Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19574 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19574 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 8220/2023, proposto da:
COGNOMERAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale indica il proprio indirizzo di poste elettronica certificata
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 6394/2022 della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania, depositata il 30 settembre 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
A seguito di verifica fiscale inerente all’anno d’imposta 2014, l’amministrazione finanziaria notificò a RAGIONE_SOCIALE un avviso di accertamento che ne riprendeva a tassazione il reddito a fini Irap, Irpef e Iva, sul rilievo di ricavi non fatturati e costi non deducibili, oltre all’irrogazione di sanzioni.
Un identico avviso fu notificato ai soci NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME in proporzione alle rispettive quote, ex art. 5 TUIR.
La società e i soci NOME e NOME COGNOME impugnarono l’avviso di accertamento innanzi alla C.T.P. di Napoli, mentre il restante socio propose impugnazione innanzi alla C.T.P. di Salerno.
I giudizi, riuniti innanzi alla prima Commissione adìta, si conclusero con la conferma della pretesa erariale.
Il successivo appello dei contribuenti venne respinto con la pronunzia indicata in epigrafe.
Per quanto in questa sede ancora di interesse, i giudici regionali disattesero il motivo di gravame con il quale i contribuenti avevano denunziato la nullità della sentenza (per omessa pronuncia o difetto di motivazione) nella parte in cui aveva ritenuto persuasiva la documentazione valutata dall’Ufficio e, per contro, inidonee alla prova contraria le produzioni da loro effettuate.
Nel merito, valorizzarono la documentazione extracontabile utilizzata dall’Amministrazione , significativa di una vera e propria ‘contabilità in nero’ .
Infine, affermarono che le doglianze dei contribuenti sulle modalità di valutazione della documentazione extracontabile da parte della Guardia di Finanza costituivano mere argomentazioni, che non trovavano sostegno in prove più specifiche degli asseriti errori; che l’atto impositivo era sufficientemente motivato per effetto del richiamo al p.v.c. ad esso prodromico; e che l’accertamento era stato condotto con metodo analitico-induttivo, ciò che onerava i contribuenti della prova delle componenti negative di reddito che essi ritenevano di considerare in sede di rettifica.
I contribuenti tutti hanno impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da successiva memoria.
L’Amministrazione ha depositato controricorso.
Considerato che:
Con il primo mezzo d’impugnazione è dedotta nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., degli artt. 1 e 36 del d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 111 della Costituzione.
I ricorrenti rilevano di aver eccepito, con apposito motivo di appello, l’illegittimità dell’accertamento per la presenza di «numerose anomalie nell’operato sia della Guardia di Finanza che dell’Agenzia delle entrate»; queste ultime sarebbero consistite, in particolare, in errori materiali nella consultazione dei files excel donde i verificatori avevano tratto riscontro delle omissioni contabili, nonché nell’erronea considerazione come «operazioni a nero» di semplici annotazioni, che consistevano in «tracce di operazioni poi non perfezionate, ovvero
diversamente perfezionate, ovvero perfezionate con l’emissione (non di fattura, ma) di scontrino fiscale».
Lamentano, quindi, che la decisione resa sul punto dalla Corte di giustizia non sarebbe supportata da adeguata motivazione.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza, sempre per violazione degli artt. 132 cod. proc. civ., 1 e 36 del d.lgs. n. 546/1992 e 111 della Costituzione.
La censura concerne la pronunzia impugnata nella parte relativa alla motivazione dell’atto impositivo .
I ricorrenti sostengono che, sul punto, i giudici d’appello avrebbero ritenuto sufficiente l’adesione dell’Ufficio alle risultanze del p.v.c., omettendo di considerare i documenti di significato contrario da loro prodotti; per tale ragione, assumono che la decisione sarebbe supportata da motivazione meramente apparente.
Con il terzo motivo, denunziando nuovamente la nullità della sentenza in relazione agli artt. 1 e 36 del d.lgs. n. 546/1992, all’art. 132 cod. proc. civ. e all’art. 111 della Costituzione, i ricorrenti assumono di aver sottoposto all ‘attenzione dell a Corte di giustizia, tramite i loro motivi di gravame, plurimi elementi donde potevano ritenersi «assolutamente inattendibili e irragionevoli le conclusioni raggiunte dall’AdE sulla scorta della documentazione extracontabile », e che, invece, sul punto i giudici d’appello avrebbero statuito con motivazione supportata da argomenti «inconferenti o irrilevanti».
Il quarto motivo, formulato «alternativamente o cumulativamente» al precedente, denunzia lo stesso vizio sotto forma di contrasto con gli artt. 2727 e 2729 cod. civ.
Infatti, per l’ipotesi in cui fosse ritenuto soddisfatto in parte qua l’obbligo di motivazione della sentenza d’appello, i ricorrenti sostengono che la stessa andrebbe censurata per il grave malgoverno
delle norme applicabili in tema di presunzioni; assumono, in particolare, che i giudici regionali avrebbero commesso un errore di sussunzione nell’individuare i fatti posti a base del ragionamento presuntivo, e considerato i relativi elementi in modo atomistico e non in concorso fra loro.
