Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7730 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 7730 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura AVV_NOTAIO dello Stato presso i cui uffici in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO è domiciliata ex lege ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende, per procura in calce al ricorso, unitamente agli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME che hanno indicato indirizzo p.e.c.
-controricorrente –
avverso la sentenza n.327/2/2021 della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata il 12 maggio 2021;
IRES-IRAP Cuneo fiscaleSvalutazione crediti
udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 8 marzo 2024 dal AVV_NOTAIO;
udito il P.M., in persona del AVV_NOTAIO che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi per la ricorrente l’AVV_NOTAIO e per la controricorrente gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME.
Fatti di causa
A seguito della risposta fornita dalla RAGIONE_SOCIALE al questionario inviatole, l’Ufficio contestò, con avviso di accertamento ai fini dell”IRES e dell’IRAP dell’anno di imposta 201 4:
l’indeducibilità della quota di ammortamento al fondo svalutazione crediti, nella parte in cui si era tenuto conto dei crediti ceduti pro solvendo;
l’illegittima deduzione del costo del lavoro dipendente dalla base imponibile dell’IRAP.
Il ricorso proposto dalla Società avverso l’atto impositivo venne rigettato dall’adita Comissione tributaria provinciale.
La decisione, appellata dalla Società, è stata riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte.
In particolare, il Giudice di appello riteneva che la Società, remunerata direttamente dai Comuni che le avevano affidato il servizio di raccolta dei rifiuti, ben potesse dedurre il costo del lavoro dalla base imponibile IRAP e che il rilievo sull’indeducibilità, ai fini IRES, della quota di accantonamento al fondo svalutazione crediti fosse illegittimo, alla luce della giurisprudenza formatasi in materia.
Avverso la sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione, articolando tre motivi.
Resiste la Società con controricorso ulteriormente illustrato con il deposito successivo di memoria.
Ragioni della decisione.
Con il primo motivo di ricorso l’RAGIONE_SOCIALE denuncia, ai sensi dell’art.360, primo comma, num . 4 cod. proc. civ., la sentenza impugnata di motivazione apparente per non avere la RAGIONE_SOCIALE.T.R. esplicitato le ragioni per le quali, nel caso di specie, non aveva, da un canto, qualificato il rapporto in essere tra la Società e gli enti pubblici come concessione di servizi e, d’altro , ritenuto che il corrispettivo non compensava i costi dei pubblici servizi.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art.360, primo comma n.3 cod. proc. civ. la falsa applicazione dell’art. 11, primo comma, lett. a) numeri 2 e 4 , d. lvo 446 del 1997 laddove la C.T.R. da, un canto, avrebbe qualificato il rapporto in essere come appalto, sulla base RAGIONE_SOCIALE definizioni datane dalla giurisprudenza di questa Corte e dell ‘errata considerazione in base alla quale mancherebbe un rapporto di derivazione diretta tra gli importi raccolti dagli utenti con il pagamento della TARSU e la remunerazione della gestione del servizio gestito dalla RAGIONE_SOCIALE.
I primi due motivi attingendo lo stesso capo di sentenza possono essere trattati congiuntamente e sono infondati.
3.1. L’ infondatezza del primo motivo di ricorso emerge ictu oculi dalla mera lettura della sentenza impugnata, laddove la C.T.R. occupa ben sette pagine della motivazione esplicitando non solo gli argomenti in diritto corredati dai precedenti giurisprudenziali ma anche gli elementi in fatto, evincibili dagli atti processuali, che l’hanno condotta alla sua decisione.
3.2 Il secondo motivo di ricorso è infondato prospettando la ricorrente una ricostruzione in diritto diametralmente opposta a quella sancita dalla giurisprudenza di questa Corte. Invero, come evidenziato anche dalla controricorrente in memoria, fra le stesse parti e con riferimento al medesimo rilievo di accertamento ma relativo a diverse
annualità (2010 e 2011) questa Corte si è già pronunciata (Cass., n.ri 7101/22 e 7112/22 entrambe depositate il 3 marzo 2022) condivisibilmente rilevando che: <<Nel caso di specie si discute dell'applicazione dell'art. 11, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 446 del 1997, cos ì come modificato dalla legge 27 dicembre 2006 n.296, il quale esclude dal beneficio fiscale della deduzione, ai fini Irap, di alcune poste relative al costo del lavoro, le « imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori dell'energia, dell'acqua, dei trasporti, RAGIONE_SOCIALE infrastrutture, RAGIONE_SOCIALE poste, RAGIONE_SOCIALE telecomunicazioni, della raccolta e depurazione RAGIONE_SOCIALE acque di scarico e della raccolta e smaltimento rifiuti».
