Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17390 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17390 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/06/2025
Irpef etc. 2009 -Indagini bancarie -Contraddittorio endoprocedimentale -Costi.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29346/2021 R.G. proposto da:
PRI SINZANO NOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
controricorrente incidentale -contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
-controricorrente-
ricorrente incidentale – avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. SICILIA, n. 3610/2021, depositata in data 21 aprile 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME il quale ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del
ricorso principale, per l’inammissibilità o il rigetto del secondo motivo del ricorso principale e per l’accog limento del ricorso incidentale.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME esercente l’attività di c ommercio al dettaglio di materiali da costruzione, l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE, con il quale, per l’anno di imposta 2009, all’esito di indagini bancarie dispo ste ai sensi dell’ar t. 32 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sui conti correnti allo stesso riferibili, rettificava in euro 5.347.378,94 i ricavi dichiarati, recuperando a tassazione maggiore imponibile ai fini Irpef, Irap ed Iva in ragione dei movimenti per i quali non erano state fornite adeguate giustificazioni.
Avverso l’avviso di accertamento il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Palermo, la quale lo accoglieva parzialmente, ritenendo giustificate parte delle movimentazioni contestate e rideterminando i ricavi in euro 2.887.601,83.
Contro tale sentenza proponevano appello in via principale l’Ufficio e in via incidentale il contribuente .
La CTR, con la sentenza di cui all’epigrafe, rigettava entrambi i gravami. Quanto al l’appello principale dell’ Amministrazione -avente ad oggetto le conclusioni rassegante nella consulenza tecnica di ufficio -riteneva che il motivo riguardasse « un’attività » non esercitabile per la prima volta in sede di appello. Assumeva, infatti, che le eventuali eccezioni e osservazioni alle conclusioni del consulente potevano essere proposte esclusivamente nel termine fissato dal giudice per le osservazioni delle parti o nella prima istanza o difesa successiva al deposito della consulenza.
Quanto all’appello incidentale del contribuente -avente ad oggetto la lesione del contraddittorio endoprocedimentale e l’omessa considerazione dei costi in ragione dell’accertamento di maggiori ricavi
-la CTR riteneva condivisibili le motivazioni dei primi giudici in ordine all’insussistenza di un obbligo di contraddittorio preventivo in materia di accertamenti bancari per tutti i tributi, con eccezione dell’Iva, per la quale, tuttavia, il contribuente non aveva spiegato quale pregiudizio ne fosse derivato. Infine, in ordine al motivo attinente al riconoscimento dei costi, osservava che questi erano stati già inseriti nella dichiarazione dei redditi.
Avverso la sentenza della CTR ricorre in via principale il contribuente ed in via incidentale l’Agenzia delle entrate; entrambe le parti si difendono a mezzo controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il contribuente, con il ricorso principale, propone due motivi -a propria volta articolati in due censure -di cui il primo per error in procedendo ex art. 360, primo comma n. 4 cod. proc. civ. e il secondo per violazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3. cod. proc. civ.
1.1. Con la censura sub A) di cui al primo motivo (§ 1.A) denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per violazion e dell’art. 112 cod. proc. civ., stante l’omessa pronuncia sul motivo con il quale aveva contestato che la CTP , quanto all’Iva, aveva individuato un importo di euro 630.942,00 su un presunto volume di affari di euro 3.154.797,46, senza indicare l’aliquota dell’imposta e violando l’art. 56, terzo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Osserva sul punto che per i prodotti per l’edilizia , l’aliquota non è unica, sicché si sarebbe dovuto procedere al calcolo dell’aliquota media.
1.2. Con la censura sub B) di cui al primo motivo (§ 1.B) denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., stante l’omessa pronuncia sul motivo con il quale aveva eccepito che spetta all’Ufficio provare, quanto ai prelevamenti, la rilevanza fiscale degli stessi allorché il contribuente ne abbia indicato il beneficiario. Osserva che anche la CTP, non entrando nel merito della
questione, si era limitata ad affermare che, a fronte della presunzione di cui all’articolo 32 d.P.R. n. 600 del 1973 gravante sul contribuente , spettava a quest’ultimo fornire una prova analitica della riferibilità di ogni movi mentazione al reddito d’impresa. Ribadisce sul punto che, al contrario, per i prelevamenti il contribuente è onerato della sola indicazione del beneficiario, spettando all’Ufficio dimostrarne il rilievo reddituale.
1.3. Con la censura sub A) di cui al secondo motivo (§ 2. A) deduce la violazione dell’art. 32 d.P.R . 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 52, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per violazione del contraddittorio.
Censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto che non fossero stati spiegati e provati il pregiudizio subito d all’accertamento in materia di Iva ed i vantaggi che avrebbe potuto ricevere dal contraddittorio con l’U fficio. Osserva che i rilievi sull’I va, comprensivi di sanzioni, ammontavano ad euro 2.331.360,00 e che, considerato quanto emerso in sede di consulenza tecnica d’ufficio -dove erano state ritenute giustificate operazioni tra entrate ed uscite pari a euro 2.453.088,22 -il contraddittorio avrebbe potuto portare ad ulteriori effetti positivi.
1.4. Con la censura sub B) di cui al secondo motivo (§ 2. B) deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 109 t.u.i.r., per avere la C.t.r negato il riconoscimento dei costi, affermando che erano già stati considerati nella dichiarazione dei redditi.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale l’Ufficio denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma , n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicaz ione dell’art. 57 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e degli artt. 112, 115, 116 e 191 cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per aver rigettato il motivo di appello con il quale aveva contestato l’erroneità della pronuncia della
CTP, nella parte in cui aveva recepito le risultanze della consulenza di ufficio, e per aver ritenuto inammissibili le censure mosse a quest’ultima in quanto avrebbero dovuto essere fatte valere in primo grado.
Il primo motivo del ricorso principale del contribuente è fondato con riferimento ad entrambe le censure.
3.1. Con il ricorso innanzi alla CTP il contribuente aveva contestato l’atto impositivo evidenziando, quanto all’Iva, che non risultava indicata l’aliquota applicata. Inoltre, dolendosi del fatto che nella fase endo-procedimentale non aveva potuto produrre tutta la documentazione giustificativa, aveva allegato al ricorso ulteriori documenti volti a giustificare prelevamenti e versamenti.
Il contribuente, con il terzo motivo del l’appello incidentale , censurava la sentenza di primo grado per non essersi pronunciata in ordine alle giustificazioni fornite sui prelevamenti ed evidenziava che, laddove risultavano indicati i beneficiari, spettava all’Ufficio provarne la rilevanza fiscale. Con il quarto motivo, invece, riproponeva la questione relativa alla mancata indicazione dell’aliquota Iva ; per l’effetto, censurava la sentenza della CTP nella parte in cui aveva affermato che dall’accertamento emergeva che l’aliquota applicata fosse quella del 20 per cento, osservando che nell’atto impositivo non vi era detta indicazione né nella parte motiva né nella parte contabile.
3.2. La CTR ha del tutto omesso di pronunciarsi su entrambi i motivi di appello, incorrendo, pertanto, nel vizio denunciato.
Va rammentato sul punto che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio -risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato -integra un difetto di attività del giudice di secondo grado che si traduce in error in procedendo sindacabile in Cassazione.
La prima censura di cui al secondo motivo relativa al solo recupero dell’Iva è complessivamente infondata.
4.1. In primo luogo, deve rilevarsi che lo stesso contribuente, nella parte espositiva del ricorso, ha affermato che l’Ufficio, per consentire l’esercizio del diritto di difesa, lo aveva invitato al contraddittorio e che, aderendo all’invi to, aveva prodotto una parte dei documenti rilevanti. Ha affermato, tuttavia, che non era stato possibile completare l’esame di tutta la documentazione contabile perché l’Ufficio gli aveva notificato l’avviso di accertamento. Tale ricostruzione è confermata nell’illustrazione del motivo di ricorso laddove si contesta il mancato «proseguimento del contraddittorio».
