Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19655 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19655 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4076/2022 R.G. proposto da :
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE con gli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso la Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 2560/2021 depositata il 06/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 22 gennaio 2019, a seguito di Processo verbale di constatazione redatto dalla Agenzia delle entrate -Direzione provinciale di Milano, per quanto qui rileva, veniva notificato alla società RAGIONE_SOCIALE che svolge l’attività di acquisizione e successiva messa a disposizione di beni immobili, e segnatamente di centri commerciali e cinematografi siti in varie regioni italiane, secondo le formule contrattuali dell’affitto di ramo
d’azienda e della locazione commerciale, avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 201 5.
Con il suddetto atto impositivo venivano recuperati a tassazione ammortamenti dei beni strumentali considerati ‘fiscalmente indeducibili’ ai sensi dell’art 102, co. 8, del d.P.R. n. 917/1986 e veniva pertanto accertata una maggiore IRES di € 96.894,00, cui si aggiungevano sanzioni e interessi.
2.1. Rilevava in particolare l’Agenzia che l’esame dei contratti evidenziava una contraddizione tra la pattuita deroga agli art. 2561 e 2562 c.c. prevista al comma 8 dell’art. 102 del Tuir – a mente della quale il concedente è legittimato a dedurre le quote di ammortamento dei beni ammortizzabili relativi all’impresa, nel caso in cui si faccia carico della cura dell’efficienza dell’organizzazione degli impianti – e le disposizioni contrattuali che indicavano obblighi opposti a tale deroga, poiché la conserv azione dell’efficienza del ramo d’azienda restava in capo all’affittuario.
La società impugnava l’avviso di accertamento avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano che accoglieva il ricorso della contribuente, con decisione confermata dalla CTR della Lombardia che, con la sentenza in dicata in epigrafe, rigettava l’appello erariale.
Avverso la predetta sentenza l’Agenzia delle Entrate propon e ricorso per cassazione sorretto da unico motivo, al quale la società resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato sorretto da tre motivi.
In prossimità dell’adunanza, la società contribuente ha depositato memoria illustrativa ex art. 380-bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso principale l’Amministrazione finanziaria deduce, con riferimento all’ art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
dell’art. 2561 c.c. e dell’art. 102 , comma 8 del DPR 917/86.
1.1. Osserva la ricorrente che, n el corso dell’attività istruttoria, i funzionari erariali avevano acquisito i contratti stipulati tra la società verificata e i locatari, dai quali era effettivamente emersa la presenza, nella quasi totalità dei casi, della deroga convenzionale prevista da ll’art. 102 , comma 8 del TUIR. Prevede tale disposizione che è consentito al concedente dedurre le quote di ammortamento dei beni aziendali, qualora, in deroga a quanto previsto dagli articoli 2561 e 2562 del codice civile, si faccia carico del mantenimento dell’efficienza dell’organizzazione e degli impianti.
1.2. Tuttavia, osserva ancora l’Agenzia, altre clausole contrattuali evidenziavano obblighi contrari a tale deroga, giacché la responsabilità del mantenimento dell’efficienza operativa del ramo d’azienda e le spese di manutenzione degli immobili risultavano, in concreto, affidate ai locatari ed agli stessi riaddebitate.
1.3. Sulla base di tali elementi, l’Amministrazione sostiene che il diritto alla deduzione delle quote di ammortamento dei beni spettasse esclusivamente a questi ultimi, indipendentemente dalla presenza della deroga convenzionale, e lamenta che la CTR avrebbe impropriamente valorizzato la distinzione, contrattualmente prevista, tra le spese volte al mantenimento dell’efficienza dell’organizzazione e degli impianti comuni che, per effetto della deroga convenzionale, potevano restare a carico del concedente -e le spese di manutenzione ordinaria, intese come oneri di gestione periodica, imputabili invece ai locatari.
Il motivo è in parte infondato, e per il resto inammissibile.
2.1. L’art. 2561, secondo comma, c.c. prevede, a carico dell’affittuario di azienda, l’obbligo di conservazione dell’ efficienza dei beni aziendali. L’assunzione di detto obbligo tutela l’interesse del concedente, sia nel caso in cui avvenga la circolazione inversa dell’azienda (ove il concedente riprenda la gestione caratteristica), sia in caso di circolazione ulteriore dell’azienda, salvaguardando il
compendio aziendale nel suo complesso (efficienza degli impianti e approvvigionamento delle scorte).
