Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15982 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15982 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/06/2025
Indagini bancarie-art.32 dPR 600/73Prelevamenti-PresunzioneImprenditore individuale-Attività raccolta veicoli fuori uso-OperativitàSussistenza-Principio dirittoAccertamenti bancari-Costi-Deduzione forfettaria-Ammissibilità
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10981/2024 R.G. proposto da:
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura speciale allegata al ricorso, p.e.c. EMAIL;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 1/2023 depositata in data 2/01/2023 e non notificata;
udita la relazione della causa nell ‘ adunanza camerale del 16 aprile 2025 tenuta dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate , Direzione provinciale di Agrigento, con l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE 0333/2016 recuperava a imposizione, a fini Irpef, Irap e Iva, per l’anno di imposta 201 1, maggiori ricavi nei confronti di NOME COGNOME titolare di ditta individuale esercente l’impresa di raccolta di veicoli fuori uso; l’accertamento trovava origine, per un verso, in un p.v.c. della Guardia di Finanza, assumendo la percezione di un compenso per le auto da rottamare, e, per altro verso, in apposite verifiche bancarie.
La Commissione tributaria provinciale di Agrigento, adita dal contribuente, annullava il recupero nascente dai rilievi della Guardia di Finanza e annullava in parte il recupero per i movimenti bancari.
La Commissione tributaria regionale della Sicilia, adita con distinti appelli da entrambe le parti, accoglieva -con la sentenza indicata in epigrafe – parzialmente i gravami; in particolare, rigettava l’appello erariale in relazione alla ripresa dei compensi percepiti per le auto da rottamare e lo accoglieva in relazione ai prelevamenti e ai versamenti ritenuti giustificati «avendo i giudici di primo grado omesso di specificare quale idonea documentazione avesse fornito al riguardo il contribuente» ; rigettava l’appello del contribuente in relazione alla richiesta di riconoscere costi forfettari mentre lo accoglieva in merito alle sanzioni.
Contro tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate e del Territorio ha resistito con controricorso, contenente anche ricorso incidentale basato su un motivo.
La causa è stata fissata per l’adunanza camerale del 16 aprile 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente principale denuncia violazione degli artt. 49, 56 e 57 d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 339 c.p.c. ; censura la sentenza della CTR che, laddove ha accolto l’appello erariale in ordine al capo della decisione di primo grado che aveva annullato la ripresa di alcuni prelevamenti, si sarebbe limitata a rilevare la mancanza di adeguata motivazione della sentenza di primo grado, senza esaminare le difese del contribuente e quindi il merito della causa.
1.1. Il motivo è infondato, siccome basato su una lettura e su una interpretazione della impugnata sentenza di appello che non è condivisibile.
I giudici del gravame, infatti, investiti da ll’appello erariale della cognizione del capo della sentenza di primo grado che aveva accolto, in parte, il ricorso, annullando la ripresa delle somme di alcuni versamenti bancari, gravame fondato sulla mancanza di prova adeguata, hanno ritenuto che i giudici di primo grado avessero omesso di specificare quale idonea documentazione avesse fornito al riguardo il contribuente, specificando poi che « L’onere probatorio dell’Ufficio è soddisfatto ex lege attraverso i dati e gli elementi emergenti dai conti correnti. Spetta al contribuente dimostrare l’estraneità delle movimentazioni bancarie rispetto al reddito dichiarato (cfr. Cass. sent. 2753/2009; sent. 1803/2007; sent. 4289/2015)».
Da tale complessivo percorso argomentativo deve ritenersi che i giudici della CTR non si siano limitati a censurare il difetto di motivazione dei primi giudici ma abbiano ritenuto inadeguato il supporto probatorio documentale fornito dal contribuente a giustificazione dei movimenti bancari.
Va appena ribadito che costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello per cui, in tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 51 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili (Cass. n. 13112/2020; Cass. n. 10480/2018).
2. Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., si deduce la violazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, censurando la decisione laddove ha ritenuto operante la presunzione anche con riferimento ai prelevamenti che non superano i 1.000,00 euro giornalieri per un massimo di 5.000,00 mensili, evidenziando che il disposto della norma (comma 1 n. 2) prevede espressamente tale esclusione.
2.1. Il motivo è privo di fondamento.
Il ricorrente invoca la disposizione recata dall’art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione risultante a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 7quater , comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 193 del 2016 ed entrata in vigore il 3 dicembre 2016.
Sennonché, questa Corte ha affermato la natura sostanziale, e non processuale, della citata previsione, escludendone il carattere interpretativo e la portata retroattiva (cfr. Cass. n. 26883/2019 e Cass. n. 19774/2020), esplicitando, quindi, anche recentemente, che essa, nella versione modificata dal d.lgs. n. 193
del 2016, relativa ai c.d. prelevamenti «sotto soglia», non ha carattere retroattivo e si applica solo a partire dal 3 dicembre 2016.