Infine, con il quinto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 53 Cost. , dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 , degli artt. 83 e 109, comma 4, del TUIR e dell’art. 7, comma 5bis , del d.lgs. n. 546/1992, sottoponendo a critica la sentenza impugnata nella parte concernente il mancato riconoscimento di maggiori costi sul reddito rettificato.
In particolare, la Corte territoriale avrebbe errato nel non ritenere sussistente, nella specie, un’ipotesi di accertamento cd. induttivo puro, il che avrebbe consentito la deduzione di costi, parimenti per via induttiva; in ogni caso, anche a voler condividere l’ipotesi accertativa affermata, doveva essere consenti ta un’ analoga forma di deduzione dei costi.
Il primo motivo non è fondato.
6.1. I ricorrenti sostengono che la sentenza d’appello sarebbe priva di motivazione nella parte concernente la denunzia di omesso esame, da parte dei giudici di prime cure, delle loro doglianze in punto alla sussistenza di «errori e anomalie» nella documentazione esaminata in sede di verifica.
Sul punto, la decisione impugnata ha fondamentalmente valorizzato la circostanza del rinvenimento, da parte degli accertatori, di documentazione extracontabile, osservando che, a fronte di ciò, i contribuenti non avevano assolto l’onere di prova contraria di loro spettanza.
Costoro, infatti, avrebbero dovuto fornire «riscontri precisi e puntuali alla ricostruzione dei ricavi operata dall’ufficio » e si erano invece limitati «a mere argomentazioni e ad affermazioni di principio», quali il rilievo di «una serie di elementi indiziari esterni all’attività svolta, diretti a contestare la metodologia dell’accertamento adottata dall’ufficio, legittima in quanto fondata sul grave elemento indiziario del rinvenimento di documentazione extracontabile»; le argomentazioni offerte, inoltre, «non trovano sostegno in prove documentati precise e puntuali degli errori asseriti».
6.2. Giusta quanto riportato , la sentenza d’appello è immune da carenze nella motivazione.
È appena il caso di richiamare, in tal senso, il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui il vizio lamentato sussiste quando la statuizione è priva di motivazione, ovvero sorretta da motivazione apparente, perplessa o incomprensibile o che si manifesti attraverso il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (così, fra le numerose altre, Cass. n. 27551/2024; Cass. n. 22204/2021).
Tali fattispecie sono accomunate dall’ esito di non consentire all’interprete la comprensione delle ragioni attraverso le quali il giudice è pervenuto alla statuizione adottata.
6.3. Ciò non si è verificato nel caso di specie.
Nella sentenza impugnata, infatti, sono rappresentate compiutamente e con chiarezza le ragioni per le quali non può ritenersi assolto, da parte dei contribuenti, l’onere di prova contraria che su di loro gravava a fronte delle presunzioni poste a fondamento della pretesa impositiva, corroborata da ll’accertata esistenza di una contabilità ‘parallela’ o ‘in nero’ (pag. 6 della sentenza d’appello) .
Né la dedotta nullità sussiste perché i giudici d’appello avrebbe ro omesso di esaminare nel dettaglio le «anomalie» denunziate dai ricorrenti; i n tal senso, va condivisa l’affermazione , contenuta in sentenza con richiamo alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «non è necessario che nella motivazione vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse» ( ex multis Cass. n. 1357/2019).
La motivazione della sentenza è, dunque, coerente con la logica espressa dai principi che governano la materia ed è pienamente intelligibile; essa, pertanto, si colloca ben al di sopra della soglia del ‘minimo costituzionale’ indicato dalla giurisprudenza di questa Corte per la valutazione di sufficienza e chiarezza richieste dall’art. 111, comma sesto, Cost. (cfr. Cass. sez. U. n. 8053 e 8054/2014).
Considerazioni non dissimili valgono a designare come infondato anche il secondo motivo.
I ricorrenti lamentano una carenza argomentativa della pronunzia impugnata in ordine all’eccepita invalidità dell’atto impositivo per carenza di motivazione; in tal senso, ritengono inappagante il richiamo, che vi è contenuto, al rapporto fra l’ atto impositivo e il p.v.c. prodromico, osservando di aver eccepito la nullità del primo perché emesso «in acritico recepimento» del contenuto del secondo.
Tuttavia, dalla lettura della sentenza si evince con chiarezza il contenuto del principio affermato -quello in base al quale la motivazione dell’atto impositivo è validamente rinvenibile nel richiamo al p.v.c. -e, rispetto a tale principio, gli argomenti dei
ricorrenti si caratterizzano come doglianze di merito, volte a confutare il contenuto dell’accertamento e non la conformità della motivazione al ‘minimo costituzionale’ .
Il terzo e il quarto motivo, meritevoli di esame congiunto per la loro connessione, non sono fondati.
