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Deduzione IRAP: onere della prova per il rimborso

Una società ha richiesto un rimborso IRES legato alla deduzione IRAP per i costi del personale. Dopo un diniego parziale dell’Amministrazione Finanziaria e una decisione sfavorevole in appello, la società ha fatto ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza precedente per “motivazione apparente” e incompleta. Il caso è stato rinviato a un nuovo giudice, ribadendo il principio fondamentale che l’onere della prova per un rimborso spetta sempre al contribuente.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deduzione IRAP e Onere della Prova: la Cassazione Annulla per Motivazione Apparente

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato due principi cardine del contenzioso tributario: il rigoroso onere della prova a carico del contribuente che chiede un rimborso e l’obbligo per il giudice di fornire una motivazione completa e non meramente apparente. Il caso riguardava una complessa questione sulla corretta quantificazione della deduzione IRAP dal reddito IRES, ma la decisione si è concentrata su vizi procedurali talmente gravi da comportare l’annullamento della sentenza d’appello.

I Fatti di Causa

Una società di consulenza aveva presentato diverse istanze di rimborso IRES per gli anni dal 2006 al 2011, sostenendo di non aver correttamente dedotto l’IRAP relativa ai costi sostenuti per il personale dipendente. L’Amministrazione Finanziaria accoglieva solo parzialmente tali istanze, negando la restituzione di una cospicua somma per gli anni dal 2008 al 2011.

La contribuente impugnava il diniego parziale, ottenendo una prima vittoria presso la Commissione Tributaria Provinciale. Tuttavia, l’Amministrazione Finanziaria proponeva appello e la Commissione Tributaria Regionale ribaltava la decisione, dando ragione all’ente impositore. Contro questa sentenza, la società proponeva ricorso per cassazione, lamentando molteplici violazioni di legge e vizi procedurali.

La questione della deduzione IRAP

Il cuore della controversia tecnica verteva sulla possibilità di includere nel calcolo della deduzione IRAP non solo i costi del personale iscritti nella voce B.9 del conto economico, ma anche ulteriori oneri, come accantonamenti e rilasci da fondi specifici, confluiti in altre voci di bilancio (B.12 e B.13). Secondo la società, anche questi costi avevano concorso a formare la base imponibile IRAP e, pertanto, dovevano essere considerati per la deduzione IRES. L’Amministrazione Finanziaria, invece, contestava tale ampliamento della base di calcolo.

I Motivi del Ricorso e i Vizi della Sentenza d’Appello

La società ha fondato il proprio ricorso in Cassazione su quattro motivi principali, tra cui:
1. Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato: il giudice d’appello non avrebbe centrato il vero oggetto del contendere.
2. Omesso esame di un fatto controverso e decisivo: la sentenza non avrebbe analizzato la questione fondamentale di quali voci di costo includere nel calcolo.
3. Nullità della sentenza per motivazione meramente apparente: le argomentazioni del giudice regionale erano state ritenute elusive, incomplete e non idonee a sostenere la decisione.

In sostanza, la ricorrente accusava il giudice d’appello di aver emesso una decisione confusa, che eludeva le questioni centrali e si basava su valutazioni apodittiche, senza pronunciarsi sulle specifiche contestazioni e prove documentali fornite.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondate le doglianze della società, esaminando congiuntamente i motivi di ricorso per la loro stretta connessione. I giudici di legittimità hanno riscontrato che la decisione della Commissione Tributaria Regionale presentava gravi carenze motivazionali, tali da renderla nulla.

La Corte ha osservato come la sentenza impugnata, pur ricostruendo correttamente le posizioni delle parti e individuando i punti di contrasto (come il rilievo degli accantonamenti, la competenza temporale dei costi e la produzione documentale), si fosse poi astenuta dal prendere una posizione chiara e motivata su di essi. La motivazione è stata definita “perplessa”, contenente una “valutazione incerta” e, in definitiva, meramente “apparente”. Ad esempio, il giudice d’appello aveva aderito alla tesi dell’Amministrazione Finanziaria senza spiegare il perché, limitandosi a riportarne la prospettazione.

La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale: “il contribuente il quale domanda la restituzione di somme deve dimostrare, con prova rigorosa, di averle versate all’Erario“. Tuttavia, proprio perché l’onere probatorio è così stringente, il giudice ha il dovere di esaminare le prove e le argomentazioni, fornendo una risposta chiara e logicamente coerente, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.

Le Conclusioni

In definitiva, il ricorso è stato accolto. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione. Il nuovo giudice dovrà riesaminare l’intera controversia, attenendosi ai principi esposti e, soprattutto, fornendo una motivazione completa che affronti tutte le questioni sollevate dalle parti. Questa ordinanza rappresenta un importante monito sull’obbligo di chiarezza e completezza delle decisioni giudiziarie, specialmente in una materia complessa come quella della deduzione IRAP, dove la corretta interpretazione delle norme e la valutazione delle prove sono decisive per l’esito del giudizio.

Chi ha l’onere di provare il diritto a un rimborso fiscale?
Secondo un principio generale dell’ordinamento tributario richiamato dalla Corte, il contribuente che domanda la restituzione di somme deve dimostrare, con prova rigorosa, di averle effettivamente versate all’Erario e di avere diritto al rimborso.

Cosa si intende per “motivazione apparente” di una sentenza?
Si ha una motivazione apparente quando la decisione del giudice, pur esistendo formalmente, è talmente incompleta, contraddittoria o generica da non rendere comprensibile il ragionamento logico-giuridico che ha portato alla decisione, come nel caso in cui il giudice elenchi le questioni senza però pronunciarsi chiaramente su di esse.

Qual è stata la conseguenza della motivazione apparente in questo caso?
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondate le contestazioni della società ricorrente, ha cassato (annullato) la decisione impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo giudizio che rispetti i principi esposti e fornisca una motivazione completa e non più apparente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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