Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16125 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16125 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4229/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo rappresentante legale pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME in forza di procura in calce al controricorso, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. COGNOME in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 1422/04/2020 depositata il 29/06/2020, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE presentava istanza di rimborso Irap per l’anno di imposta 2009, invocando la spettanza della deduzione di cui all’art. 11, comma 1, lett. a) nn. 2 e 4 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (c.d. «cuneo fiscale»).
Formatosi il silenziorifiuto sull’istanza anzidetta, la società lo impugnava con ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che lo accoglieva.
Avverso la decisione di primo grado interponeva appello, dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia (CTR), l’Amministrazione finanziaria.
La CTR r espingeva l’appello, ritenendo la motivazione della sentenza impugnata esaustivamente argomentata; in particolare riteneva di non poter qualificare la fonte del rapporto come concessione ( sub specie concessione traslativa), riconducendola piuttosto a due contratti di servizi ai sensi del d.l. 19 novembre 1997, n. 422, mancando il trasferimento del rischio di impresa; d isconosceva altresì l’asserito svolgimento di attività, da parte della società, a «tariffa», non essendo essa integralmente remuneratoria, anche in base alla circostanza che l’ente pagava un corrispettivo annuale per i servizi ricevuti, ciò escludendo il rischio di sovracompensazione.
Avverso la suddetta decisione propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a tre motivi di ricorso.
La società resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria.
La causa è stata fissata per l’adunanza camerale del 14 aprile 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle entrate propone tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce «Nullità della sentenza per difetto di motivazione o motivazione apparente, per violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, e 61 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; degli
artt. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ.; dell’art. 111, comma 6, Cost. Illogicità. Denunzia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ. »; si contesta la sentenza in scrutinio sotto il profilo della carente motivazione, inidonea a sostenere logicamente e coerentemente il dispositivo, con particolare riferimento alla natura giuridica del rapporto intercorso tra la provincia e la società e alla sussistenza di una tariffa.
1.1. Il motivo è infondato.
La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132 n. 4, cod. proc. civ. (e nel caso di specie dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. 546/1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, si configura quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (Cass., S U., 7/04/2014, n. 8053).
In particolare si è in presenza di una «motivazione apparente» allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del
convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Nel caso di specie la motivazione esiste graficamente ed esprime una chiara e argomentata ratio decidendi , in diritto e in fatto.
Con il secondo motivo si deduce «In subordine: falsa applicazione dell’art. 11 D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. Denunzia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ. », evidenziando il travisamento, da parte dei giudici, dei concetti di «concessione» da un lato, e «tariffa» dall’altro, ossia dei due requisiti la cui sussistenza congiunta determina l’esclusione dal beneficio fiscale.
Con il terzo motivo la difesa erariale si duole della «Violazione dell’art. 2697 c.c. Denunzia ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ.», in quanto la sentenza in scrutinio avrebbe errato nel ravvisare la non remuneratività della tariffa in mancanza della prova del diritto alla deduzione il cui onere era posto a carico del contribuente.
2.1. I due motivi vanno congiuntamente esaminati e sono infondati.
La lite da rimborso (relativa all’anno 2009) deve essere definita in base ai principi già espressi da ll’ordinanza di questa Corte n. 6681/2022 che, decidendo analoga controversia, tra le stesse parti, per altri anni di imposta (2008, 2010, 2011) ha già rigettato analogo ricorso erariale, esprimendo principi pienamente condivisibili.
In particolare in detta ordinanza s’è evidenziato che per la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 12/12/2019, n. 32633; in senso conforme, in motivazione, Cass. 11/08/2020, 16889; 14/10/2020, n. 22156; 22/10/2021, n. 29504; 15/09/2021, n. 24977), «in tema di Irap, il vantaggio fiscale della riduzione della base imponibile dichiarata, in applicazione delle deduzioni introdotte
dall’art. 1, comma 266, della l. n. 296 del 2006 (cd. Riduzione del cuneo fiscale prevista dalla legge finanziaria 2007), che ha modificato l’art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 4, del d.lgs. n. 446 del 1997, non si applica alle imprese che svolgono attività regolamentata (cd. ‘ public utilities ‘) in forza di una concessione traslativa e a tariffa remunerativa, ossia capace di generare un profitto, essendo tale interpretazione del concetto di tariffa coerente con la ‘ ratio ‘ giustificatrice del cd. cuneo fisc ale».
Alla luce di tale premessa la Corte ha ritenuto conforme a tali principi di diritto le conclusioni della CTR favorevoli alla tesi della società perché, attraverso l’esegesi dei testi contrattuali , ha stabilito che non si è in presenza di una «concessione» a «tariffa», nella quale è l’utenza a sopportare il costo del servizio, bensì di un appalto di servizi, nel quale è l’ente pubblico che versa un corrispettivo a favore dell’impresa che gestisce l’attività di trasporto. E tale aspetto, ossia la mancanza del presupposto giuridico preclusivo del beneficio fiscale (poiché, merita ripeterlo, si tratta di un appalto di servizi e non di una concessione), è già di per sé dirimente ai fini dell’attribuzione dell’agevolazione fiscale, anche a prescindere dal vaglio i n ordine al profilo economico del rapporto negoziale, che diviene superfluo.
Infatti, il problema della verifica della remuneratività o meno della tariffa, ossia della sua idoneità a scontare il costo dell’Irap e ad assicurare l’equilibrio economico -finanziario dell’attività, si pone esclusivamente rispetto alle imprese che operano in regime di concessione, non per quelle che (come nel caso della contribuente) svolgono l’attività di pubblico trasporto in virtù di un appalto di pubblico servizio.
Analoghe considerazioni possono essere svolte nel caso in esame, ove la CTR ha qualificato come appalto di servizi il rapporto, in base all’analisi dei testi contrattuali, con accertamento rimasto sotto tale aspetto privo di adeguata censura (donde la infondatezza de ll’ulteriore terzo motivo).
4. Di talché, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
La soccombenza di una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, determina che non si applichi l’art. 13 , comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.300,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie al 15 per cento, oltre accessori. Così deciso in Roma, il 14/04/2025.