Da tale allegazione deve desumersi che l’Ufficio ha instaurato il contraddittorio con il contribuente. Questi, pertanto, per assolvere all’onere di specificità del motivo di ricorso, consentendo alla Corte di verificare la condotta illegittima dell’Ufficio per averlo interrotto, avrebbe dovuto esplicitare le singole fasi attraverso le quali si era articolato il procedimento. Lo stesso, invece, nemmeno ha riferito i tempi ed i modi attraverso i quali aveva manifestato la volontà di produrre ulteriore documentazione.
4.2. Sotto altro profilo, va ribadito che, per giurisprudenza costante di questa Corte, la violazione del principio del contraddittorio in tema di tributi c.d. armonizzati (tra cui l’Iva) è suscettibile di determinare l’invalidità del provvedimento solo ove il contribuente assolva alla c.d. prova di resistenza, ovvero dimostri che il rispetto dello stesso avrebbe condotto ad un risultato diverso, con pregiudizio concreto del proprio diritto di difesa (Cass. Sez. U 09/12/2015, n. 24823).
Il contribuente, invece -oltre ad aver individuato il pregiudizio, piuttosto che nella lesione del diritto di difesa, nella rilevanza economica dell’accertamento che è fatto irrilevante si è limitato, genericamente, ad affermare che, in fase endo-procedimentale,
avrebbe potuto produrre ulteriore documentazione, poi versata in giudizio. Tale affermazione, tuttavia, non è idonea a superare la prova di resistenza in quanto il contribuente non ha nemmeno allegato quale fosse la documentazione prodotta in fase endo-procedimentale e quale, invece, quella prodotta solo in giudizio a causa, a suo dire, dell’interruzione del contraddittorio.
4.3. La CTR si è attenuta a questi principi; infatti, ha rigettato il motivo evidenziando che il contribuente aveva denunciato la violazione del contraddittorio, ma non aveva spiegato quale pregiudizio ne fosse derivato, e non aveva nemmeno corroborato l’esistenza del medesimo con una scrupolosa produzione documentale e con difese.
4.4. La seconda censura di cui al secondo motivo è fondata.
Secondo il più risalente orientamento di legittimità, l’Amministrazione finanziaria era tenuta a riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo c.d. puro ex art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973; invece, in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (come nell’ipotesi di indagini bancarie), era il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio potesse o dovesse procedere al loro riconoscimento forfettario (da ultimo, Cass. 28/11/2022, n. 34996).
Recentemente si è evidenziato che tale opzione interpretativa deve essere rivisitata alla luce della pronuncia della Corte Cost. n. 10 del 2023, cui era stata rimessa la questione della legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, n. 2), del d.P.R. n. 600 del 1973, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. nella parte in cui pone la presunzione per la quale i prelevamenti sul conto corrente, se non risultano dalle scritture contabili, sono considerati ricavi dell’imprenditore
commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario (Cass. 23/02/2023, n. 5586).
La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale essendo possibile un’interpretazione adeguatrice della norma.
Ha osservato che, in caso di accertamento induttivo in senso stretto (o puro), l’impossibilità di una ricostruzione complessiva della contabilità (o, comunque, la generalizzata inattendibilità della stessa) ha da tempo indotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare il principio secondo il quale deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria, precisando che è lo stesso Ufficio finanziario ad essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi.
L’accertamento analitico -contabile (che aveva originato l’incidente di legittimità costituzionale) si caratterizza, invece, per la rettifica di singole componenti del reddito dichiarato e può derivare dal confronto tra la dichiarazione e le scritture contabili (il bilancio, in particolare) e l’esame della documentazione posta a fondamento della contabilità, come le risultanze delle movimentazioni bancarie. Presupposto dell’utilizzo del metodo analitico o misto è l’attendibilità complessiva della contabilità, che consente la rettifica di singole componenti reddituali: in sostanza, la determinazione del reddito è compiuta nell’ambito delle risultanze della contabilità, ma con una ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi o passivi, dei quali risulta provata aliunde la mancanza o l’inesattezza. Proprio la presenza di una contabilità generalmente attendibile, e una ripresa a tassazione che si realizza mediante rettifiche di singole poste della stessa, implica che ai fini della deduzione dei costi, operi in generale la regola ritraibile dall’art. 109 t.u.i.r., in forza della quale, se gli stessi non sono presenti
nel conto economico, possono essere dedotti solo se risultano da elementi certi e precisi, dei quali l’onere della prova è a carico del contribuente.
Da tale sistema, tuttavia, secondo il giudice delle leggi, deriverebbero esiti irragionevoli perché finirebbe per prevedere un trattamento più severo, quanto al regime della possibile prova contraria rispetto alla presunzione legale in esame, in danno del contribuente che ha tenuto una contabilità complessivamente attendibile (e che può essere destinatario di un accertamento analiticoinduttivo), rispetto al regime probatorio di cui si avvale chi, destinatario di un accertamento induttivo, ha omesso qualsiasi contabilità ovvero ne ha tenuta una complessivamente inattendibile o ha posto in essere gravi condotte, quale l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi. Pertanto, la Consulta ha precisato che la disposizione censurata, intanto si sottrae alle censure di illegittimità costituzionale, in quanto si interpreti nel senso che -a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati -il contribuente imprenditore possa sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la «incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati» (Corte cost. n. 225 del 2005).
L’Agenzia delle entrate, del resto, con circolare n. 32/E/2006 (capitolo quinto, punto 5.5), aveva già affermato, con riguardo agli accertamenti induttivi puri, che «il riconoscimento di costi deve essere livellato -anche in misura percentualistica -in ragione dei maggiori ricavi accertati sulla base del meccanismo presuntivo» di cui all’art. 32, primo comma, n. 2), d.P.R. n. 600 del 1973.
A seguito della richiamata pronuncia della Corte costituzionale, tale principio deve ritenersi estensibile anche al caso di utilizzo del metodo analitico o misto.
In conclusione, sul punto, alla stregua dell’interpretazione adeguatrice fornita dal giudice delle leggi, si rivela errata la decisione impugnata nella parte in cui afferma che non è possibile riconoscere un’ incidenza percentuale di costi presunti a fronte di maggiori ricavi.
Il motivo va, dunque, accolto. In sede di rinvio la Corte di giustizia tributaria dovrà rideterminare il reddito imponibile del contribuente riconoscendo una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi in relazione ai ricavi accertati, avvalendosi anche, se del caso, dell’ausilio di consulenza tecnica d’uffi cio (Cass. 03/07/2023, n. 18563).
L’unico motivo di ricorso incidentale dell’Ufficio è fondato.
5.1. Questa Corte, a Sezioni Unite, con riferimento al processo civile ordinario, ha precisato che le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio -ove non integrino eccezioni di nullità relative al procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 cod. proc. civ. -costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano all’attendibilità e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio. Deve distinguersi, pertanto, tra le censure alla consulenza tecnica d’ufficio che attengono a violazioni procedurali e quelle che, invece, attengono al merito e, cioè, a contestazioni valutative. Solo le prime, in quanto aventi ad oggetto nullità relative, sono soggette al regime preclusivo di cui all’art. 157 cod. proc. civ. mentre non lo sono i vizi di contenuto,
attinenti a questioni scientifiche o, comunque, valutative e, quindi, connesse al tema della ricerca di una giusta soluzione della controversia (cfr. Cass. Sez. U. 21/02/2022, n. 5624).
5.2. Stessi principi vanno applicati al processo tributario, nel quale, per altro, in secondo grado non opera nemmeno la preclusione di nuove produzioni documentali (in questo senso Cass. 17/12/2024, n. 32965).
La CTR ha errato, pertanto, nel non esaminare le contestazioni alle risultanze della c.t.u. sollevate dall’Agenzia delle entrate. In conformità con l’orientamento espresso da lle Sezioni Unite, le suddette osservazioni dovevano essere ritenute ammissibili, non riguardando profili di nullità della consulenza.
In conclusione, vanno accolti il primo motivo, con riferimento ad entrambe le censure, e la seconda censura di cui al secondo motivo del ricorso principale -inammissibile la prima censura -e va accolto il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata, limitatamente ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame, fornendo congrua motivazione, e al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, nei limiti di cui in motivazione, ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2025.