La Commissione Europea, con la decisione C(2007) n. 4133, del 12 ottobre 2007, ha ritenuto di non sollevare obiezioni relativamente alla misura di cui dell'art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2,3 e 4, d.lgs. n. 446 del 1997, in ragione della neutralit à dell'esclusione rispetto ai servizi operanti in concessione ed a tariffa. Premesso che, ai fini dell'esclusione del beneficio, debbono concorrere ambedue i presupposti di legge della 'concessione' e della 'tariffa', in ordine al primo questa Corte ha gi à avuto occasione di precisare che « In tema di IRAP, poich é le imprese che svolgono attivit à regolamentata (cd. "RAGIONE_SOCIALE utilities"), caratterizzate dall'operare in regime di concessione e a tariffa, sono escluse dal godimento degli sgravi sul costo del lavoro (cd. cuneo fiscale) previsti dall'art. 11, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 446 del 1997, a fini agevolativi di riduzione della base imponibile rileva il regime in cui opera il contribuente, tenuto conto che nella concessione il corrispettivo è costituito dal diritto di gestire il servizio o i lavori oggetto del contratto con assunzione del rischio a carico del concessionario, mentre nel contratto di appalto esso consiste in un contributo economico erogato dalla stazione appaltante.» (Cass. 11/08/2020, n. 16889; nello stesso cfr. Cass. n. 24977 del 2021).
A sostegno di tale arresto è stato argomentato che, come rilevato gi à da questa Corte (Cass. 06/05/2015, n. 9139), anche la giurisprudenza amministrativa (AVV_NOTAIO Stato 09/09/2011, n. 5068) ha ritenuto che «….le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli appalti non per il titolo provvedimentale dell'attivit à̀ , n é per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato (che sarebbe un fenomeno tipico della concessione in una prospettiva coltivata da tradizionali orientamenti dottrinali), n é per la loro natura autoritativa o provvedimentale rispetto alla natura contrattuale dell'appalto, ma per il fenomeno di traslazione dell'alea inerente una certa attivit à̀ in capo al soggetto privato».
Quindi, la concessione, ovvero l'autorizzazione a gestire o sfruttare un'opera o un servizio, implica sempre il trasferimento al concessionario del rischio operativo di natura economica di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati ed i costi sostenuti per realizzare i lavori o i servizi. Invero, «la qualificazione come concessione di servizio pubblico deriva dalla circostanza che il corrispettivo non è a carico dell'Amministrazione e che l'erogazione del servizio, accompagnata dalla corresponsione di un canone, è compensata dalla concessione del diritto di sfruttare economicamente, ed in esclusiva, il servizio» (AVV_NOTAIO Stato 12/05/2016, n. 1927). Pertanto, si ravvisa una concessione se, in base al titolo, l'operatore assume i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull'utenza per mezzo della riscossione di un canone o di una tariffa; mentre si configura un contratto di appalto se l'onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull'Amministrazione. E' stato poi sottolineato (Cass. 11/08/2020, n. 16889, cit., in motivazione) che nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza comunitaria, secondo la quale si è in presenza di una concessione di
servizi allorquando le modalit à di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest'ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi (Corte Giust. CE, 15 ottobre 2009, in C- 196/08); mentre in caso di assenza di trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione, l'operazione rappresenta un appalto di servizi (Corte Giust. CE, 10 settembre 2009, C-206/08, per la quale, nel caso di un contratto avente ad oggetto servizi, il fatto che la controparte contrattuale non sia direttamente remunerata dall'amministrazione aggiudicatrice, ma abbia il diritto di riscuotere un corrispettivo presso terzi, è sufficiente per qualificare quel contratto come «concessione di servizi» ai sensi dell'art. 1, n. 3, lett. b) della direttiva 2004/17/CE, se il rischio di gestione nel quale incorre l'amministrazione aggiudicatrice, per quanto considerevolmente ridotto in conseguenza della configurazione giuspubblicistica dell'organizzazione del servizio, è assunto integralmente o in misura significativa dalla controparte contrattuale). Infine, è stato rilevato (Cass. 11/08/2020, n. 16889, cit., in motivazione) che è concorde, sul punto, anche l'art. 2, par. 1, lett. a) e b), della direttiva comunitaria 2014/23/CE («direttiva concessioni»), che ha definito «concessione di servizi» il contratto, a titolo oneroso, stipulato per iscritto, in virt ù del quale una o pi ù̀ amministrazioni aggiudicatrici o uno o pi ù̀ aggiudicatori affidano la fornitura e la gestione di servizi diversi dall'esecuzione di lavori ad uno o pi ù̀ operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo.
Ed anche secondo l'art. 3, primo comma, lett. vv), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (codice dei contratti pubblici) è « 'concessione di servizi' un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtu' del quale una o pi ù stazioni appaltanti affidano a uno o pi ù operatori economici la
fornitura e la gestione di servizi diversi dall'esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi;».
Dunque, la distinzione tra concessione ed appalto si rinviene nel fatto che, nel contratto di concessione, il corrispettivo derivante dall'erogazione del servizio è proprio il diritto di gestire il servizio o i lavori oggetto del contratto, diversamente da quanto accade nell'appalto, nel quale il corrispettivo che deriva dall'esecuzione di lavori o dalla gestione di servizi è l'erogazione di un contributo economico che viene pattuito con la stazione appaltante e dalla stessa viene erogato.
In questo senso si sono pronunciate recentemente anche le Sezioni Unite di questa Corte che, sia pure nel contesto del riparto della giurisdizione, hanno chiarito che « In tema di affidamento di servizi da parte della P.A. ad imprese private, la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi risiede in ci ò , che i primi, a differenza RAGIONE_SOCIALE seconde, riguardano di regola servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comportano il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione e non determinano, infine, in ragione RAGIONE_SOCIALE modalit à di remunerazione, l'assunzione del rischio di gestione da parte dell'affidatario; pertanto, nell'ipotesi in cui l'amministrazione debba versare un canone al gestore dei servizi e questi non percepisca alcun provento dal pubblico indifferenziato degli utenti, il rapporto va qualificato in termini di appalto di servizi.». (Cass. , Sez. Un., 28/05/2020, n. 10080).
Ricordato che, come rilevato anche nella citata Decisione della Commissione Europea, ai fini dell' esclusione dell'agevolazione il requisito della concessione deve concorrere con quello della 'tariffa',
l'interpretazione corretta di tale ultimo elemento è stata chiarita recentemente da questa Corte, alla luce soprattutto della valutazione espressa dalla Commissione Europea: « In tema di IRAP, il vantaggio fiscale della riduzione della base imponibile dichiarata, in applicazione RAGIONE_SOCIALE deduzioni introdotte dall'art. 1, comma 266, della l. n. 296 del 2006 (cd. riduzione del cuneo fiscale prevista dalla legge finanziaria 2007), che ha modificato l'art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 4, del d.lgs. n. 446 del 1997, non si applica alle imprese che svolgono attivit à regolamentata (cd. "RAGIONE_SOCIALE utilities") in forza di una concessione traslativa e a tariffa remunerativa, ossia capace di generare un profitto, essendo tale interpretazione del concetto di tariffa coerente con la "ratio" giustificatrice del cd. cuneo fiscale.» (Cass. 12/12/2019, n. 32633).
