Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3466 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3466 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26300/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persone del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 2132/2019 depositata il 11/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE titolare della concessione per la gestione dell’aeroporto di Napoli Capodichino, impugnava il silenzio rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate all’istanza di rimborso IRAP relativa al periodo di imposta dell’esercizio 2012, invocando la spettanza delle deduzioni spettanti a termini dell’art. 11, comma 1, lett. a) nn. 3 e 4 d. lgs. 15 dicembre 1997 n. 446 nella formulazione pro tempore (deduzione in favore delle imprese operanti nelle Regioni dell’Italia Meridionale, a riduzione del cun eo fiscale, di un importo fisso, per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato, nonché degli importi dei contributi assistenziali e previdenziali relativi ai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato). La società contribuente deduceva di avere svolto, oltre all’attività di gestione dell’infrastruttura aeroportuale, anche altre attività non regolamentate in relazione alle quali aveva chiesto l’applicazione della suddetta deduzione. La CTP di Napoli accoglieva il ricorso e la CTR della Campania, con sentenza in data 11 marzo 2019, rigettava l’appello dell’Ufficio, osservando che la società contribuente svolgeva, oltre alla gestione dell’infrastruttura aeroportuale esclusa dall’applicazione della deduzione, anche attività liberalizzate non regolamentate per le quali spettava la deduzione limitatamente al personale impiegato. Tale circostanza era evincibile, a giudizio della CTR, dall’esame di quattro contratti di sub -concessione, dai quali emergeva che l’atti vità non regolamentata risultava svolta da terzi imprenditori, con libera fissazione di corrispettivi, ritenendosi infine rispettato sia il numero di dipendenti per i quali era stata chiesta la deduzione, sia il rapporto tra ricavi totali e attività liberalizzate.
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, che si è affidata a unico motivo. Resiste con controricorso la società contribuente.
Il giudizio era chiamato alla camera di consiglio del 9 dicembre 2020 innanzi alla VI Sezione -T di questa Corte. Dopo aver comunicato la proposta del relatore, unitamente al decreto di
fissazione dell’adunanza camerate, ex art. 380-bis cod. proc. civ. il Collegio disponeva la rimessione del fascicolo alla Quinta Sezione.
In prossimità dell’adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria ad illustrazione delle proprie ragioni.
CONSIDERATO
Viene proposto unico motivo di ricorso.
Con l’unico motivo si deduce, sotto il profilo di cui all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 11, comma 1, lett. a) nn. 2, 3 e 4 d.lgs. n. 446/1997, della Direttiva n. 2006/111/CE della Commissione Europea del 16 aprile 2006, rectius 16 novembre 2006 (in tema di trasparenza delle relazioni finanziarie tra Stati membri e imprese pubbliche e di trasparenza finanziaria di talune imprese), in relazione all’art. 2697 c.c., nella parte in cui la CTR ha ritenuto provato lo svolgimento di attività non regolamentata nell’area aeroportuale deducendosi, oltre che inversione dell’onere della prova, erronea lettura dei contratti e mancato rispetto della norma che richiede l’individuazione dei dipendenti impiegati, l’omessa consideraz ione, in relazione alla Direttiva 2006/111/CE, della circostanza che in ipotesi di svolgimento di attività liberalizzate da parte di un soggetto gestore di public utility occorrerebbe la separazione contabile dei componenti positivi e negativi relativi alle diverse attività svolte.
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
La questione è già stata esaminata più volte da questa Corte con orientamento consolidato cui deve qui darsi continuità, non intravedendosi ragioni per discostarsene.
Ed infatti, è stato affermato che in tema di IRAP, il vantaggio fiscale della riduzione della base imponibile dichiarata, in applicazione delle deduzioni introdotte dall’art. 1, comma 266, della l. n. 296 del 2006 (cd. riduzione del cuneo fiscale prevista dalla legge finanziaria 2007), che ha modificato l’art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 4, del d.lgs. n. 446 del 1997, non si applica alle imprese che svolgono attività
regolamentata (cd. “public utilities”) in forza di una concessione traslativa e a tariffa remunerativa, ossia capace di generare un profitto, essendo tale interpretazione del concetto di tariffa coerente con la “ratio” giustificatrice del cd. cuneo fiscale (cfr. Cass. V, n. 32633/2019; n. 6332/2022).
