Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23741 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23741 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15285/2024 R.G. proposto da: NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE), quali eredi di NOME COGNOME, rappresentate e difese dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
elettivamente domiciliate presso il suo studio in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DEL LAZIO n. 7514/2023, depositata in data 28/12/2023;
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella camera di consiglio del 20 giugno 2025;
Fatti di causa
L’Avv. NOME COGNOME il contribuente de cuius ) impugnò l’avviso di accertamento a suo carico emesso dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Roma, in seguito ad un accertamento induttivo sui suoi redditi professionali in relazione all’anno 2002.
Su ricorso dello stesso, la C.T.P. di Roma rideterminò al ribasso gli importi dovuti.
La C.T.R. confermò la sentenza di primo grado.
La Corte di Cassazione annullò la sentenza d’appello con rinvio, affinché il giudice del merito rideterminasse il debito sulla scorta della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, che aveva eliminato la presunzione legale di evasione con riferimento ai prelevamenti dai conti correnti dei contribuenti che svolgono una libera professione.
La CGT-2 del Lazio, quale giudice del rinvio, ha accolto in parte l’appello originariamente proposto dal contribuente.
Gli eredi del contribuente propongono ricorso per cassazione contro la sentenza pronunciata in sede di rinvio, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Le eredi del contribuente hanno depositato una memoria difensiva ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘ Nullità della sentenza per omessa pronuncia . Violazione dell’obbligo di pronunciare sulla intera domanda di riforma della sentenza impugnata. Violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.’ , le contribuenti censurano la sentenza pronunciata in sede di rinvio per non aver accolto l’eccezione di estinzione ‘della pretesa creditoria’ , non essendo stato il giudizio di rinvio riassunto dall’unica parte legittimata, nel termine di decadenza di legge, alla ‘validazione della pretesa azionata’ .
1.1. Il motivo è infondato.
Il giudizio tributario è strutturato come giudizio impugnatorio contro un atto autoritativo dell’amministrazione incidente su diritti patrimoniali del contribuente.
Ne consegue che, nel caso di pronuncia rescindente da parte della Suprema Corte , che annulli la sentenza d’appello che a sua volta abbia sostituito la sentenza di primo grado, l’onere della riassunzione incombe sul contribuente, in quanto l’inadempimento di tale onere determinerebbe l’estinzione dell’intero giudizio e, dunque, il consolidamento dell’atto impositivo impugnato in primo grado.
Il fatto, poi, che l’esito rescindente del giudizio sia stato determinato da una sentenza della Corte Costituzionale non esonera il contribuente dal riassumere il giudizio di rinvio, in quanto un conto è la pronuncia della Corte Costituzionale, altro conto è la dinamica del giudizio nel
corso del quale quella pronuncia deve trovare applicazione, con la conseguenza che la dichiarazione di incostituzionalità di una norma di legge che regola l’accertamento induttivo non impedisce che l’atto tributario, pur emesso in applicazione di una norma dichiarata incostituzionale, si consolidi nel caso di estinzione del giudizio tributario.
Con il secondo motivo di impugnazione, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’ , le contribuenti censurano la sentenza impugnata per non aver espresso un dato numerico preciso rappresentante il loro residuo debito tributario nei confronti dell’erario. Censurano, inoltre, la sentenza impugnata per non aver tenuto conto che la ripresa a tassazione dei versamenti in conto corrente doveva intendersi al netto dei compensi già dichiarati.
Si lamentano, inoltre, che il giudice del rinvio non abbia dedotto dalla base imponibile, costituita dai versamenti in conto corrente, una quota forfettaria di costi necessari per la produzione dell’ulteriore reddito tassato, in applicazione del principio di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 2023.
2.1. Il motivo è fondato per quanto di ragione.
Si deve innanzitutto rigettare la doglianza relativa alla omessa determinazione numerica del quantum della ripresa fiscale da parte della sentenza pronunciata in sede di rinvio.
La determinazione del restante debito tributario in seguito all’accoglimento parziale di un ricorso non deve necessariamente tradursi in un numero che esprima la somma di denaro dovuta dal contribuente, bensì è sufficiente che, anche per relationem , quel debito sia (ri)determinato in maniera univoca.
Orbene, se si legge il dispositivo della sentenza impugnata alla luce della motivazione contenuta nella stessa, non vi è dubbio che il restante
debito tributario delle odierne contribuenti risulta univocamente determinato nella somma dei soli versamenti (esclusi, cioè, i prelevamenti) in conto corrente qualificati, nell’avviso di accertamento impugnato, quali compensi non dichiarati.
Né vi è dubbio sul fatto che la base imponibile, costituita dai versamenti in conto corrente imputati dall’amministrazione a compensi in nero, sia ulteriore rispetto all’imponibile già dichiarato a suo tempo dal contribuente in relazione all’anno d’imposta oggetto di accertamento.
Deve essere accolta, invece, la doglianza delle contribuenti relativa alla omessa deduzione forfettaria di costi dai compensi in nero accertati e corrispondenti alla somma dei (soli) versamenti in conto corrente ripresi a tassazione dall’Ufficio.
Il principio che si trae dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 2023, infatti, è che nel caso in cui, in seguito a qualsiasi tipo di accertamento induttivo, sia accertato a carico del contribuente un maggiore imponibile, da tale maggiore imponibile deve essere comunque dedotta una quota forfettaria di costi necessari per la produzione del maggior reddito accertato (Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 7122 del 09/03/2023, Rv. 667432 -01; Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 31981 del 11/12/2024, Rv. 673252 – 01), onde consentire che l’accertamento di un maggior reddito, quando è fondato anche solo in parte su elementi presuntivi, sia sempre ossequioso del canone costituzionale della capacità contributiva (art. 53 Cost.), che sarebbe leso nel caso in cui alla presunzione di maggiori ricavi non farebbe da pendant la presunzione di corrispondenti proporzionali maggiori costi.
3. Il terzo motivo di ricorso, relativo all’omessa liquidazione delle spese del primo giudizio rescindente di cassazione, è assorbito dall’accoglimento per quanto di ragione del secondo motivo , dal quale consegue la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa, anche per le spese, alla CGT-2 del Lazio, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie, per quanto di ragione, il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo e rigettato il primo.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 giugno 2025.