Infatti la Commissione europea ha riconosciuto la legittimit à dell'esclusione del beneficio fiscale, nei confronti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE utilities, prendendo atto che: (§ 33.) «le autorit à italiane hanno giustificato l'esclusione sostenendo che essa ha lo scopo di evitare la potenziale sovracompensazione generata dalla misura in quanto l'attuale livello RAGIONE_SOCIALE tariffe è stato determinato tenendo conto dell'onere IRAP prima della riforma, ossia senza le deduzioni dalla base imponibile introdotte dalla misura. In effetti i pubblici servizi interessati sono soltanto quelli operanti in settori nei quali si tiene gi à interamente conto dell'onere fiscale nella determinazione della tariffa. (§ 34.) Inoltre, per quanto riguarda il futuro, le autorit à italiane si sono impegnate a far s ì che l'esclusione non determini n é vantaggi n é svantaggi per i pubblici servizi in quanto i costi fiscali continueranno a essere presi in considerazione. Per questi motivi l'esclusione dei pubblici servizi operanti in concessione e a tariffa non determiner à un vantaggio o uno svantaggio selettivo.». Proprio per la neutralit à dell'esclusione del beneficio fiscale rispetto ai servizi pubblici operanti in concessione e a
tariffa la Commissione europea ha quindi negato che la misura costituisse aiuto di Stato, incompatibile con il mercato comune, ai sensi dell'art. 87, § 1., del trattato CE.
Infatti consentire, indiscriminatamente, a tutte le imprese operanti nel settore dei pubblici servizi di fruire RAGIONE_SOCIALE deduzioni Irap darebbe luogo a un utile insperato, generando una 'sovracompensazione' capace di frustrare l'obiettivo perseguito dall'autorit à di regolamentazione con la fissazione RAGIONE_SOCIALE tariffe; per converso, escludere dal beneficio fiscale le imprese del settore che applicano una tariffa non remunerativa, causerebbe uno svantaggio selettivo, ossia un pregiudizio economico del tutto ingiustificato (cos ì Cass. 12/12/2019, n. 32633).
La relazione logica e funzionale tra i due presupposti, necessariamente concorrenti, dell'esclusione dal beneficio fiscale ne chiarisce la ratio di scongiurare il vantaggio che ne trarrebbe l'impresa che, in regime concessorio, riceva gi à il corrispettivo rappresentato dalla tariffa che le paga l'utenza. Ove tale tariffa (di regola fissata dalla pubblica amministrazione e non dipendente dal mercato) sia anche remuneratoria e compensativa del servizio prestato, sommare ad essa anche la deduzione de qua darebbe quindi luogo alla ridetta 'sovracompensazione'.
Pertanto, nel contesto del regime concessorio, la tariffa pagata dall'utenza costituisce una componente necessaria della remunerazione dell'impresa, giacché non avrebbe altrimenti senso imporre la verifica della sua remunerativit à . In questo senso, del resto, è esplicita la stessa prassi dell'Amministrazione finanziaria, quando rileva che è 'concessione' « un'attività il cui corrispettivo è costituito da una tariffa: ossia da un prezzo fissato o regolamentato dalla pubblica amministrazione in misura t ale da assicurare l'equilibrio economicofinanziario dell'investimento e della connessa gestione».
Chiara, sul punto, è anche l'affermazione di questa Corte, secondo cui «la netta distinzione tra le due figure è stata recentemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimit à , la quale ha sancito che, in tema di affidamento di servizi da parte della pubblica amministrazione ad imprese private, la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi risiede in ci ò , che i primi, a differenza RAGIONE_SOCIALE seconde, riguardano di regola servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comportano il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione e non determinano, infine, in ragione RAGIONE_SOCIALE modalit à di remunerazione, l'assunzione del rischio di gestione da parte dell'affidatario; pertanto, nell'i potesi in cui l' amministrazione debba versare un canone al gestore dei servizi e questi non percepisca alcun provento dal pubblico indifferenziato degli utenti, il rapporto va qualificato in termini di appalto di servizi (in termini: Cass., Sez. Un., 28 maggio 2020, n. 10080)» (Cass. 15/09/2021, n. 24977, in motivazione).
In particolare, poi, proprio con riferimento ai contratti che hanno per oggetto la gestione dei rifiuti, questa Corte ha utilizzato il medesimo criterio, affermando che è ravvisabile, in base al diritto dell'Unione europea, un appalto di pubblico servizio laddove il corrispettivo sia pagato direttamente dall'Amministrazione al prestatore del servizio stesso, il quale non ne sopporta il rischio, a differenza del concessionario di servizi, che trae la propria remunerazione dai proventi ricavati dagli utenti (Cass. 20/04/2017, n. 9965).
3.3. Non introducendo il mezzo di impugnazione nuove e idonee ragioni per discordarsi dai condivisi principi già enunciati da questa Cort e sopra riportati, il motivo va rigettato.