Per gli accertamenti tributari relativi a periodi anteriori a tale data (come nel caso di specie), occorre applicare la normativa precedente, che richiede ai contribuenti di indicare il soggetto beneficiario di ogni prelevamento, anche di importo inferiore ai 1.000,00 euro giornalieri e ai 5.000,00 euro mensili (Cass. n. 758/2025).
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., il ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla dedotta violazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014.
Con tale doglianza il ricorrente prospetta di aver proposto un motivo di appello in merito alla violazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973, con riferimento ai prelevamenti che sarebbero estranei all’attività di impresa; alla luce dell’intervento della Corte costituzionale con la citata sentenza, da ritenere valido anche per le imprese in contabilità semplificata, aveva dedotto che la ratio fondante l’opera tività della presunzione legale è data dal fatto che si tratti di somme utilizzate per l’acquisto in nero di merce o di fattori produttivi; esercitando il ricorrente l’attività di centro demolizioni, mancava nel caso di specie merce da acquistare per essere rivenduta, come comprovato dal registro IVA degli acquisti, rivelandosi quindi inapplicabile la presunzione.
Su tale motivo la CGT di secondo grado, pur dando atto della sua proposizione, non ha pronunciato.
3.1. Il motivo, pur essendo condivisibile quanto al denunciato vizio di omessa pronuncia, deve essere comunque respinto in base alle seguenti considerazioni elaborate dalla giurisprudenza di questa Corte.
La parte ricorrente ha assolto l’onere processuale di cui all’art. 366, primo comma, n. 6 c.p.c. di specifica indicazione del motivo di appello, sia in sede di sommaria esposizione dei fatti di causa, che di articolazione del motivo e vi è effettivamente omissione di pronuncia in ordine al motivo di impugnazione.
Tuttavia, sul punto occorre rimarcare come -alla stregua della giurisprudenza di questa Corte -si sia consolidato l’ orientamento per cui nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. n. 17416/2023; Cass. n. 21968/2015).
E, al riguardo, la questione di diritto posta dal motivo di appello è infondata.
Invero, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, e in relazione alla determinazione del reddito di impresa, l’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che questi ultimi sono registrati in contabilità e che i primi sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili (Cass. n. 16896/2014; Cass. n. 15161/2020).
A seguito della sentenza n. 228/2014 della Corte costituzionale, la presunzione legale ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 non si applica nei confronti del lavoratore autonomo (Cass. n. 24998/2022) ma continua ad applicarsi a tutti i titolari di reddito di impresa, ed
anche alle imprese che abbiano adottato il regime della contabilità semplificata (Cass. n. 40221/2021; Cass. n. 2900/2019).
Inoltre, questa Corte, per doglianza analoga, fondata sulla ratio sottesa alla più volte richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014 e sulla sua estensione all’imprenditore individuale, la cui attività sia caratterizzata dalla preminenza dell’apporto del lavoro personale, dall’assunzione personale del rischio di impresa, da una contabilità estremamente semplificata nonché dalla marginalità dell’apparato organizzativo al pari del lavoratore autonomo, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla presunzione di imputazione a ricavi delle movimentazioni bancarie di cui all’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 all’imprenditore individuale (Cass. n. 28580/2021).
La presunzione trova, infatti, giustificazione nella produzione del reddito di impresa ex art. 55 t.u.i.r. da parte di un soggetto, come definito dall’art. 2195 c.c.; come già osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 225 del 2005, la presunzione di cui all’art. 32 cit. di imputazione a ricavi delle movimentazioni bancarie risultate ingiustificate, non appare lesiva del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., non essendo «manifestamente arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un imprenditore siano stati destinati all’esercizio dell’attività di impresa e siano, in definitiva, detratti i costi, considerati in termini di reddito imponibile»; ugualmente nella sentenza n. 228 del 2014, la Corte ha ribadito che «il fondamento economico- contabile di tale meccanismo è … congruente con il fisiologico andamento dell’attività imprenditoriale il quale è caratterizzato dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi in vista di futuri ricavi». Pertanto, ciò che costituisce la base dell’applicazione della
presunzione di cui all’art. 32 cit. nei confronti dell’imprenditore, sia pure individuale, è la qualificazione del reddito prodotto come di impresa ai sensi dell’art. 55 t.u.i.r.
In continuità con tali precedenti arresti, deve pertanto affermarsi che anche nel caso di imprenditore individuale che eserciti l’attività di raccolta di veicoli fuori uso e di smaltimento dei rottami metallici operi, per i prelevamenti dai conti correnti bancari, la presunzione di cui all’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973.
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., si deduce la violazione degli artt. 32 e 39 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 53 Cost., in quanto la CTR avrebbe errato nell’escludere il riconoscimento forfettario dei costi, in presenza di accertamento analitico induttivo.
4.1. Il motivo è fondato.
Questa Corte ha già riconosciuto che in tema di accertamenti bancari di cui all’art. 32, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, così come interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 10 del 2023, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturenti da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, eccepire l’incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati (Cass. n. 6874/2023; Cass. n. 7122/2023; Cass. n. 18653/2023; Cass. n. 3782/2025).
Si è evidenziato che la consolidata opzione interpretativa contraria deve infatti essere rivisitata alla luce della pronuncia della pronuncia della Corte costituzionale n. 10 del 2023, cui la Commissione tributaria provinciale di Arezzo, con ordinanza del 26 aprile 2021, aveva rimesso la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, n. 2), del d.P.R. n. 600 del 1973, in riferimento agli
artt. 3 e 53 della Costituzione, nella parte in cui pone la presunzione per la quale i prelevamenti sul conto corrente, se non risultano dalle scritture contabili, sono considerati ricavi dell’imprenditore commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario.
La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale essendo possibile un’interpretazione adeguatrice della norma. Ha osservato che, in caso di accertamento induttivo in senso stretto (o puro), l’impossibilità di una ricostruzione complessiva della contabilità (o, comunque, la generalizzata inattendibilità della stessa) ha da tempo indotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare il principio -cui aveva fatto riferimento già la stessa Corte nella sentenza n. 225 del 2005 -secondo il quale deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria, precisando che è lo stesso ufficio finanziario ad essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi. L’accertamento analitico contabile (che aveva originato l’incidente di legittimità costituzionale) si caratterizza -invece – per la rettifica di singole componenti del reddito dichiarato e può derivare dal confronto tra la dichiarazione e le scritture contabili (il bilancio, in particolare) e dall’esame della documentazione posta a fondamento della contabilità, come le risultanze delle movimentazioni bancarie.
Presupposto dell’utilizzo del metodo analitico o misto è l’attendibilità complessiva della contabilità, che consente la rettifica di singole componenti reddituali: in sostanza, la determinazione del reddito è compiuta nell’ambito delle risultanze della contabilità, ma con una ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi o passivi, dei quali risulta provata aliunde la mancanza o l’inesattezza.
Proprio la presenza di una contabilità generalmente attendibile, con una ripresa a tassazione che si realizza mediante rettifiche di
singole «poste» della stessa, implica che, ai fini della deduzione dei costi, operi in generale la regola desumibile dall’art. 109 t.u.i.r., in forza della quale, se gli stessi non sono presenti nel conto economico, possono essere dedotti solo se risultano da elementi certi e precisi, l’onere della prova dei quali è a carico del contribuente. Da tale sistema, secondo il giudice delle leggi, deriverebbero esiti irragionevoli perché finirebbe per prevedere un trattamento più severo, quanto al regime della possibile prova contraria rispetto alla presunzione legale in esame, in danno del contribuente che ha tenuto una contabilità complessivamente attendibile (e che può essere destinatario di un accertamento analitico induttivo), rispetto al regime probatorio di cui si avvale chi, destinatario di un accertamento induttivo, ha omesso qualsiasi contabilità ovvero ne ha tenuta una complessivamente inattendibile o ha posto in essere gravi condotte, quale l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.
Pertanto, la disposizione censurata in tanto si sottrae alle censure di illegittimità costituzionale in quanto la si interpreti nel senso che, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi «occulti», scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore possa sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la «incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati».
L’Agenzia delle entrate, con circolare n. 32/E/2006 (capitolo quinto, punto 5.5), aveva già affermato, con riguardo agli accertamenti induttivi «puri», che «il riconoscimento di costi deve essere livellato – anche in misura percentualistica – in ragione dei maggiori ricavi accertati sulla base del meccanismo presuntivo» di cui all’art. 32, primo comma, n. 2), del d.P.R. n. 600 del 1973. A seguito
della richiamata pronuncia della Corte costituzionale, tale principio deve ritenersi estensibile anche al caso di utilizzo del metodo analitico o «misto».
In conclusione, sul punto, alla stregua dell’interpretazione adeguatrice fornita dal giudice delle leggi, si rivela dunque errata la decisione impugnata nella parte in cui afferma che non è possibile riconoscere, in mancanza di idonea documentazione, una incidenza percentuale di costi presunti a fronte di maggiori ricavi.
In sede di rinvio la Corte di giustizia tributaria dovrà quindi rideterminare il reddito imponibile del contribuente riconoscendo una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi in relazione ai ricavi accertati.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione delle norme in tema di sanzioni di cui all’art. 12, comma 7, d.lgs. n. 472 del 1997; censura la sentenza laddove ha annullato le sanzioni sull’errato presupposto che le contestazioni del ricorrente non avessero trovato replica nelle controdeduzioni dell’ufficio (circostanza questa documentalmente smentita dalle controdeduzioni riportate come allegato n. 8).
5.1. Il motivo è da considerarsi assorbito per effetto de ll’accoglimento del quarto motivo che determina la necessità di nuovo esame del merito.
In conclusione, va accolto il quarto motivo del ricorso principale, mentre vanno rigettati gli altri motivi dello stesso ricorso.
Il ricorso incidentale rimane assorbito.
Di conseguenza, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CGT di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, per nuovo esame, alla stregua dei principi di diritto evidenziati con riferimento al suddetto motivo ritenuto fondato.
La regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità è rimessa allo stesso giudice di rinvio.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo del ricorso principale e rigetta i restanti; dichiara assorbito il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2025.