I giudici di merito (pag. 9 e 10 sentenza in scrutinio) hanno svolto un accertamento sulla natura sostanziale dei contratti -pur formalmente qualificati di sub concessionedesumendone la struttura di contratto di servizio in settore estraneo alla riserva pubblica, svolto dietro corrispettivo. Non si può parlare per questo ramo d’azienda di regime ‘in concessione’ e ‘a tariffa’, estrinsecandosi in un ambito diverso da quello del compito istituzionale della concessione aeroportuale. In questo senso il collegio di secondo grado ha ritenuto escluse dalla concessione aeroportuale le attività di cui ai contratti (e per i dipendenti) di cui si tratta: attività di noleggio autovetture senza conducente; vendita di abbigliamento uomo ed accessori; attività di carattere pubblicitario; spedizioniere con attività di dispaccio doganale.
Non di meno, la sentenza in scrutinio non ha fatto corretto governo delle norme che presiedono al riparto dell’onere della prova, laddove la parte contribuente è attore in senso sostanziale, vertendosi in materia di rimborso o di restituzione di dell’IRAP versata per ciascun dipendente impiegato in settore estraneo a quello in regime delle public utility. Vero, infatti che la commissione di merito ha desunto per provati come impiegati in tali settori, ancorché pro quota , 325 dipendenti su poco più di 500 della concessionaria per gli aeroporti Campania, senza chiedere alla società contribuente prova analitica del loro regime giuridico, soprattutto considerando trattarsi di oltre la metà dei dipendenti che risulterebbero impiegati in settori estranei all’ogget to sociale ed al compito primario della concessionaria. All’opposto, è richiesta la prova analitica dell’impiego di ciascun dipendente per cui si chiede il rimborso in un settore non aviation ,
cioè tra quelli che rientrano invece nei codici ATECO che possono essere avviati da chiunque, con procedura di sportello unico e silenzio assenso, non rientrando nel settore alimentare (richiedenti l’abilitazione alla manipolazione di cibi e bevande -HCCP), né in quello delle licenze contingentate (quale sarebbe il noleggio di autovetture con conducente).
I profili di verifica, interpretazione e valutazione degli elementi di fatto operati dalla commissione di secondo grado si presentano fondati su elementi di affermazione della contribuente, non sostenuti dalla necessaria prova analitica.
In questo senso giova ricordare che «il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c. consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre esula dallo stesso l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, prospettabile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione e il cui esame, a differenza dalla censura per violazione di legge, è mediato dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., ord., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., ord., 30 aprile 2018, n. 10320; Cass., ord., 13 ottobre 2017, n. 24155); -le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatr ice del caso concreto e quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata; -mentre il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata, il vizio di falsa applicazione di legge
consiste o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista’ pur rettamente individuata e interpretata, non è idonea a regolarla o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione (cfr. Cass., ord., 14 gennaio 2019, n. 640; Cass. 26 settembre 2005, n.18782);
Fa, dunque, parte del sindacato di legittimità secondo il paradigma della «falsa applicazione di norme di diritto» il controllare se la fattispecie concreta (assunta così come ricostruita dal giudice di merito e, dunque, senza che si debba procedere ad una valutazione diretta a verificarne l’esattezza e meno che mai ad una diversa valutazione e ricostruzione o apprezzamento ricostruttivo) è stata ricondotta a ragione o a torto alla fattispecie giuridica astratta individuata dal giudice di merito come idonea a dettarne la disciplina oppure al contrario doveva essere ricondotta ad altra fattispecie giuridica oppure ancora non era riconducibile ad una fattispecie giuridica astratta, sì da non rilevare in iure, oppure ancora non è stata erroneamente ricondotta ad una certa fattispecie giuridica cui invece doveva esserlo, essendosi il giudice di merito rifiutato expressis verbis di farlo (così, Cass. 31 maggio 2018, n. 13747); -non è, quindi, affatto precluso al giudice di legittimità stabilire se il giudice di me rito abbia correttamente sussunto sotto l’appropriata previsione normativa i fatti da lui accertati, ferma restando l’insindacabilità di questi ultimi e l’impossibilità di ricostruirli in modo diverso e l’errore eventualmente commesso non è un errore di accertamento, ma un errore di giudizio, consistente nello scegliere in modo non corretto quella, tra le tante norme dell’ordinamento, della quale deve farsi applicazione al caso concreto (cfr. Cass., 18 gennaio 2018, n. 1106)» (v. Cass., V, n. 14151/2021).
In questo senso il ricorso è fondato e merita accoglimento, la sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice di merito perché si attenga al corretto riparto probatorio, sopra indicato in motivazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 22/01/2025.