2.2. Ai fini fiscali il legislatore -a termini dell’art. 102, comma 8, d.P.R. n. 917 del 1986, -ha seguito il principio di derivazione del reddito fiscale da quello civilistico. In particolare, quanto al trattamento fiscale dei beni ammortizzabili dei beni compresi nell’azienda data in affitto, l’ammortamento dei beni compete al soggetto che ha l’obbligo di conservare in efficienza l’azienda, ossia -secondo una costante giurisprudenza di questa Corte -all’affittuario e non al concedente (Cass. 12/07/2022, n. 22070; Cass. 08/03/2019, n. 6836; Cass. 15/01/ 2007, n. 675; Cass. 24/01/2001, n. 997). L’affittuario si sostituisce al concedente nella posizione fiscale riferibile agli elementi patrimoniali conferiti nel ramo di azienda, posto che è il soggetto che si assume il rischio della perdita di valore dei beni per minor valore conseguente alla perdita, all’uso o all’obsolescenza tecnologica dei beni aziendali, con la conseguenza che il risultato di gestione dell’affittuario tiene conto dell’onere per logorio e perimento dei beni aziendali, traslato dalla posizione del concedente.
2.3. Tuttavia, la disciplina fiscale consente che le parti del contratto di affitto di azienda possano derogare convenzionalmente alla disciplina civilistica di cui all’art. 2561, secondo comma, c.c., nel caso in cui l’affittuario non assuma convenzionalmente l’obbligo di mantenimento in efficienza del compendio aziendale. In questo caso, la titolarità del diritto di deduzione degli ammortamenti non viene traslata sul reddito dell’affittuario, come previsto dall’art. 102, comma 8, d.P.R. n. 917 del 1986, secondo cui tale disposizione non si applica in caso di deroga convenzionale alle norme dell’art. 2561 c.c. concernenti l’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili (Cass. 10/08/2010, n. 18537; Cass. 21/01/ 2008, n. 1172). Soluzione applicata, ad esempio, da questa Corte nel caso in cui sia stata pattuita la clausola secondo cui il deperimento derivante
dall’uso di beni componenti il ramo d’azienda condotto in affitto non dovesse ricadere sul conduttore, bensì sul concedente (Cass. 21/12/2018, n. 33219).
Nella specie la CTR ha dato corretta interpretazione dei principi affermati, laddove non ha condiviso l’impostazione adottata dall’Ufficio, secondo la quale la disciplina ex art. 2561 c.c. deve essere interpretata nel senso che la conservazione dell’efficienza degli impianti deve essere assimilata alla manutenzione ordinaria, concernente le manutenzioni e riparazioni di natura corrente e quotidiana per mantenere i cespiti in buono stato di funzionamento, impostazione, fermo restando, rilevano i giudici di appello, «che la documentazione contabile, alla quale fa cenno l’Ufficio, riscontra e non smentisce la coerenza degli ammortamenti operati dalla Società appellata rispetto alla disciplina normativa prevista dagli artt. 25612562 c.c. e dalle disposizioni contrattuali, in relazione alla natura delle spese oggetto di rifatturazione ai singoli affittuari», nel senso che «la società riaddebita le spese di manutenzione ordinaria su parti comuni, senza che si possa profilare un contrasto con la deroga contenuta nel contratto, posto che le spese di manutenzione ordinaria non equivalgono alle spese di conservazione dell’efficienza dell’organizzazione della struttura e degli impianti».
3.1. In particolare, la CTR ha osservato che l’Ufficio, incorrendo in equivoco, avrebbe trascurato la circostanza per la quale, secondo la disciplina contrattuale di tutti i contratti di affitto di ramo di azienda, occorre distinguere, da un lato, le spese per il sostenimento dei costi per il mantenimento dell’e fficienza dell’intera organizzazione e degli impianti comuni, necessari al funzionamento dell’ intera struttura dei centri commerciali, a carico del concedente per deroga convenzionale e, dall’altro lato, i costi di manutenzione ordinaria, di personalizzazione e di gestione quotidiana e periodica delle spese comuni, quali costi relativi ai servizi di pulizia, di vigilanza, antincendio, servizio neve, ecc., a carico degli affittuari, costi
quest’ultimi che non possono definirsi, come ritiene l’Ufficio, attinenti alla conservazione dell’efficienza dell’organizzazione dei beni, oggetto del contratto di affitto, trattandosi di cosiddette ” spese interne”.
3.2. In altri termini, i giudici di appello non hanno ritenuto contraddittoria la clausola, contenuta all’art. 4 dei contratti di affitto di azienda, che esonera gli affittuari dalle spese dirette a contrastare il deperimento del ramo di azienda e a ripristinare le funzionalità originarie, i cui costi sono a carico della Società concedente e giustificano l’ammortamento, e la clausola contrattuale di cui all’art. 12, che pone a carico degli affittuari le spese di riparazione e manutenzione relative al ramo di azienda, spese correttamente rifatturate agli affittuari perché spese di ordinaria o, in alcuni casi, anche straordinaria, manutenzione per riparazione e conservazione di parti comuni.
3.3. La CTR ha dato rilievo prevalente alla clausola che derogava espressamente al disposto dell’art. 2561 cod. civ. (art. 4), prevedendo che «Le parti riconoscono che il canone di affitto è stato determinato tenendo conto del valore di ammortamento a nuovo ei beni componenti il ramo di azienda concesso in affitto e perciò convengono che in deroga gli artt. 2561 e 2562 C.C. l’affittuaria resti esonerata dalla responsabilità per il loro deperimento e degrado d’uso, facenti carico alla concede, alla quale competono ai fini fiscali i relativi ammortamenti (…) fatte eccezioni per i beni di proprietà dell’affittuaria utilizzati nell’esercizio del ramo di azienda e per i costi delle opere da questa realizzate nel ramo d’azienda, che saranno deducibili nella determinazione del reddito dell’affittuaria», nonché al comportamento delle parti successivo alla stipulazione del contratto. Ha, poi, escluso che le altre clausole (e segnatamente l’art. 12) fossero in contrasto con la clausola in oggetto, avendo ritenuto trattarsi di pattuizioni che ponevano a carico degli affittuari costi di manutenzione ordinaria, di personalizzazione e di gestione
quotidiana e periodica delle spese comuni, estranei alle ‘ spese di conservazione dell’efficienza dell’organizzazione della struttura e degli impianti ‘.
Le argomentazioni ostese nella sentenza impugnata risultano, pertanto, pienamente in linea con i principi predicati da questa Corte. 5. Tanto osservato, gli ulteriori profili di censura risultano inammissibili laddove la ricorrente, pur non prospettando censure attinenti alla violazione, da parte della CTR, delle regole di interpretazione del contratto dettate dall’art. 1362 c.c., pare asserire che la comune intenzione delle parti, diversamente e in contrasto con quanto espressamente previsto nella clausola valorizzata dal giudice di appello, sia stata quella di non derogare al disposto dell’art. 2561 c.c.
5.1. La censura è, comunque, infondata anche sotto tale profilo, in quanto l’Amministrazione ricorrente non evidenzia in quali termini l’interpretazione letterale, fondata sulla clausola valorizzata dal giudice di appello, la quale ha valore generalmente preminente nell’interpretazione del contratto (Cass., Sez. U., 25/07/2019, n. 20181, Cass. 12/07/2010, n. 16298) risulti incoerente con il complessivo contenuto del contratto e con il comportamento tenuto dalle parti, circostanza in forza della quale la ricostruzione della comune intenzione delle parti può essere operata derogando all’interpretazione letterale delle clausole (Cass. 26/07/2019, n. 20294, Cass. 28/06/2017, n. 16181, Cass. 01/12/2015, n. 24421, Cass. 9/12/ 2014, n. 25840).
Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato, la società contribuente denuncia, in relazione agli artt. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 57 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, lamentando che la CTR abbia erroneamente ritenuto l’appello dell’Ufficio ammissibile nonostante quest’ultimo abbia modificato la motivazione del rilievo formulato nell’accertamento originario in corso di causa, in contrasto con gli
artt. 42 D.P.R. 600/73 e 7 della L. 212/2000, che impongono la cristallizzazione della motivazione degli atti impositivi.
6.1. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si denuncia, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 4 c.p.c. la «Nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato di cui all’art. 112 c.p.c. consistente in omessa pronunzia». Deduce la società contribuente che la CTR avrebbe omesso di statuire sull’eccezione formulata dalla società riguardante la nullità dell’avviso per mancata valutazione delle osservazioni al PVC, in violazione dell’art. 12, comma 7, L. 212/2000.
6.2. Con il terzo motivo di ricorso incidentale la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 ,comma 1, n. 4 c.p.c. la Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. n. 4 e dell’art. 36 Dlgs. n. 546/92 in coerenza con l’art. 111 Costituzione -omessa motivazione». La società chiede, in via subordinata che, qualora la Corte dovesse ravvisare un implicito rigetto del l’appello incidentale, riscontri comunque il vizio di omessa motivazione.
6.3. Il ricorso incidentale risulta assorbito in conseguenza del rigetto del ricorso principale.
In conclusione, assorbito il ricorso incidentale, il ricorso principale deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio n. 115, art. 13 comma 1-quater (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale.
Condanna la ricorrente Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 18/06/2025.