Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 96 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 96 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24554/2016 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende -resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. dell’UMBRIA n. 151/2016 depositata il 17/03/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
La contribuente NOME COGNOME impugnò gli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate in relazione agli anni di imposta 2007 e 2008 e finalizzati a recuperare maggiori importi dovuti a titolo di Iva, Irpef e Irap. La contribuente aveva negli anni di riferimento erogato somme in favore del Gruppo Sportivo Dilettantistico Montecastelli, ritenute dall’Agenzia sproporzionate ed eccessive. In sostanza, gli esborsi sostenuti erano ritenuti suscettibili, secondo la prospettazione erariale, di giustificare la deducibilità per importi inferiori. La ricorrente nel ricorso avverso gli atti impositivi addusse la violazione dell’art. 90, co. 8, L. n. 289 del 2002 e l’erroneità delle valutazioni dell’Ufficio sull’antieconomicità delle operazioni in assenza di riscontri documentali. Il ricorso venne accolto dalla CTP di Perugia. La CTR dell’Umbria ha accolto, per converso, l’appello dell’Agenzia. La contribuente affida il proprio ricorso per cassazione a quattro motivi. L’Agenzia resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 90, co. 8, L. n. 289 del 2002, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la CTR negato la presunzione assoluta della natura pubblicitaria delle somme di ammontare annuo non superiore a euro 200.000 erogate alle associazioni sportive dilettantistiche, a titolo di corrispettivo per la loro promozione.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 109, co. 1 e 5, d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., avuto riguardo all’art. 90, co. 8, L n. 289 del 2002.
Con il terzo motivo di ricorso si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 109, co. 1 e 5, d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR),
in combinato disposto con l’art. 39, co. 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., con riguardo all’accertamento presuntivo di maggiori ricavi operato dall’Ufficio e avallato dalla sentenza impugnata, che risulta basato su falsi indizi di comportamento antieconomico del contribuente.
Con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 e 4, c.p.c.
Il primo e il secondo motivo sono suscettibili di trattazione unitaria per intima connessione; sono fondati e vanno accolti, con assorbimento conseguente delle restanti censure.
In proposito, questa Corte ha, più volte, ribadito che « in tema di detrazioni fiscali, le spese di sponsorizzazione di cui all’art. 90, comma 8, della legge n. 289 del 2002, sono assistite da una “presunzione legale assoluta” circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza, a condizione che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale » (Cass., 7 giugno 2017, n. 14232), « senza che rilevino, pertanto, requisiti ulteriori » (Cass., 6 aprile 2017, n. 8981; Cass., 19 gennaio 2018, n. 1420; Cass., 30 maggio 2018, n. 13508; Cass., 6 maggio 2020, n. 8540).
Ancora questa Corte ha affermato, pure di recente, che il citato art. 90, co. 8, costituisce norma speciale, destinata a derogare anche al regime generale di deducibilità dei costi previsto dall’art. 109 del T.U.I.R., trattandosi di disposizione che detta peculiari condizioni di deducibilità delle spese di pubblicità che rispondono alle specifiche esigenze del settore di riferimento, ossia delle compagini sportive dilettantistiche; la norma intende perseguire finalità diverse che, con tutta evidenza, possono essere rintracciate nella voluntas legis
di approntare un regime agevolativo per quei soggetti che decidono di investire nello sport amatoriale e di favorire – tramite la leva fiscale -la diffusione di questo genere di attività giudicate socialmente utili e degne di protezione, stante anche la rilevanza costituzionale dello sport (cfr. Cass., 27 luglio 2021, n. 21452, in motivazione).
Il legislatore ha, dunque, stabilito una presunzione assoluta di deducibilità del costo, rendendo non sindacabile la scelta dell’imprenditore di promuovere il nome, il marchio o l’immagine attraverso iniziative pubblicitarie nel settore sportivo dilettantistico; non si può, quindi, negare lo scomputo dei costi di sponsorizzazione sulla base di una asserita assenza di una diretta aspettativa di ritorno commerciale, atteso che una tale soluzione non si porrebbe neppure in linea con la stessa nozione di inerenza, come delineatasi nel tempo, che è di natura qualitativa e non quantitativa (Cass., 20 dicembre 2018, n. 33030; Cass., 16 dicembre 2019, n. 33120; Cass., 4 marzo 2020, n. 6017) e non è, dunque, più basata sulla necessaria riconducibilità dell’onere alla percezione di ricavi da parte dell’impresa che sostiene il costo; neppure è consentita la contestazione della incongruità o dell’antieconomicità del costo, dal momento che nel campo delle sponsorizzazioni è improponibile, se non impossibile, individuare l’ammontare « congruo » di una sponsorizzazione, poiché queste spese, di solito, sono sostenute nella prospettiva di aumentare i ricavi, senza la ben che minima garanzia che tale obiettivo possa essere davvero conseguito (cfr. Cass., 27 luglio 2021, n. 21452, citata).
In conclusione, dunque, il peculiare regime approntato dall’art. 90, comma 8, citato, come evidenziato dalle recenti pronunce di questa Corte, in forza della sua natura agevolativa, fissa una presunzione assoluta di inerenza e congruità delle sponsorizzazioni rese a favore di imprese sportive dilettantistiche laddove risultino
soddisfatti i requisiti sopra indicati, ossia che i corrispettivi erogati siano destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante e sia riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima (Cass., 19 gennaio 2018, n. 1420; Cass., 6 maggio 2019, n. 11797; Cass., 15 gennaio 2020, n. 8540), e consente, di conseguenza, di ritenere integralmente deducibili tali spese dal soggetto sponsor (cfr. Cass., 27 luglio 2021, n. 21452).
Ciò posto, nella fattispecie in esame, la CTR non contesta l’effettiva corresponsione delle somme da parte della società contribuente e la specifica attività del beneficiario della stessa; piuttosto rimarca in punto di fatto, che la spesa pubblicitaria in esame difettava di inerenza ed era antieconomica e si addentra in un sindacato delle scelte economiche dell’imprenditore, al fine di negare l’inerenza dei costi di sponsorizzazione manifestamente sproporzionati rispetto all’utilità ritraibile dalla pubblicità.
La Commissione tributaria regionale, dunque, in distonia coi principi sopra richiamati, ha escluso ricorressero, nella specie, le condizioni richieste per l’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 90, comma 8, della legge n. 289/2002 e si è peritata di svolgere una valutazione supplementare circa l’inerenza e congruità dei costi, in verità preclusa dalla praesumptio legis riassunta.
Per quanto esposto, il ricorso va accolto. La sentenza va cassata e la causa rinviata alla Corte di Giustizia Tributaria Regionale dell’Umbria, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie i primi due motivi di ricorso; dichiara assorbite le altre censure; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa, per un
nuovo esame e per la regolazione del giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria Regionale dell’Umbria.
Così deciso in Roma, il 06/11/2024.