Eguali considerazioni vanno svolte con riferimento al terzo motivo di ricorso con cui l 'RAGIONE_SOCIALE deduce, ai sensi dell'art.
360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione dell'art . 106 del TUIR, laddove la C.T.R. aveva affermato che la quota di ammortamento, sul fondo svalutazione crediti relativi a crediti ceduti pro solvendo, potesse essere legittimamente dedotta se, e nella misura in cui, gli stessi, nonostante la cessione, determino una situazione di rischio per il cedente ravvisando, nella specie, l'esistenza del rischio per il fatto che la quota dedotta dalla società atteneva a crediti nei confronti di una società (RAGIONE_SOCIALE) poi fallita. Secondo la prospettazione difensiva, invece, solo il cessionario avrebbe potuto dedurre i crediti.
4.1 La censura è infondata, anche in questo caso, alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte in materia (ivi comprese le due sentenze rese tra le parti e sopra citate) rispetto alla quale non è stata prospettata una diversa ragione idonea a determinarne un mutamento. Invero, come questa Corte ha gi à chiarito, « In tema di determinazione del reddito d'impresa, la deduzione degli accantonamenti iscritti nel fondo rischi su crediti, prevista dall'art. 71 (art. 106 secondo la numerazione introdotta dal d.lgs. 30 dicembre 1993, n. 344) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, si applica ai crediti ceduti "pro solvendo" se, e nella misura in cui, essi, nonostante la cessione, determinino una situazione di rischio per il cedente.» (Cass. 30/06/2011, n. 14337, 14338 e 14339).
Ed è stato, poi, ulteriormente precisato che « in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d'impresa, gli accantonamenti iscritti nel fondo di copertura di rischi su crediti sono deducibili, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 71, anche nell'ipotesi in cui il credito sia stato oggetto di cessione "pro solvendo", come accade nello sconto bancario di titoli rappresentativi di crediti: se è vero, infatti, che in tal caso il cedente non è pi ù titolare del credito, è altrettanto vero, per ò , che il trasferimento dello stesso in favore del
cessionario è risolutivamente condizionato all'inadempimento del debitore ceduto, il quale comporta la retrocessione del credito nessun rilievo, in proposito, assume il carattere solo eventuale della retrocessione, bastando il relativo rischio a dar rilevanza al momento economico dell'operazione, in ossequio alla "ratio" dell'alt. 71 cit., che esclude la deducibilit à per i soli crediti coperti da garanzia assicurativa, in quanto assicurati contro il rischio dell'insolvenza, e non anche per quelli per i quali tale rischio rimane a carico esclusivo del cedente (Cass., 23 ottobre 2006, n. 22785).» (Cass. 12-08-2021, n. 22763, in motivazione).
Non è , pertanto, fondata la censura della ricorrente nella parte in cui si fonda sulla constatazione che il credito ceduto, anche se pro solvendo , non è pi ù̀ un credito del cedente. N é è fondata la stessa censura, nella parte in cui assume la violazione dell'onere probatorio gravante sulla contribuente, poich é́ che la C.T.R. non avrebbe valutato se la contribuente avesse dato o meno la prova del rischio di inadempimento del credito in questione
Infatti, come gi à̀ rilevato, « In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell'art. 2697 c.c. si configura soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione RAGIONE_SOCIALE fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad
alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivit à̀ consentita dall'art. 116 c.p.c.» (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018).
Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata rende invece conto di tale verifica, rilevando in fatto (con valutazione non sindacata in questa sede) che l'azione di rivalsa del cessionario EmilRo nei confronti del cedente RAGIONE_SOCIALE era stata esercitata e che, quindi, risultava integrato il rischio dell'inesigibilità del credito.
5.Alla stregua RAGIONE_SOCIALE complessive considerazioni che precedono il ricorso va, quindi, rigettato.
La ricorrente, soccombente, va condannata alle spese, liquidate come in dispositivo, in favore della controricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna l'RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla refusione in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE spese liquidate in complessivi euro 12.000,00 (dodicimila), oltre euro 200 per esborsi, rimborso forfetario spese nella misura del 15% e accessori di legge.
Così deciso, in Roma, il giorno 8 marzo 2024.