8.1. In punto all’affermata carenza di motivazione della sentenza impugnata in punto alla prova del credito, valgono le considerazioni già esposte in relazione al primo motivo.
8.2. Quanto alla dedotta violazione di legge, il rinvenimento di documentazione extracontabile -che costituisce, lo si ripete, circostanza incontestata -ha legittimamente condotto la Corte territoriale a ritenere soddisfatto l’onere probatorio che grava sull’Erario.
In proposito, si può richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la documentazione extracontabile legittimamente reperita presso la sede dell’impresa, ancorché consistente in annotazioni personali dell’imprenditore, costituisce elemento probatorio, sia pure meramente presuntivo, utilmente valutabile, indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolarità nella tenuta della contabilità e nell’adempimento degli obblighi di legge; pertanto, qualora essa venga rinvenuta presso la sede dell’impresa documentazione astrattamente idonea ad evidenziare l’esistenza di operazioni non contabilizzate, essa consente di procedere alla rettifica del reddito, spettando al contribuente l’onere di fornire adeguata prova contraria (così, fra le altre, Cass. n. 9944/2023; Cass. n. 7534/2021; Cass. n. 10138/2020; Cass. n. 21138/2018; Cass. n. 12680/2018).
La sentenza impugnata si è, dunque, conformata a tale consolidato indirizzo; per il resto, laddove volte a contestare
l’intrinseca forza probatoria dei singoli elementi valutati dai giudici regionali, le argomentazioni dei ricorrenti finiscono per sollecitare un nuovo apprezzamento del materiale già valutato in sede istruttoria, non consentito nel giudizio di legittimità.
È invece fondato il quinto motivo, con il quale i contribuenti si dolgono del mancato riconoscimento di maggiori costi sul reddito rettificato.
9.1. Sul punto, i giudici d’appello hanno ritenuto che , vertendosi in ipotesi di «accertamento di natura analitico – induttiva, ai sensi degli artt. 39 co. 1 lett. d) e 40 del D.P.R. n. 600/73 ai fini delle imposte dirette, che comporta quindi il conseguente onere per il contribuente di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’ufficio debba (o avrebbe dovuto ab origine ) procedere, come nel diverso caso dell’accertamento c.d. ‘induttivo puro’ ad un loro ri conoscimento forfettario le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza ».
Pertanto, la deduzione dei costi sarebbe stata possibile soltanto ove gli stessi fossero risultanti «da elementi certi e precisi secondo il principio della previa imputazione dei costi nel bilancio».
9.2. Osserva tuttavia il Collegio che, anche a voler ritenere sussistente la fattispecie accertativa individuata in sentenza, la più recente giurisprudenza di questa Corte, formatasi alla luce della sentenza n. 10 del 2023 della Corte costituzionale, consente al contribuente l’opposizione di costi forfetari in forma di presunzione contraria.
Si è affermato, in particolare, che, in caso di accertamento induttivo puro, l’impossibilità di una ricostruzione complessiva della
contabilità (o, comunque, la generalizzata inattendibilità della stessa) conduce a ritenere riconoscibile la deduzione dei costi di produzione anche con ricorso a determinazione percentuale forfetaria, con la precisazione che è lo stesso ufficio finanziario ad essere onerato di determinare induttivamente non solo i ricavi, ma anche i corrispondenti costi.
Nell ‘ambito dell’ accertamento analiticoinduttivo, che presuppone l’attendibilità complessiva della contabilità, consente ndo la rettifica di singole componenti reddituali, si riteneva invece che, ai fini della deduzione dei costi, operasse la regola generale ritraibile dall’art. 109 TUIR in forza della quale, se gli stessi non sono presenti nel conto economico, possono essere dedotti solo se risultano da elementi certi e precisi, dei quali l’onere della prova è a carico del contribuente.
9.3. A fronte di ciò, questa Corte -in armonia con il menzionato dictum del giudice delle leggi -ha affermato che da tale sistema deriverebbero esiti irragionevoli, perché si finirebbe per prevedere un trattamento più severo, quanto al regime della possibile prova contraria rispetto alla presunzione legale in esame, in danno del contribuente che ha tenuto una contabilità complessivamente attendibile (e che può essere destinatario di un accertamento analitico-induttivo), rispetto al regime probatorio di cui si avvale chi, destinatario di un accertamento ‘ induttivo puro’ , ha omesso qualsiasi contabilità, ovvero ne ha tenuta una complessivamente inattendibile o ha posto in essere gravi condotte, quale l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi (cfr. Cass. n. 18653/2023; Cass. n. 5586/2023).
10. In considerazione di tali rilievi, il quinto motivo di ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di
Giustizia tributaria di secondo grado della Campania affinché, in diversa composizione, provveda al riesame in conformità al seguente principio di diritto: «In tema di accertamento dei redditi con il metodo analitico-induttivo, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2023, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfetaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti».
Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al quinto motivo, rigettati i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte