Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7667 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7667 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24747/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 6852/2019 depositata il 11/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
A seguito di PVC redatto il 16.11.2012 a conclusione di verifiche svolte dalla GdF, l’Agenzia notificava un avviso di accertamento per il recupero a tassazione di maggiori redditi derivanti da spese ritenute non deducibili per l’anno d’imposta 2011.
La contribuente proponeva ricorso che veniva respinto dalla CTP di Roma, con la sentenza n. 24518/2017 la quale osservava che le spese di rappresentanza dovevano essere effettivamente sostenute e documentate, anche per le erogazioni a titolo gratuito, non essendo sufficiente la loro semplice contabilizzazione posto che -nella specie -venivano in considerazione buoni carburante, succedanei del denaro liquido, per cui occorreva adottare un adeguato sistema di tracciabilità; la sentenza rilevava altresì che, come accertato dai verbalizzanti, i buoni erano promiscuamente utilizzati con quelli posti in vendita e che anche per gli altri beni la società non fosse stata in grado di dimostrare la loro inerenza.
Il successivo appello del contribuente è stato ugualmente respinto dalla CTR del Lazio, con la sentenza n. 6852/2019, oggetto del presente ricorso, la quale ha ribadito l’assenza di prova circa l’effettiva dimostrazione delle spese e della loro inerenza, non essendo sufficiente una mera contabilizzazione delle stesse, tenuto altresì conto della specificità dei buoni carburante che, in assenza di tracciabilità, possono confondersi con scopi diversi da quelli promozionali; in fatto, la sentenza ha altresì rilevato che i buoni carburante non errano direttamente riconducibili all’appellante essendo stati emessi da società petrolifere come ENI e RAGIONE_SOCIALE, ciò rafforzando l’esigenza di meccanismi di tracciabilità al fine di distinguerli da beni che possono essere oggetto di ordinaria
compravendita. Anche per gli altri beni la sentenza di secondo grado ha messo in evidenza l’assenza di rendicontazione da parte della società, come pure la loro estraneità alle pratiche del settore di attività dell’impresa appellante.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente sulla scorta di quattro distinti motivi.
Resiste l’ufficio con controricorso con il quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso avversario e, comunque, la sua infondatezza.
E’stata, quindi, fissata udienza camerale per il 21.01.2025.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della C.T.R. del Lazio -Roma, n. 6852/2019 si fonda sui seguenti motivi, così sintetizzati:
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1, n. 4 c.p.c.
violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per non aver tenuto conto di circostanze pacifiche e, in particolare, che le spese di rappresentanza rispettano il plafond previsto ex lege in relazione al volume d’affari della ricorrente;
violazione o falsa applicazione dell’art. 108 co. 2 TUIR mod. art. 1 co. 33 lett. p) l. 24/12/2007, n. 244 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., avendo errato il giudice del merito nell’applicare i requisiti di inerenza e congruità;
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c. (volume d’affari della società e valore unitario di ciascun buono carburante).
Il primo mezzo di impugnazione è infondato.
Il motivo di impugnazione non si confronta con la decisione di merito contestata, la quale, sia pure in modo succinto, ha espressamente preso in esame la doglianza relativa al preteso errore commesso dall’ufficio nella rideterminazione della base imponibile una volta recuperati a tassazione gli importi relative alle spese di rappresentanza ritenute indeducibili, rilevando che l’atto impositivo ‘al di là di errori materiali commessi nella indicazione del totale complessivo del recupero a tassazione’ evidenziava distintamente la somma di Euro 104.571,44 relativa ai buoni carburante e di Euro 6.066,75 quali spese per oggetti di valore.
Non vi è, pertanto, alcuna omissione di pronuncia denunciabile ai sensi dell’art. 112 c.p.c., risultando la formulazione della relativa motivazione sufficiente a configurarsi quale decisione sul punto controverso e, comunque, quale rigetto implicito delle ulteriori argomentazioni contrarie mosse dall’appellante, secondo il noto principio per cui non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (cfr., ex multiis, Sez. 5, ord. n. 29191 del 06/12/2017; Sez. 2, ord. n. 20718 del 13/08/2018; cfr. altresì Sez. 2, sent. n. 20311 del 04/10/2011, secondo cui ‘ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logicogiuridica della pronuncia’).
Peraltro, occorre aggiungere, la qualificazione della discrasia denunciata nella determinazione del reddito imponibile, quale frutto di meri errori materiali ritenuti implicitamente ininfluenti dalla decisione di merito impugnata, non è stata comunque oggetto di autonoma censura.
Anche il secondo motivo di ricorso non si confronta con il contenuto della decisione oggetto della presente impugnazione, risultando più radicalmente inammissibile.
Secondo la ricorrente, infatti, il dato del proprio fatturato, superiore a 100.000.000 euro annui, dovrebbe ritenersi pacifico in quanto ammesso dalla stessa controparte, mentre la sentenza impugnata non avrebbe tratto le debite conseguenze da tale dato che, diversamente, l’avrebbe portata ad accogliere il ricorso della società contribuente.
La sentenza qui impugnata non contiene, per il vero, alcun accertamento in ordine al fatturato della contribuente ed al relativo plafond che il d.m. 19.11.2008 stabilisce, nel dare attuazione all’art. 108 comma 2 TUIR, con riferimento alla deducibilità delle spese di rappresentanza, né contiene alcuna statuizione relativa alla mancata prova di tali dati contabili, posto che il fulcro della decisione -come già riportato nelle premesse in ordine alla vicenda processuale -attiene alla mancanza di tracciabilità delle spese, alla natura ‘fungibile’ quasi assimilabile al denaro dei buoni carburante e, anche in relazione a tale circostanza, alla mancata individuazione delle attività di rappresentanza cui gli stessi dovrebbero collegarsi, avuto altresì riguardo all’impiego ‘promiscuo’ con buoni benzina ordinari e venduti a clienti che gli accertatori della Gdf avevano verificato. La decisione, quindi, si fonda sulla mancanza di dimostrazione delle stesse spese di rappresentanza, come pure della loro inerenza all’attività di impresa, senza prendere in alcuna considerazione il profilo (adombrato con il presente mezzo di ricorso) del superamento del plafond massimo di deducibilità o
della mancata dimostrazione del fatturato cui collegare le soglie percentuali relative.
Il mezzo, in definitiva, aggredisce una ratio decidendi inespressa dalla decisione impugnata, risultando perciò inammissibile.
4. Il terzo mezzo di impugnazione, pur essendo formulato in termini di violazione di legge, tende, per la verità, a rimettere in discussione la valutazione dei documenti e il giudizio di fatto che il giudice di merito ha condotto per arrivare alla decisione impugnata. A tal riguardo è sufficiente ricordare, sulla scia di un costante indirizzo, la più recente Sez. 2, ord. n. 10927 del 23/04/2024 (Rv. 670888 -01), per la quale ‘deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme’; in precedenza anche Sez. U, sent. n. 34476 del 27/12/2019 (Rv. 656492 -03) ha affermato esplicitamente che ‘È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’. Del resto, con più specifico riferimento alla valutazione probatoria dei documenti operata dal giudice del merito, Sez. 2, ord. n. 20553 del 19/07/2021 (Rv. 661734 01), secondo cui ‘La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si
è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito’.
Giova altresì considerare che l’art. 1 del d.m. 19.11.2008, attuativo dell’art. 108, comma 2, TUIR, stabilisce che ‘agli effetti dell’applicazione dell’art. 108, comma 2, secondo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica, 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), come modificato dall’art. 1, comma 33, lettera p), della legge 24 dicembre 2007, n. 244, si considerano inerenti, sempreché effettivamente sostenute e documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore. Costituiscono, in particolare, spese di rappresentanza: e) ogni altra spesa per beni e servizi distribuiti o erogati gratuitamente, ivi inclusi i contributi erogati gratuitamente per convegni, seminari e manifestazioni simili il cui sostenimento risponda ai criteri di inerenza indicati nel presente comma’.
