Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11939 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11939 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5280/2022 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA NOME COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -controricorrente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della TOSCANA n. 854/2021 depositata il 12/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale della Toscana ( hinc: CTR), con la sentenza n. 854/2021 depositata in data 12/07/2021, ha rigettato l’appello proposto dal sig. NOME COGNOME contro la sentenza n. 275/2018, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Grosseto aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento emesso a suo carico per maggiori imposte relative all’anno 2011.
La CTR ha ritenuto che la documentazione prodotta dal contribuente e allegata all’atto d’appello fosse inidonea a fornire al prova contraria della rilevanza imponibile delle operazioni contestate e, in particolare, delle movimentazioni bancarie riprese a tassazione con l’avviso di accertamento impugnato. Ha evidenziato che si tratta di conti correnti, comunque, riconducibili al sig. NOME COGNOME e che, in assenza della prova specifica e analitica della non riconducibilità al contribuente opera la presunzione di rilevanza imponibile. Ha poi rilevato che nessuna norma preclude di dare rilievo alle movimentazioni di scarso valore.
Contro la sentenza della CTR il sig. COGNOME ha proposto ricorso in cassazione con cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata contestata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato) , in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.
1.1. Il ricorrente rileva di avere censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha escluso l’illegittimità delle riprese a
tassazione per non avere l’ente impositore operato in via induttiva una ricostruzione dei costi.
1.2. Rileva, poi, di aver censurato, con il secondo motivo d’appello, la sentenza di primo grado in quanto l’ufficio finanziario, recependo le risultanze del PVC ha accertato in via induttiva i maggiori ricavi, senza ricostruire (sempre in via induttiva) i maggiori costi. Ha evidenziato che, a sostegno del motivo di gravame, aveva richiamato Cass., 10/06/2015, n. 12021.
1.3. Al fine dell’esame del primo motivo di ricorso (e degli altri motivi) occorre premettere che in data 18/04/2016 la Guardia di Finanza ha predisposto il processo verbale di constatazione, in esito alle indagini finanziarie, durante le quali ha esaminato le movimentazioni su due conti correnti intestati allo RAGIONE_SOCIALE Sulla base di tale PVC, in data 07/12/2017, è stato emesso un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2011, con le seguenti pretese impositive: a) € 235.342,00 a titolo d i Irpef; b) € 6.723,00 a titolo di addizionale regionale; c) € 2.733,00 a titolo di addizionale comunale; d) € 109.330,00 per Iva e) € 196.857,00 per sanzione pecuniaria.
1.4. Ciò premesso il motivo di ricorso è fondato. Secondo questa Corte: « In tema di accertamento dei redditi con il metodo analiticoinduttivo, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, che ha operato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. del 1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti» (Cass., 03/07/2023, n. 18653).
Nel caso di specie la questione relativa alla deduzione in misura percentuale è stata oggetto del secondo motivo di appello proposto dal contribuente. La CTR -pur dando atto di tale questione nelle premesse -non ha speso alcuna argomentazione in ordine alla deduzione, anche forfettaria, dei maggiori costi. Proprio su tale questione, successivamente alla proposizione del ricorso in cassazione, è intervenuta la Corte costituzionale (sent. n. 10 del 2023).
Spetterà, quindi, al giudice in sede di rinvio la valutazione in ordine alla questione inerente alla percentuale forfettaria dei costi da dedurre in relazione ai maggiori ricavi accertati dall’amministrazione finanziaria, tenendo conto dell’evoluzione regi strata nella giurisprudenza di questa Corte, anche a seguito di C. cost. n. 10 del 2023.
Con il secondo motivo è stata censurata la violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 31/12/1992, n. 546 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
2.1. Il ricorrente ha evidenziato che, con il primo motivo d’appello, aveva censurato la sentenza di primo grado, eccependone l’erroneità per non aver statuito l’illegittimità delle pretese impositive e sanzionatorie per violazione degli artt. 32, comma 1, n. 7, d.P.R. 29/09/1973, n. 600 e 51, comma 2, n. 7, d.P.R. 26/10/1972, n. 633. Tramite tale motivo sostiene di aver dimostrato l’irrilevanza imponibile delle operazioni sui conti correnti accesi presso MPS di Siena e UGF Banca. In particolare, con riferimento alle operazioni eseguite presso UGF afferma di aver riconciliato le operazioni con le relative fatture allegate all’atto di appello riprodotte sub doc. 7 (riportando a pag. 1822 del ricorso in cassazione l’elenco delle operazioni). A fronte delle produzioni documentali il giudice di seconde cure ha rilevato che le stesse non erano idonee a dimostrare
l’irrilevanza imponibile e che, conseguentemente, l’avviso di accertamento era legittimo, in quanto il contribuente non aveva fornito la prova contraria. Secondo la CTR non poteva ritenersi assolto l’onere probatorio a carico del contribuente in merito all’irrilevanza imponibile delle operazioni bancarie che l’avviso di accertamento aveva ripreso a tassazione. Ad avviso della ricorrente la sentenza impugnata non consente di stabilire quale sia l’iter logico-giuridico seguito dal giudice per rigettare il motivo d’impugnazione.
2.2. Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità: l’elencazione delle operazioni contenute a pag. 18 -22 costituisce, infatti, un mero accostamento di fatture a importi (corrispondenti a movimentazioni operate sui conti correnti interessati), ma non indica le date delle fatture, non consentendo, quindi, in primo luogo di verificare la vicinanza temporale. Con riferimento alle movimentazioni inerenti al versamento degli assegni non viene neppure indicato il nominativo dell’emittente e quello del destin atario della fattura per verificarne la corrispondenza. Di conseguenza, per quanto l’elenco sembri, prima facie , riportare analiticamente le operazioni e le relative movimentazioni, in concreto riporta un mero accostamento tra le singole operazioni e alcune fatture. Di conseguenza, per quanto succintamente motivata, la sentenza impugnata sul punto è corretta.
Con il terzo motivo è stata denunciata l’erroneità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 7, d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 7, d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p. c.
3.1. Il ricorrente -nell’ipotesi in cui sia disatteso anche il secondo motivo -evidenzia di aver riconciliato analiticamente le
fatture emesse dallo RAGIONE_SOCIALE con le operazioni riprese a tassazione inerenti i due conti correnti accesi presso RAGIONE_SOCIALE e MPS. La sentenza impugnata viola, quindi, l’art. 32, comma 1, n. 7, d.P.R. n. 600 del 1973, così come interpretato da questa Corte, che consente al contribuente di superare la presunzione attraverso la specificazione della riferibilità di ogni versamento bancario, al fine di dimostrare che gli elementi non attengono alle operazioni imponibili.
3.2. Il motivo è inammissibile, sia in ragione di quanto già evidenziato in relazione al secondo motivo di ricorso, sia perché tende a una rivalutazione dei fatti e delle prove, avulsa dal sindacato di legittimità della presente Corte.
Con il quarto motivo è stata contestata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 7) d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
4.1. Con tale motivo la ricorrente ha censurato l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui nessuna norma limita l’utilizzabilità delle movimentazioni di modesto valore. Sebbene non sussista sul punto alcuna specifica disposizione, nondimeno, l’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 deve essere interpretato nel senso di escludere la possibilità di riprendere a tassazione le operazioni di esigua entità.
4.2. Il motivo è infondato: come rilevato dalla stessa ricorrente l’art. 32, comma 1, n. 7, d.P.R. n. 600 del 1973 non contiene alcuna previsione limitativa della rilevanza delle operazioni bancarie rientranti nell’ambito di operatività della presunzione p revista nel n. 2 della norma appena richiamata. Non solo l’argomento di tipo letterale esclude la condivisibilità dell’interpretazione della parte ricorrente, ma quest’ultima, a ben vedere, potrebbe, addirittura, essere rovesciata e prestarsi ad applicazioni elusive del dettato
normativo. A seguire la prospettazione della ricorrente sarebbe, infatti, possibile programmare una serie di operazioni di limitato ammontare per esonerarsi dall’ambito applicativo dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973. Tanto più che la presunzione relativa trova quale ratio il principio di vicinanza della prova: il contribuente, quale autore delle movimentazioni bancarie contestate dall’amministrazione finanziaria, è proprio colui che è in grado di fornire al prova contraria della loro rilevanza in termini fiscali.
Con il quinto motivo è stata contestata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
5.1. La parte censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato l’odierno ricorrente al pagamento delle spese di lite.
5.2. Il motivo è da considerare assorbito, in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto limitatamente al primo motivo, con conseguente assorbimento del quinto motivo, mentre sono inammissibili il secondo e il terzo motivo ed è infondato il quarto motivo di ricorso.
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, che in diversa composizione deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, con il conseguente assorbimento del quinto motivo; dichiara inammissibili il secondo e il terzo motivo e rigetta il quarto motivo di ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, il 31/01/2025.