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Deduzione costi forfetaria: la nuova Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19574/2025, ha stabilito un principio fondamentale in materia di accertamento fiscale. A seguito del rinvenimento di una contabilità “in nero”, una società e i suoi soci venivano raggiunti da un avviso di accertamento. Dopo la conferma nei primi due gradi di giudizio, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dei contribuenti sul punto relativo al mancato riconoscimento dei costi. In particolare, è stato affermato che anche nell’ambito di un accertamento analitico-induttivo, il contribuente può opporre una prova presuntiva contraria eccependo una deduzione costi forfetaria in percentuale sui maggiori ricavi accertati. La decisione cassa la sentenza precedente e rinvia la causa per un nuovo esame alla luce di questo principio.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deduzione costi forfetaria: La Svolta della Cassazione dopo la Consulta

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 19574 del 2025, introduce un’importante novità in tema di deduzione costi forfetaria nell’ambito degli accertamenti fiscali. Sulla scia di una fondamentale sentenza della Corte Costituzionale, viene riconosciuta al contribuente una nuova e potente arma di difesa anche quando l’accertamento si basa su una contabilità ritenuta sostanzialmente attendibile. Vediamo nel dettaglio i fatti e il principio di diritto che potrebbe cambiare le sorti di molti contenziosi tributari.

I Fatti del Caso: L’accertamento basato sulla “contabilità in nero”

Il caso ha origine da una verifica fiscale nei confronti di una società di persone operante nel settore dei ricambi. Durante l’ispezione, l’amministrazione finanziaria rinveniva documentazione extracontabile, una vera e propria “contabilità in nero”, da cui emergeva l’esistenza di ricavi non dichiarati. Di conseguenza, veniva notificato alla società e ai singoli soci un avviso di accertamento che riprendeva a tassazione, ai fini Irap, Irpef e Iva, i maggiori ricavi, contestando anche costi non deducibili e irrogando le relative sanzioni. I contribuenti impugnavano l’atto, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale confermavano la pretesa del Fisco.

Il Percorso Giudiziario e i Motivi del Ricorso

I giudici di merito avevano ritenuto legittimo l’operato dell’Ufficio, valorizzando il rinvenimento della documentazione extracontabile come prova sufficiente della maggiore pretesa erariale. Secondo le corti, di fronte a tale scoperta, gravava sui contribuenti un onere probatorio rigoroso per dimostrare l’infondatezza delle accuse, onere che non era stato assolto. I contribuenti, tuttavia, decidevano di ricorrere in Cassazione, affidandosi a cinque motivi. I primi quattro, incentrati su presunti vizi di motivazione della sentenza d’appello e dell’atto impositivo, sono stati respinti dalla Suprema Corte. È sul quinto motivo, però, che la vicenda ha trovato la sua svolta decisiva.

La questione della deduzione costi forfetaria

Con il quinto motivo, i ricorrenti lamentavano il mancato riconoscimento di maggiori costi a fronte dei maggiori ricavi accertati. La Corte di Giustizia Tributaria aveva respinto questa doglianza, sostenendo che, trattandosi di un accertamento di natura analitico-induttiva, i costi potevano essere dedotti solo se risultanti “da elementi certi e precisi secondo il principio della previa imputazione dei costi nel bilancio”. In altre parole, nessun costo poteva essere riconosciuto se non era già stato regolarmente contabilizzato. La Cassazione, riformando tale impostazione, ha cambiato le carte in tavola.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il quinto motivo di ricorso. Il Collegio ha osservato che, a seguito della sentenza n. 10 del 2023 della Corte Costituzionale, si è consolidato un nuovo orientamento giurisprudenziale. Questo orientamento mira a evitare trattamenti irragionevoli e sproporzionati a danno del contribuente. In passato, si riteneva che solo nell’accertamento “induttivo puro” (quello applicato quando la contabilità è totalmente inattendibile o assente) l’ufficio dovesse riconoscere una quota forfetaria di costi. Nell’accertamento “analitico-induttivo”, invece, il contribuente doveva fornire prova certa e puntuale di ogni costo deducibile. La Cassazione, in armonia con la Consulta, ha affermato che questa distinzione crea una disparità di trattamento ingiustificata. Un contribuente con una contabilità complessivamente attendibile (soggetto ad accertamento analitico-induttivo) non può essere trattato più severamente di chi ha omesso del tutto la contabilità.

Per questo, la Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di accertamento dei redditi con il metodo analitico-induttivo, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2023, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfetaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti».

Le Conclusioni

L’ordinanza segna un punto di svolta per la difesa del contribuente. La possibilità di richiedere una deduzione costi forfetaria anche negli accertamenti analitico-induttivi riequilibra il rapporto tra Fisco e cittadino, basandolo su principi di maggiore logicità e capacità contributiva. Le imprese, pur in presenza di contestazioni su ricavi non contabilizzati, avranno ora la possibilità di far valere, anche in via presuntiva, l’incidenza dei costi necessari a produrre quei ricavi. La sentenza impugnata è stata quindi cassata, e la causa rinviata alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, che dovrà riesaminare il caso applicando il nuovo e più equo principio.

È possibile chiedere una deduzione costi forfetaria in un accertamento analitico-induttivo?
Sì, la Corte di Cassazione, richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2023, ha stabilito che il contribuente può sempre opporre come prova contraria una deduzione percentuale forfetaria dei costi di produzione a fronte dei maggiori ricavi presunti.

La scoperta di una “contabilità in nero” è sufficiente a legittimare un accertamento fiscale?
Sì, il rinvenimento di documentazione extracontabile costituisce un elemento probatorio presuntivo che legittima la rettifica del reddito da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Spetta poi al contribuente fornire la prova contraria per superare tale presunzione.

L’avviso di accertamento è valido se si limita a richiamare le conclusioni del P.V.C. della Guardia di Finanza?
Sì, la Corte ha confermato il principio secondo cui la motivazione di un atto impositivo è validamente assolta anche attraverso il richiamo (per relationem) al processo verbale di constatazione (P.V.C.) che ne costituisce l’atto prodromico, a condizione che questo sia stato messo a disposizione del contribuente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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