Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3388 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3388 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
TFM – Deducibilità – Art. 105 t.u.i.r. – Condizioni – Limite quantitativo previsto dall’art. 2120 cod. civ. – Esclusione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20050/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , e RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentate e difese, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, da ll’ Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliate in Roma presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
–
contro
ricorrente
–
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 217/23/2017, depositata in data 16 gennaio 2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
All’esito di verifica fiscale la Guardia di finanza redigeva, in data 17 dicembre 2012, verbale di constatazione nei confronti delle società RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, in qualità di consolidante, e RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE in qualità di consolidata, relativamente al periodo di imposta 2009.
Sulla base di tale p.v.c. l’Agenzia delle Entrate Direzione Regionale di Napoli -notificava alle dette società l’avviso di accertamento n. TEB0ET100044/2013, con il quale rideterminava il reddito della Pilato s.p.a., ai fini IRES, contestando l’indebita deduzione degli accantonamenti di trattamento di fine mandato (TFM) degli amministratori, in quanto esposti in misura superiore al limite consentito.
Le società proponevano ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, la quale rigettava il ricorso, ritenendo corretto l’operato dell’Ufficio.
Interposto gravame dalle contribuenti, la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava il gravame. In particolare, riteneva la sentenza impugnata immune da censure atteso che il compenso erogato ai fini del TFM risulta analogo al TFR, pel tramite del rinvio, ad opera del comma 4 dell’art. 105 t.u.i.r., al comma 1 del medesimo articolo, per cui valgono le medesime limitazioni fissate per il TFR, come disposte dall’art. 2120 cod. civ..
Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale hanno proposto ricorso per cassazione le società contribuenti, affidato ad un unico motivo. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 21/01/2025. Considerato che:
Con l’unico strumento di impugnazione le contribuenti denunciano, in relazione, all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la « violazione dell’art. 105 TUIR in relazione all’art. 12 preleggi ed agli articoli 2120 e 2389 c.c.». Sostengono che i giudici di appello, nel confermare la sentenza di primo grado, avevano espressamente
legittimato l’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 2120 cod. civ., come richiamato dall’art. 105, comma 1, t.u.i.r., affermando la deducibilità dal reddito della società dell’accantonamento ai fini del trattamento di fine rapporto per una quota pari all’importo della retribuzione per l’anno stesso diviso per 13,5, anche s e la diversa fattispecie dell’accantonamento al fondo TFM non risulta disciplinata da alcuna norma del codice civile. Nella specie, il limite di deducibilità (quota maturata nell’esercizio) andava, invece, individuato in conformità all’art. 2389 cod. civ., ovvero sulla base della volontà delle parti; dal verbale di assemblea del 28 dicembre 2007, riportato anche nell’avviso di accertamento, risultava quantificata in Euro 166.000,00 annui la quota di accantonamento del TFM degli amministratori.
Va, preliminarmente, rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Ufficio per la novità della questione dell’applicabilità dell’art. 2318 cod. civ., asseritamente proposta per la prima volta nel ricorso per cassazione. Al riguardo è sufficiente rilevare che l’eccezione muove da un presupposto (la deduzione dell’applicabilità dell’art. 2318 cod. civ. per la prima volta nel ricorso per cassazione) insussistente, atteso che in nessuna pagina dedicata al motivo (in realtà, nemmeno nella parte prec edente) vi è l’indicazione di detta norma.
Ciò posto, il motivo è fondato.
Questa Corte ha già escluso (anche recentemente, Cass. 07/06/2024, n. 15966) che, in mancanza di una norma che obblighi le società a provvedere all’ammortamento delle quote del trattamento di fine mandato degli amministratori nelle forme previste per i lav oratori dipendenti, possa applicarsi l’art. 2120 cod. civ., dettato per questi ultimi (Cass. 29/08/2022, n. 25435; Cass. 06/11/2020, n. 24848). Si è precisato che tale assunto è in linea con l’ulteriore principio affermato in tema di redditi di impresa, in base al quale, in ragione del combinato disposto degli artt. 17, comma 1, lett. c), e 105 t.u.i.r., possono essere dedotte in ciascun esercizio,
secondo il principio di competenza, le quote accantonate per il trattamento di fine mandato, previsto in favore degli amministratori delle società, purché la previsione di detto trattamento risulti da un atto scritto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto, che ne specifichi anche l’importo: in mancanza di tali presupposti trova applicazione il principio di cassa, come disposto dall’art. 95, comma 5, t.u.i.r. che stabilisce la deducibilità dei compensi spettanti agli amministratori delle società nell’esercizio nel quale sono corrisposti (Cass. 10/07/2023, n. 19445, Cass. 19/10/2018, n. 26431).
La sentenza impugnata, nel ritenere applicabile agli accantonamenti le medesime limitazioni previste per il lavoro subordinato , di cui all’art. 2120 cod. civ. , non si è attenuta a questi principi.
In definitiva il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto (in particolare, avendo lo stesso Ufficio dedotto nell’avviso di accertamento l’ an della deducibilità dell’accantonamento, stante l’esistenza di un atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto, che ne specifica anche l’importo), la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 cod. proc. civ., con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente, e l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato.
Si compensano le spese dei gradi di merito stante la peculiarità delle questioni trattate.
Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del le contribuenti. Compensa tra le parti le spese di lite dei gradi di merito, e condanna l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , al pagamento, in favore delle società ricorrenti, in solido, delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.400,00,
oltre esborsi liquidati in Euro 200,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% dei compensi, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 gennaio 2025.