Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 781 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 781 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
Oggetto: Tributi –
Accertamento
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 21634/2017 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1883/14/2017, depositata il 3.05.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
–RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso avverso l ‘avviso di accertamento, per imposte diretta e IVA, in relazione all’anno 2009,
emesso a seguito di indebite rettifiche di ricavi non deducibili ex artt. 85 e 100 del TUIR, riferibili alle note di credito emesse dalla contribuente nei confronti della Bennet s.p.a. con la causale ‘sconto/premio commerciale 2009’, e di costi non deducibili ex art. 100 TUIR, in relazione alle note di debito emesse dalla Bennet s.p.a. con causale ‘sconto/premio incondizionato su fatturato annuo’ ;
la CTP di Milano accoglieva il ricorso, ritenendo che le operazioni intercorse tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE dovevano considerarsi ‘rapporti di interscambio commerciale di normale prassi tra le aziende della distribuzione’;
la CTR della Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, osservando, per quanto qui interessa, che:
per quanto riguarda le indebite rettifiche dei ricavi non deducibili, riferibili alle note di credito, dalla documentazione esibita non si evinceva il criterio con il quale erano stati determinati i servizi promozionali da riconoscere alla Bennet e non erano stati stabiliti gli obiettivi di fatturato che il cliente Bennet doveva raggiungere per ottenere detto riconoscimento;
poiché non era possibile riscontrare i requisiti di certezza e di determinabilità dei servizi promozionali dedotti, gli stessi dovevano essere considerati ex art. 85 TUIR come liberalità non deducibili, in quanto non subordinati ad alcun adempimento o a specifici impegni da parte del cliente;
anche per le note di debito emesse dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della contribuente non era stata prodotta documentazione dalla quale si potesse evincere il criterio con il quale erano stati determinati gli sconti commerciali da riconoscere alla Bennet, non essendo stati stabiliti gli obiettivi di fatturato che la stessa doveva raggiungere per ottenere detto riconoscimento dal fornitore RAGIONE_SOCIALE;
alcuni costi, poi, erano stati correttamente ripresi a tassazione ai fini IRAP, in quanto non rispettavano il principio dell’inerenza al valore della produzione IRAP;
la società contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati con memoria;
-l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 85, 100 e 109 TUIR, 1325 n. 2 cod. civ. e 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e l’omesso e/o insufficiente esame di fatti decisivi per il processo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per non avere la CTR considerato, ai fini della legittima imputazione delle componenti reddituali recuperate a tassazione, che era pacificamente provata l’inerenza degli sconti praticati dalla RAGIONE_SOCIALE al cliente RAGIONE_SOCIALE, avuto riguardo alla prassi largamente diffusa nel settore della grande distribuzione che prevedeva l’applicazione di ‘sconti incondizionati’ sulle forniture di volta in volta ricevute, indipendentemente dal raggiungimento di uno specifico obiettivo di fatturato o di volume di vendita, come previsto dalla risoluzione 36/E dell’Agenzia delle entrate ; che in detta tipologia di sconti rientravano quelli concessi dal fornitore RAGIONE_SOCIALE al cliente COGNOME come si evinceva dalla documentazione versata in atti, fra cui l’accordo quadro per l’anno 2009 , da cui risultava che gli sconti si riferivano a singole forniture ed erano pattuiti al momento della conclusione del singolo contratto di compravendita, gestiti e calcolati dallo stesso cliente COGNOME anche per conto del fornitore, sulla base di un mandato irrevocabile conferito nell’interesse del mandatario , ed eseguiti dopo l’emissione della fattura di vendita da parte del fornitore, non potendosi qualificare, quindi, come atto di liberalità;
con il secondo motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e l’ omesso esame di più fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., avendo la CTR omesso di considerare: le risultanze dei documenti prodotti dalla contribuente, attestanti la ricorrenza delle condizioni per la deducibilità dei costi e dell’IVA sottesi all’emissione delle note di credito, trattandosi di operazioni riconducibili alla concessione di ‘sconti incondizionati’ al cliente Bennet (e non di ‘servizi promozionali da riconoscere a Bennet’); l’esistenza ed applicabilità della clausola di cui all’art. 10.1 dell’accordo quadro sottoscritto per l’anno 2009 tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, recante il conferimento di un mandato irrevocabile per la gestione e la quantificazione di detti sconti; la ‘neutralità fiscale’ delle operazioni sottese all’emissione delle note di credito e/o debito, alla luce delle risultanze del bilancio al 31.12.2009 della Bennet, da cui si evinceva che i costi contestati, sostenuti dalla RAGIONE_SOCIALE avevano contribuito a generare in capo alla RAGIONE_SOCIALE ricavi di pari ammontare, regolarmente sottoposti a tassazione;
aggiunge che la sentenza impugnata non ha dato alcun rilievo sia alla mancata replica da parte dell’Ufficio all’istanza di sospensione, formulata nel ricorso introduttivo, e alle memorie presentate dalla ricorrente nel giudizio di primo grado, sia alla mancata partecipazione dell’Ufficio all e udienze relative alla discussione della predetta istanza di sospensione e alla discussione del merito;
-i predetti motivi, che vanno esaminati unitariamente per connessione, sono inammissibili;
occorre premettere che, in tema di determinazione del reddito di impresa, la possibilità di detrarre abbuoni e sconti riconosciuti alla clientela è subordinata a due condizioni: a) che venga praticato dal
contribuente uno sconto sul prezzo della vendita; b) che la riduzione del corrispettivo al cliente sia frutto di un accordo, sia esso documentale, verbale e finanche successivo, purché trasfuso in note di accredito emesse da una parte a favore dell’altra, con l’allegazione della causale che, volta per volta, abbia giustificato quegli sconti riconosciuti ( ex plurimis, Cass. n. 318 del 2006, n. 4770 del 2009, n. 26513 del 2011, n. 8535 e n. 21182 del 2014, n. 23782 del 2015, n. 2060 del 2016 e S.U. n. n. 10225 del 2017);
-sebbene l’accordo sullo sconto possa perfezionarsi anche verbalmente, in base al principio della libertà delle forme, l’art. 26 del d.P.R. 633/72 richiede poi, ai fini della deducibilità delle note di credito emesse nei confronti di altra società, che l’accordo con il quale viene concordata la riduzione del corrispettivo sia comunque provato dai soggetti interessati, mediante la trasfusione del patto stesso in note di accredito, emesse da una parte a favore dell’altra, con l’allegazione della relativa causale;
la statuizione relativa alla indeducibilità degli sconti praticati dalla contribuente in favore della Bennet, ricondotti alla categoria degli atti di liberalità non deducibili, si fonda sulla valutazione della documentazione versata in atti, ritenuta dalla CTR inidonea a giustificare la riduzione dei prezzi in termini di sconto, in quanto dalla stessa non si evinceva il criterio con il quale erano stati determinati e gli elementi necessari ad appurare i requisiti di certezza e determinabilità di detti oneri;
-pertanto, a prescindere dalla natura degli sconti praticati (condizionati o incondizionati), qualificati dalla CTR come ‘servizi promozionali’ , l’esclusione dei relativi costi è dipesa unicamente dalla loro inadeguata documentazione, spettando al giudice di merito valutare il contenuto degli accordi negoziali fra il contribuente ed i suoi clienti;
i motivi, quindi, mirano , sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge e di omesso esame di un fatto decisivo, ad attingere il giudizio di fatto operato dal giudice di appello con riferimento alla valutazione delle prove, essendo finalizzati, in realtà, a riesaminare il merito della motivazione della sentenza impugnata (Cass. Sez. U. 27.12.2019, n. 34476);
i predetti motivi sono inammissibili, poi, laddove formulati sotto il profilo dell’omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nel testo novellato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134;
con detta novella è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); – si tratta di censura che, tuttavia, impone a chi la denunci di indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato ex
oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” ( multis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
resta fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie ( ex plurimis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
la ricorrente non si è attenuta alle suddette prescrizioni, in quanto non ha trascritto nel ricorso, neppure in modo indiretto, nelle loro parti essenziali, ai fini della percezione della doglianza, gli atti dai quali risulterebbero l’allegazione di tali fatti e la loro discussione, e ha formulato un motivo generico che, come si è già detto, mira ad attingere il giudizio di fatto operato dal giudice di appello con riferimento alla valutazione delle prove;
con il terzo motivo, denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 del d.lgs. n. 446 del 1977, 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e l’omessa considerazione di un fatto decisivo per il giudizio , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la CTR implicitamente riconosciuto la sussistenza di una presunzione di indeducibilità dei costi ai fini IRAP e per non avere rilevato la violazione del contraddittorio preventivo nel corso della verifica in ordine alla prova dell’inerenza di detti costi;
la censura è inammissibile con riferimento al dedotto vizio di omesso esame di un fatto decisivo, per le medesime ragioni già indicate con riferimento ai primi due motivi;
– per il resto è infondata;
contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, non vi è stata alcuna violazione del contraddittorio preventivo con riferimento all’IRAP, in quanto la contribuente, come si evince anche a p. 4 del ricorso, ha potuto presentare le proprie osservazioni dopo la consegna del PVC (a p. 14 del quale è indicato e motivato anche il recupero a tassazione ai fini IRAP) e prima della notificazione dell’avviso di accertamento, non avendo l’Ufficio l’obbligo di contestare specifici rilievi prima della conclusione delle operazioni di verifica fiscale;
per quanto riguarda la fondatezza del recupero a tassazione di alcuni costi dedotti dalla contribuente ai soli fini IRAP (come quelli relativi a manutenzione auto, spese telefoniche, ammortamento automezzo, collegio sindacale, tassa rifiuti, spese vitto e alloggio), per mancanza di inerenza, va rilevato che la contribuente ha precisato di avere determinato la base imponibile IRAP, secondo la previsione di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 446 del 1977, in conformità al cd. principio di derivazione dalle voci rilevanti del conto economico; – sul punto occorre, tuttavia, richiamare il condivisibile principio espresso da questa Corte, secondo il quale, ‘In tema di determinazione della base imponibile dell’IRAP, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 446 del 1997, come modificato dall’art. 1, comma 50, lett. a), della l. n. 244 del 2007 (applicabile “ratione temporis”), la regola della derivazione dei costi sostenuti dal conto economico non esclude il controllo sull’inerenza dei medesimi, ossia la verifica della corretta appostazione degli stessi in detto conto rispetto ai principi civilistici e contabili nazionali’ (Cass. n. 15115 dell’11/06/2018);
-i costi che non attengono all’attività d’impresa, quindi, non possono essere dedotti dalla base imponibile IRAP solo perché sono stati imputati sul piano civilistico al conto economico, ben potendo l’Amministrazione finanziaria contestare la loro inerenza, quando, come nella specie, si tratta di costi dedotti, ai fini IRAP, in misura superiore rispetto alla quota deducibile ai fini IRES, trattandosi di spese in ordine alle quali sono previsti limiti di deducibilità ai fini dell’imposta su l reddito;
la loro deducibilità ai fini IRAP in misura maggiore rispetto al limite stabilito per l’imposta sul reddito è, quindi, subordinata alla prova dell’inerenza, che deve essere fornita dal contribuente e non da ll’Amministrazione finanziaria, come ha erroneamente sostenuto la ricorrente;
– il ricorso va, dunque, rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio, che liquida in € 13.000,00, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 9 novembre 2023