sgravi fiscali» (Cass. civ., sez. trib., sentenza n. 41282 del 22 dicembre 2021).
La lettura eurounitaria della norma attributiva del beneficio fiscale non può dunque che comportare l’esclusione nelle sole ipotesi nelle quali si tenga conto del costo Irap in sede di determinazione tariffaria del costo del servizio; ipotesi nelle quali tale costo non può essere oggetto di detassazione senza determinare una sovracompensazione, violativa dell’art. 107 TFUE.
In questo senso è stato affermato che «la necessità d’intendere il criterio normativo della «tariffa» come «tariffa remunerativa», ossia capace di generare un profitto, è coerente con la ratio giustificatrice del c.d. cuneo fiscale: consentire, indiscriminatamente, a tutte le imprese operanti nel settore dei pubblici servizi di fruire delle deduzioni Irap darebbe luogo a un utile insperato, genererebbe cio è̀ quella sovracompensazione (secondo la terminologia dell’Amministrazione finanziaria) capace di frustrare l’obiettivo perseguito dall’autorità di regolamentazione con la fissazione delle tariffe; per converso, escludere dal beneficio fiscale le imprese del settore che applicano una tariffa non remunerativa, causerebbe uno svantaggio selettivo, ossia un pregiudizio economico del tutto ingiustificato» (Cass. n. 32633/2019).
In ossequio ai dettami della Commissione Europea e in aderenza a quanto era stato rappresentato dal Governo italiano nelle interlocuzioni presso la medesima istituzione, ai fini della valutazione circa la remuneratività della tariffa, è stato chiarito che «non potrebbe neppur tenersi conto di ulteriori corrispettivi (di natura latamente tariffaria, in quanto fissati dalle pubbliche amministrazioni, e non posti a carico dell’utenza) determinati genericamente in misura tale da assicurare l’equilibrio economic ofinanziario dell’investimento e della connessa gestione del pubblico servizio, posto che sul punto l’art. 11,
d.lgs. n. 446/1997 esclude il beneficio esclusivamente per imprese che operino sulla base di una tariffa remunerativa che tenga conto del costo fiscale derivante dall’ Irap. Invero, una tale estensione del concetto di tariffa non appare in linea con l’interpretazione della norma che riferisce la predeterminazione tariffaria, tale da escludere il suddetto vantaggio fiscale, solo in relazione ai settori espressamente indicati, nei quali la tariffa sconta specificamente il costo fiscale Irap. Ed i sistemi di determinazione del corrispettivo di natura tariffaria presi in esame dall’art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2, 3, 4 sono solo quelli che si rivelino sensibili alle variazioni dell’ Irap, nel senso che al variare del costo fiscale Irap si verifichi in termini relativamente automatici una variazione della tariffa stessa. Dunque, solo accedendo all’interpretazione rigorosa della nozione qui rilevante di tariffa, può ritenersi che l’esclu sione dal suddetto vantaggio fiscale possa qualificarsi come neutrale e non selettiva, perché solo in tali casi lo scomputo del costo fiscale Irap avviene già in sede di predeterminazione tariffaria. Pertanto non ogni corrispettivo che abbia alla base una predeterminazione tariffaria «in misura tale da assicurare l’equilibrio economi cofinanziario dell’investimento e della connessa gestione, nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità della gestione medesima» (Circ. Ag. Entrate 61/E del 2007) giustifica l’esclusione dal vantaggio fiscale, ma solo quella che tenga conto specificamente del costo fiscale Irap e che alle variazioni di tale costo ingeneri un’automatica variazione tariffaria» (Cass. civ., sez. Trib., n. 4612 del 21 febbraio 2024).
3.3. Tutto ciò premesso, in relazione alla sussistenza del requisito della concessione traslativa, nella sentenza impugnata il Giudice di secondo grado, pur avendo preliminarmente richiamato condivisibili principi, ha poi omesso di verificare la loro rispondenza al caso in esame. La C.t.r. non ha fatto buon governo dei principi sopra richiamati, ragionando
esclusivamente in via astratta e generica, senza confrontare la fattispecie concreta ed i principi di diritto, meramente enunciati, prescindendo dall’esame di qualsiasi disposizione del contratto sub iudice .
Inoltre, con riferimento al presupposto della tariffa remunerativa, la C.t.r. si è discostata dai canoni giuridici sopra illustrati, nella parte in cui ha affermato che, ai fini dell’esclusione dell’agevolazione fiscale, assume rilevanza la sola circostanza ‘che nei sistemi di remunerazione dei servizi resi in concessione s i tenga conto dei costi in un’ottica di efficienza ed economicità e dell’equilibrio finanziario dell’attività’ . Il giudice di appello non ha indagato la natura remunerativa della tariffa (intesa come la sua idoneità a generare un profitto) e ha ritenuto non dirimente la rilevanza dei costi fiscali, tra i quali figura l’ Irap, in sede di determinazione del corrispettivo tariffario da parte della pubblica amministrazione.
Pertanto, la C.t.r., nel giudizio di rinvio, dovrà riesaminare la vicenda e verificare se la società RAGIONE_SOCIALE abbia o meno diritto al beneficio fiscale, attenendosi ai principi di diritto sopra enucleati.
Ne consegue che il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, in diversa composizione, alla quale si demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2025.