Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18026 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18026 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
Oggetto: TFM – Deducibilità – art. 105 t.u.i.r. – Condizioni – Limite quantitativo previsto dall’art. 2120 cod. civ. – Esclusione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19965/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , e RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentate e difese, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, da ll’ Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliate presso lo studio di quest’ultima in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
–
contro
ricorrente
–
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 1829/02/2018, depositata in data 22 novembre 2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
All’esito di verifica fiscale la Guardia di finanza redigeva, in data 10 novembre 2014, verbale di constatazione nei confronti delle società RAGIONE_SOCIALE, in qualità di consolidante, e RAGIONE_SOCIALE in qualità di consolidata, relativamente agli anni di imposta 2011-2012-2013.
Sulla base di tale PVC l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Torino -notificava alle dette società tre avvisi di accertamento (nn. T7G030200151/2015, T7G030200154/2015 e T7G0E0204227/2015) con cui ne rideterminava il reddito, ai fini IRES, contestando l’indebita deduzione degli accantonamenti di trattamento di fine mandato (TFM) degli amministratori, in quanto esposti in misura superiore ai limiti previsti dagli artt. 50, comma 1 lett. c-bis), 105, comma 4 del d.P.R. 917/1986 e 2120 cod. civ..
Le società proponevano separati ricorsi innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino, la quale, riunite le impugnazioni, le rigettava, ritenendo corretto l’operato dell’Ufficio.
Interposto gravame dalle contribuenti, la Commissione tributaria regionale del Piemonte rigettava l’appello . In particolare, riteneva la sentenza impugnata immune da censure atteso che il compenso erogato ai fini del TFM risulta analogo al TFR, per il tramite del rinvio, ad opera del comma 4 dell’art. 105 t.u.i.r., al comma 1 del medesimo articolo, per cui valgono le medesime limitazioni fissate per il TFR, come disposte dall’art. 2120 cod. civ..
Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale hanno proposto ricorso per cassazione le società contribuenti, affidato ad un unico motivo. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 20/06/2025. Le ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380bis1 cod. proc. civ..
Considerato che:
1. Con l’unico strumento di impugnazione le contribuenti denunciano la «violazione degli artt. 105 e 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, violazione dell’art. 2389 c.c., falsa applicazione dell’art. 2120 del codice civile, in relazione all’art. 360, n. 3) c.p.c.»; sostengono che i giudici di appello, nel confermare la sentenza di primo grado, avevano espressamente legittimato l’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 2120 cod. civ., come richiamato dall’art. 105, comma 1, t.u.i.r., affermando la ded ucibilità dal reddito della società dell’accantonamento ai fini del trattamento di fine rapporto per una quota pari all’importo della retribuzione per l’anno stesso diviso per 13,5, anche se la diversa fattispecie dell’accantonamento al fondo TFM non risul ta disciplinata da alcuna norma del codice civile. Nella specie, il limite di deducibilità (quota maturata nell’esercizio) andava, invece, individuato in conformità all’art. 2389 cod. civ., ovvero sulla base della volontà delle parti , risultante da atto di data certa anteriore o contestuale all’inizio del rapporto.
Pertanto, avendo la società deliberato, nell’ an e nel quantum , contestualmente alla nomina, le somme destinate al TFM per il Presidente del Consiglio di Amministrazione, era legittimata a portarle in deduzione dal proprio reddito imponibile in base al principio di competenza.
2. Il motivo è fondato.
Questa Corte ha già escluso (anche recentemente, Cass. 10/02/2025, n. 3382; conf. Cass. 07/06/2024, n. 15966) che, in mancanza di una norma che obblighi le società a provvedere all’ammortamento delle quote del trattamento di fine mandato degli amministratori nelle forme previste per i lavoratori dipendenti, possa applicarsi l’art. 2120 cod. civ., dettato per questi ultimi (Cass. 29/08/2022, n. 25435; Cass. 06/11/2020, n. 24848). Si è precisato che tale assunto è in linea con l’ulteriore principio affermato in tema di redditi di impresa, in base al quale, in ragione del combinato
disposto degli artt. 17, comma 1, lett. c), e 105 t.u.i.r., possono essere dedotte in ciascun esercizio, secondo il principio di competenza, le quote accantonate per il trattamento di fine mandato, previsto in favore degli amministratori delle società, purché la previsione di detto trattamento risulti da un atto scritto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto, che ne specifichi anche l’importo: in mancanza di tali presupposti trova applicazione il principio di cassa, come disposto dall’art. 95, comma 5, t.u.i.r. che stabilisce la deducibilità dei compensi spettanti agli amministratori delle società nell’esercizio nel quale sono corrisposti (Cass. 10/07/2023, n. 19445, Cass. 19/10/2018, n. 26431).
La sentenza impugnata, nel ritenere applicabile agli accantonamenti le medesime limitazioni previste per il lavoro subordinato, di cui all’art. 2120 cod. civ., non si è attenuta a questi principi.
In definitiva il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto (in particolare, avendo lo stesso Ufficio dedotto negli avvisi di accertamento l’ an della deducibilità dell’accantonamento ), la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 cod. proc. civ., con l’accoglimento dell’originario ricorso del le contribuenti, e l’annullamento de gli avvisi di accertamento impugnati.
Si compensano le spese dei gradi di merito stante la peculiarità delle questioni trattate.
Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso delle contribuenti. Compensa tra le parti le spese di lite dei gradi di merito, e condanna l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , al pagamento, in favore delle società ricorrenti, in solido, delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.050,00,
oltre esborsi liquidati in Euro 200,00, oltre rimb. spese forf. nella misura del 15% dei compensi, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 giugno 2025.