La norma non consente la deduzione indiscriminata di qualunque spesa che venga contabilizzata e dichiarata come di rappresentanza, neppure se rientrante nei limiti di proporzione percentuale del fatturato complessivo, ma richiede l’inerenza e, anche per i c.d. ‘omaggi a clienti’ di importo inferiore a 50 euro,
richiede pur sempre la prova a) che i costi sono stati effettivamente sostenuti e documentati; b) che sono stati concretamente impiegati in ‘attività con finalità promozionale o di pubbliche relazioni’.
Il giudizio in fatto operato dal giudice del merito, che ritiene insufficiente la dimostrazione di tali presupposti da parte della contribuente, rientra nell’ambito della menzionata previsione normativa ed appare argomentato con motivazione che supera certamente la soglia minima di costituzionalità. Infatti, la sentenza impugnata, dopo aver escluso che l’art. 108 cit. preveda una sorta di automaticità nel riconoscimento e deduzione delle spese di rappresentanza, ribadisce che le erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi devono essere effettuate per scopi promozionali o di pubbliche relazioni, purché esse siano effettivamente sostenute e documentata, di poi rilevando l’insufficienza di una semplice contabilizzazione, correttamente assegnando la prova della dimostrazione del costo e della relativa inerenza al contribuente. A tal punto, la decisione rileva in fatto che i buoni carburante in esame non erano direttamente riconducibili alla società appellante ma erano emessi da altre società petrolifere quali RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, costituendo beni che potevano essere oggetto di ordinaria compravendita da cui l’esigenza (non ottemperata) di una trasparente tracciabilità; per gli altri oggetto di valore, invece, anche qui in fatto la Commissione regionale ha accertato che gli stessi esulano dalla pratiche commerciali del settore di attività svolto dalla contribuente e che, anche per le relative spese, non è stata fornita dalla società ‘alcuna precisa rendicontazione’.
Pertanto, la pretesa della ricorrente circa una qualche automatica deducibilità dei buoni carburante -visto il loro asserito taglio unitario di Euro 10 -non può trovare accoglimento, posto che il concetto di inerenza, come sopra richiamato, postula ancor prima l’effettivo sostenimento de l costo, la sua documentazione e la sua finalizzazione in attività promozionali o di rappresentanza, aspetti
tutti che secondo il giudice di merito, con accertamento qui insindacabile, non sono stati dimostrati.
Occorre a questo punto prendere in considerazione l’ultimo motivo di impugnazione, svolto in via subordinata rispetto ai precedenti mezzi.
Con questo motivo, infatti, la ricorrente censura sotto il profilo motivazionale ex art. 360 n. 5 c.p.c., l’omessa considerazione di un fatto decisivo per il giudizio che sarebbe stato oggetto di discussione fra le parti e che riguarderebbe, appunto, il carattere ‘pacifico’ del volume d’affari della RAGIONE_SOCIALE, come pure il valore unitario dei buoni carburante.
Anche questo motivo di ricorso è tuttavia infondato. La CTR non ha infatti omesso di considerare tali profili, ma ha espresso una valutazione circa l’insufficienza della prova al riguardo fornita dalla contribuente e relativa all’inidoneità della documentazione prodotta a sostegno dei motivi di appello che, come si è rilevato al par. precedente, non è possibile in questa sede rinnovare o sovvertire, trasformando indebitamente il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito. In modo concorrente il motivo appare comunque svolto in violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c. , in quanto espresso con modalità talmente sintetiche da non individuare i singoli atti e documenti, né estrapolare i singoli passaggi motivazionali censurati da cui risulterebbero, rispettivamente, i fatti ‘decisivi’ e la loro omessa valutazione, limitandosi ad un rinvio generico a quanto già espresso nel motivo precedente (nel quale peraltro tale individuazione è tutt’altro che specifica).
In definitiva, pertanto, il ricorso deve essere respinto con aggravio di spese, liquidate come in dispositivo.
Occorre, infine, dare atto dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se ed in quanto dovuto per legge.
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La Corte,
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, che liquida in euro 4.100#, oltre spese prenotate a debito;
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura prevista per il ricorso, se ed in quanto dovuto per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione