Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8714 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 8714 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4021/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa nel presente giudizio dall’AVV_NOTAIO, con domicilio presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO, come da procura speciale.
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in Roma INDIRIZZO, presso l’Avvocatura AVV_NOTAIO dello Stato, che la rappresenta e difende per legge.
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 4019/2015, depositata il 10 luglio 2015, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il AVV_NOTAIO Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di rigettare il primo ed il quarto motivo e di accogliere il quinto;
udito per l’Avvocatura generale dello Stato l’AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE notificò alla RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2008, con il quale contestava alla contribuente l’indebita deduzione di una minusvalenza dell’importo di € 12.878.830,00, pertanto accertando una maggiore Ires per € 3.272.637,00 e una maggiore Irap di € 534.591,00, ed irrogando le relative sanzioni.
Il rilievo aveva per oggetto la minusvalenza conseguente alla cessione pro soluto , il 31 dicembre 2008, alla RAGIONE_SOCIALE, di crediti della contribuente nei confronti di varie società.
Alla data della cessione, la cedente era già debitrice della cessionaria del valore contabile totale di € 21.328.676,46 . A titolo di pagamento di tale debito, la contribuente aveva trasferito alla cessionaria crediti aventi un valore nominale di € 40.3258.964,37, ma inscritti nella contabilità della cedente al valore di € 34.207.506,23 (derivante dalla somma tra i crediti di cui la stessa RAGIONE_SOCIALE era originariamente titolare e quelli che aveva invece a sua volta acquisito per effetto di una transazione con la RAGIONE_SOCIALE). La differenza tra valore contabile dei crediti ceduti e debito della cedente verso la cessionaria costituiva quindi la minusvalenza portata in deduzione dalla contribuente ex art. 101, comma 1, t.u.i.r.
Secondo l’avviso, l’operazione rientrava nella fattispecie elusiva di cui al l’art. 37bis , primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 e non era perciò opponibile all’Amministrazione finanziaria , in quanto, sebbene formalmente corretta e conforme al primo comma dell’art. 101 t.u.i.r., era piuttosto sostanzialmente riconducibile all’ambito del quinto comma della medesima disposizione, ed integrava una perdita su crediti, priva, quanto alla minor valutazione dei crediti ceduti rispetto al loro valore nominale, dei caratteri della certezza e precisione, necessaria ai fini deducibilità. La perdita era stata quindi tramutata dalla contribuente in una minusvalenza da cessione, integralmente dedotta, ma non deducibil e secondo l’RAGIONE_SOCIALE. A sostegno del carattere elusivo dell’operazione, l’ Ufficio aveva dedotto la tempistica della cessione (perfezionata a fine anno, alla chiusura dell’esercizio sociale ) e l’interrelazione (per legami economici e personali) tra cedente, cessionaria e debitrici cedute, che configurava un sostanziale gruppo economico tra le varie società.
La contribuente ha impugnato l’accertamento e l’adita Commissione tributaria provinciale di Roma ha accolto il ricorso.
Proposto appello dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza di cui all’epigrafe, lo ha accolto.
Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, la contribuente.
L’RAGIONE_SOCIALE ha prodotto controricorso.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, nella persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo di rigettare il primo ed il quarto motivo; di dichiarare inammissibili il secondo ed il terzo; di accogliere il quinto e di cassare la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia, ai sensi dell’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la falsa applicazione dell’art. 101 t.u.i.r., deducendo che il componente negativo di reddito della perdita su crediti derivante da un atto di realizzo, quale la cessione, trova la sua disciplina nell’art. 101, comma 1, t.u.i.r., ed è deducibile a prescindere dalla dimostrazione dei presupposti di certezza e precisione (o dell’assoggettamento del debitore a procedure concorsuali), richiesti piuttosto per la deduzione della perdita da svalutazione del credito, disciplinata dall’art. 101, comma 5, TUIR. La CTR avrebbe pertanto errato in diritto nel ritenere invece che la minusvalenza in questione richiedesse, ai fini della deducibilità contestata, la prova di elementi necessari e precisi della perdita.
1.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte (cfr. in particolare Cass. 03/03/2021, n. 5787, anche nella motivazione, per la puntuale rassegna del panorama giurisprudenziale e di dottrina) ha già espressamente affrontato la questione relativa alla qualificazione della cessione pro soluto di un credito ad un prezzo inferiore al suo effettivo valore, ed in particolare se, all’interno RAGIONE_SOCIALE componenti negative di reddito di cui all’art. 101 t.u.i.r ., si tratti di deducibilità della minusvalenza, derivante da un atto di disposizione, ai sensi del primo comma; oppure di perdita su crediti, ai sensi del quinto comma.
L’ipotesi della cessione del credito pro soluto “a prezzo vile” è stata ricondotta alle perdite su crediti già da Cass. 04/10/2000, n. 13181 (in materia di crediti verso clienti). Successivamente (Cass. 20/11/2001, n. 14568), si è ribadito che la cessione pro soluto di crediti ritenuti inesigibili non comporta di per sé la deducibilità RAGIONE_SOCIALE relative perdite ai fini del reddito, allorché non siano presenti dati di riferimento precisi o procedure
concorsuali in atto, verificandosi solo in quest’ultimo caso un automatismo nella deducibilità RAGIONE_SOCIALE perdite sui crediti, per le garanzie che le procedure concorsuali danno sul piano della certezza dell’insolvibilità e della precisione dell’entità della perdita.
Si è concluso quindi che le perdite su crediti sono deducibili dal reddito imponibile soltanto se risultino da elementi certi e precisi, essendo a carico del contribuente l’onere di allegare e documentare gli elementi di riferimento che hanno dato luogo alla perdita: pertanto, nell’ipotesi in cui l’Amministrazione abbia negato la deducibilità RAGIONE_SOCIALE perdite su crediti acquistati a seguito di cessione, la mera allegazione che quest’ultima ha avuto luogo pro soluto non esonera il contribuente dal documentare, mediante elementi certi e precisi (ad esempio, il prezzo stimato del credito rispetto al suo valore nominale), che la perdita risultante dalla cessione era da intendersi come oggettivamente definitiva, né preclude al giudice di merito l’esercizio del suo potere di apprezzare liberamente la sufficienza di quelle risultanze probatorie (Cass. 10/03/2006, n. 5357; Cass. 26/02/ 2020, n. 5183).
Più recentemente questa Corte ha ripreso il tema, nell’ottica dello squilibrio fra il valore nominale dei crediti ceduti ed il corrispettivo pattuito per la cessione. Si è ribadito, quindi, che anche in caso di cessione pro soluto dei crediti ritenuti inesigibili, le perdite sono deducibili dal reddito imponibile soltanto se risultino da elementi certi e precisi, restando a carico del contribuente l’onere di allegare e documentare gli elementi de quibus , che non possono tautologicamente esaurirsi nella pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore nominale del credito ceduto, ma devono riguardare le ragioni che hanno consigliato l’operazione ed il conseguente recupero solo parziale, dovendosi escludere, al di fuori dell’ipotesi del debitore assoggettato a procedure concorsuali, l’esistenza di qualsiasi automatismo di deducibilità RAGIONE_SOCIALE perdite (Cass., 24 luglio 2014, n. 16823) . È necessario, allora, che le perdite risultino da elementi certi precisi ovvero che il debitore sia stata assoggettata procedure concorsuali, non comportando la cessione pro soluto comunque la deducibilità RAGIONE_SOCIALE perdite, ancorché in assenza di previsione in bilancio di un fondo accantonamento rischi su crediti, la cui esistenza comporta che le perdite sono deducibili soltanto per l’eventuale quota non coperta dall’accantonamento stesso (Cass. 11/12/2000, n. 15563).
Si è quindi evidenziato ( Cass. 03/03/2021, n. 5787, cit., in motivazione) che il corrispettivo pattuito per la cessione di un credito non ha in sé alcun rilievo ai fini dell’accertamento dell’esistenza di elementi “certi” e “precisi”, di cui all’art. 101, comma 5, t.u.i.r ., in quanto è necessario che si dimostri che tale cessione corrisponda ad una
effettiva riduzione di valore reale del credito stesso, che non può essere giustificata se non con una riduzione della garanzia patrimoniale generale offerta dalla società debitrice in misura tale da rendere impossibile la realizzazione completa del credito in questione (Cass. 06/101/2011, n. 20450).
Pertanto, fatto salvo il caso dell’ assoggettamento del debitore a procedure concorsuali, in tutti gli altri casi è richiesta la prova dell’esistenza di elementi certi e precisi per la deducibilità RAGIONE_SOCIALE perdite su crediti. Il che significa che, ai sensi dell’articolo 101, comma 5, t.u.i.r ., con riferimento alle ipotesi di perdite su crediti determinate da cessioni pro soluto , gli elementi di certezza e precisione non riguardano solo la perdita emergente dalla cessione in sé considerata, ma anche gli elementi che, a monte, hanno indotto alla cessione medesima, come dimostrato anche dalla valenza presuntiva attribuita nell’ambito della medesima norma all’assoggettamento del debitore a procedura concorsuale (Cass. 03/03/2021, n. 5787, cit., in motivazione; Cass. 20/11/2001, n. 14568, cit.; Cass. 11/12/2000, n. 15563, cit.).
Tanto premesso, deve aggiungersi che comunque, come questa Corte ha avuto modo già di rilevare (Cass. 03/03/2021, n. 5787, cit., in motivazione), per entrambe le componenti negative di reddito ( siano esse minusvalenze o perdite su crediti ai sensi dell’art. 101 t.u.i.r.) resta pur sempre necessaria la sussistenza del requisito fondamentale della “inerenza”, ex art. 109, comma 5, t.u.i.r. (Cass. 14/01/2015, n. 447; Cass. 08/04/2019, n. 9784).
Sicché «entrambi gli orientamenti, sia quello che utilizza la categoria RAGIONE_SOCIALE “minusvalenze patrimoniali”, sia quello che ricorre alla categoria RAGIONE_SOCIALE “perdite su crediti”, convergono poi sulla piena rilevanza del differenziale negativo da cessione pro soluto nel calcolo del reddito dell’impresa cedente. Occorre, quindi, poi, valutare, in entrambe le ipotesi, l’inerenza della componente negativa del reddito all’attività imprenditoriale. Pertanto, sia che la cessione del credito pro soluto sia ricondotta alle minusvalenze patrimoniali di cui all’articolo 101, comma uno, Tuir, sia se incasellato invece tra le perdite di cui all’articolo 101, comma cinque, Tuir, il differenziale negativo deve confrontarsi con l’ordinario giudizio di inerenza. In tal caso, si sottolinea che l’incongruenza di un onere sulla base del parametro medio dell’imprenditore può costituire un forte indicatore della non inerenza della componente negativa e del suo carattere erogatorio, anziché produttivo. Pertanto, la società che ha effettuato la cessione di credito pro soluto deve essere in grado di rappresentare le ragioni di convenienza economica che hanno determinato l’accettazione di un corrispettivo molto
inferiore al valore nominale dei crediti ceduti.» (Cass. 03/03/2021, n. 5787, cit., in motivazione; nello stesso senso Cass. 25/01/2022, n. 2229, in motivazione; Cass. 03/03/2021, n. 5790; Cass. 22/06/2018, n. 16539). Senza, peraltro, che in tal caso, il sindacato del giudice coinvolga le scelte di merito dell’imprenditore, attenendo piuttosto alla verifica del corretto adempimento degli obblighi degli amministratori e dei sindaci, con riduzione dell’operatività della ” business judgement rule “, sempre valutabile, sotto il profilo tributario, per condotte in ipotesi platealmente antieconomiche (cfr. Cass. 23/11/2021,n. 36365).
1.2. Deve poi considerarsi che, nel caso di specie, è stata contestata, ed accertata dalla sentenza impugnata, pure la fattispecie antielusiva di cui all’art. 37bis del d.lgs. n. 600 del 1973, che prevede l’ inopponibilità all’amministrazione finanziaria di atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. A norma del comma 3, lett. d) del medesimo art. 37bis , la fattispecie elusiva può essere realizzata proprio utilizzando le cessioni di crediti. E la stessa relazione illustrativa alla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (sulla quale infra ), che ha modificato in parte il comma 5 dell’ art. 101 t.u.i.r., ha espressamente confermato che resta fermo « il potere dell’Amministrazione finanziaria di applicare l’art. 37bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (oggi 10bis dello Statuto dei diritti dei contribuenti) e di sindacare l’inerenza di tali perdite laddove derivanti da un’operazione antieconomica che dissimuli un atto di liberalità».
1.3. In conclusione, quindi, non può condividersi la tesi in diritto della ricorrente secondo cui non sarebbe ipotizzabile nessun interesse fiscale della contribuente a trasformare ( così come ritenuto dall’accertamento e dalla sentenza impugnata), una perdita su crediti indeducibile in una minusvalenza deducibile, poiché, a detta della contribuente, la perdita derivante dalla cessione di credito pro soluto , essendo per definizione ‘certa’ e ‘precisa’, sarebbe stata comunque sempre deducibile, a prescindere dalla dimostrazione RAGIONE_SOCIALE sue caratteristiche di certezza e precisione. Viceversa, per le ragioni sinora illustrate, la certezza e la precisione (e, nel senso argomentato, l’inerenza) del componente negativo in questione costituivano presupposti necessari della sua deducibilità. E del resto, una volta che sia stata accertata la mancanza del requisito della sussistenza di ‘elementi certi e precisi’ che giustifichino la cessione del credito a prezzo svalutato, la perdita su credito diviene comunque di per sé indeducibile, a norma dell’art.101, comma 5, t.u.i.r., anche a
prescindere dalla condotta elusiva individuata nel travaso della perdita su crediti nella minusvalenza ed accertata dalla sentenza impugnata.
1.4. Deve quindi ritenersi che la CTR, nell’attribuire alla contribuente l’onere di provare la certezza e la precisione della perdita de qua , non è incorsa nell’errore attribuitole dal primo motivo di ricorso, poiché la soluzione in diritto della controversia, quanto al primo motivo, è conforme ai criteri sinora richiamati, sintetizzabili nel principio secondo cui « Ai sensi dell’art. 101, comma 5, t.u.i.r. applicabile ratione temporis, la cessione pro soluto di un credito ritenuto inesigibile produce una perdita deducibile dal reddito imponibile soltanto ove il contribuente alleghi e documenti elementi certi e precisi, che non si esauriscano nella pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore nominale del credito ceduto e nella perdita emergente dalla cessione in sé considerata, ma comprendano anche gli elementi che hanno indotto all’operazione ed al conseguente recupero solo parziale del valore nominale del credito. Peraltro, un ingiustificato rilevante differenziale tra il corrispettivo della cessione ed il valore nominale del credito ceduto, che denoti la plateale antieconomicità dell’operazione, può costituire un indicatore del carattere erogatorio, anziché produttivo della stessa, e perciò della non inerenza del componente negativo»
1.5. Giova peraltro precisare che le considerazioni che precedono attengono al testo dell’art. 101, comma 5, t.u.i.r. applicabile ratione temporis , in relazione al periodo d’imposta (2008) sub iudice . Esse, pertanto, prescindono dalle modifiche introdotte dall’art. 33, comma 5, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, come convertito, con modifiche in parte qua , dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, in vigore dal 12 agosto 2012 ed applicabile ai periodi d’imposta successivi a tale data, per quanto in particolare attiene alla previsione secondo cui «Gli elementi certi e precisi sussistono in ogni caso quando il credito sia di modesta entità e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito stesso. Il credito si considera di modesta entità quando ammonta ad un importo non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione di cui all’articolo 27, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e non superiore a 2.500 euro per le altre imprese. Gli elementi certi e precisi sussistono inoltre quando il diritto alla riscossione del credito e’ prescritto. Per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, gli elementi certi e precisi sussistono inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in dipendenza di eventi estintivi.». Fermo restando, peraltro, che nel caso di specie non è stato comunque dedotto che ricorresse l’ipotesi del credito di modesta entità o della redazione del bilancio in base ai principi contabili internazionali.
1.6. Egualmente, le argomentazioni già esposte prescindono anche dalla modifica dell’ultimo comma dell’art. 101, comma 5, t.u.i.r.., effettuata dall’art. 1, comma 160, lett. b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, secondo cui «Gli elementi certi e precisi sussistono inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili» ( non più solo internazionali), applicabili, a norma del successivo comma 161, dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013.
1.7. Nel caso di specie si prescinde anche dalla modifica (in materia di procedure concorsuali e similari) del comma 5 dell’art. 101 t.u.i.r., introdotta dall’art. 13, comma 1, lett. c), d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147; nonché dal comma 5bis dell’art. 101 t.u.i.r., aggiunto dall’art. 13, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 147 del 2015, giacché, a norma del successivo comma 2 dello stesso art.13, entrambe le novelle si applicano a decorrere dal periodo di imposta (2015) in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto. n. 147.
1.8. Infine, non riguarda il caso di specie la norma interpretativa di cui al comma 3 dell’art. 13, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 147 del 2015, secondo cui « L’articolo 101, comma 5, del testo unico RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 si interpreta nel senso che le svalutazioni contabili dei crediti di modesta entità e di quelli vantati nei confronti di debitori che siano assoggettati a procedure concorsuali o a procedure estere equivalenti ovvero abbiano concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato di risanamento, deducibili a decorrere dai periodi di imposta in cui sussistono elementi certi e precisi ovvero il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale ed eventualmente non dedotte in tali periodi, sono deducibili nell’esercizio in cui si provvede alla cancellazione del credito dal bilancio in applicazione dei principi contabili.», giacché non risulta dedotta la ricorrenza della fattispecie RAGIONE_SOCIALE svalutazioni contabili dei crediti di modesta entità e di quelli vantati nei confronti di debitori che siano assoggettati a procedure concorsuali o a procedure estere equivalenti ovvero abbiano concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o un piano attestato di risanamento.
2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art.360, primo comma, n.5, cod. proc. civ., l’omesso esame di fatti, rappresentati dalla circostanza che la contribuente fosse in liquidazione al momento della cessione dei crediti; avesse a sua volta una rilevante esposizione debitoria verso la cessionaria; non potesse accedere al sistema bancario per finanziarsi; e la cessione costituisse lo strumento per migliorare la situazione economico-finanziaria della cedente.
Il motivo è inammissibile.
Invero deve rilevarsi che la c.d. strumentalità della cessione ai fini della soluzione della assunta difficoltà economico-finanziaria della contribuente non è un ‘fatto’, in senso storico-naturalistico, ai fini della censura di cui all’art. 360, primo comma, n.5, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis , ma una valutazione di merito. Nella sostanza, il mezzo denuncia errori di giustificazione della decisione sul fatto, con riferimento al rapporto tra motivazione della sentenza d’appello e dati processuali. Sotto tale profilo, dunque, la censura di non aver preso in esame tutti i singoli elementi risultanti in atti, costituisce una censura del merito della decisione, in quanto tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione del quadro indiziario, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri. Il che esula dai poteri del giudice di legittimità (cfr. Cass. 21/01/2015, n. 961, in motivazione, § 8.1 s.s.).
Inoltre, deve considerarsi che, nel contesto del mezzo, i dati dei quali si censura l’omesso esame sono solo genericamente esposti ed invocati a sostegno e giustificazione dell’ an della cessione dei crediti, senza metterne in evidenza la concreta possibile rilevanza decisiva rispetto al corrispettivo della cessione, che costituisce l’elemento che, rispetto al valore nominale dei crediti ceduti, determina la perdita contestata. Ma la circostanza che tale corrispettivo, sotto il profilo economico-funzionale, sia costituito dall’estinzione parallela di una determinata posizione debitoria della cedente nei confronti della cessionaria non esime, di per sé sola, dalla più volte affermata necessità di dimostrare i caratteri di certezza e precisione anche con riferimento alle ragioni economiche dell’accettazione di un corrispettivo molto inferiore al valore nominale dei crediti ceduti. Rispetto a tale necessità, ed alla relativa concreta decisività dei fatti dei quali sarebbe stato omesso l’esame, il secondo motivo di ricorso appare generico. Invero, la censura, nel suo complesso, appare piuttosto finalizzata a rimettere in discussione le valutazioni in fatto del giudice del merito, ciò che non è ammissibile in questa sede.
3. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 101 t.u.i.r. e 37bis d.p.r. n. 600 del 1973, deducendo che nessuna norma impone, ai fini della deducibilità della perdita su crediti, il previo esperimento di un tentativo di recupero del credito, la cui inutilità sarebbe stata evidenziata dalla prodotta due diligence , nella quale si dava atto di aver interpellato un legale.
Il motivo è inammissibile.
Invero, la sentenza impugnata non ha affatto affermato che la deducibilità della perdita fosse obbligatoriamente condizionata dal previo esperimento di azioni legali per il recupero dei crediti ceduti. Invece, la CTR ha valutato tale circostanza negativa come uno degli elementi concorrenti all’accertamento dell’elusione, in combinazione con altri indicati ed apprezzati nella motivazione. Sicché, sul punto, il mezzo non coglie la specifica ratio decidendi emergente dalla sentenza impugnata, rivelandosi inammissibile. Lo stesso può dirsi in ordine alle invocate risultanze della due diligence , sulla quale la CTR ha espresso complessivamente un motivato giudizio di merito, osservando che il contenuto – esplicitamente « frutto di un check – up di prima approssimazione, basato su dati di bilancio ritenuti certi, ancorché riferiti al 31/12/2007, senza ulteriori commenti ed approfondimenti per l’esiguità del tempo richiesto dalla società committente»esprime una «valutazione non idonea a concretare la definitività e le certezza su crediti anche perché ancorata a dati di bilancio chiusi al 31.12.2007 presentati dalle società debitrici, senza riferimento a situazioni patrimoniali correnti e prospettiche».
Tale valutazione, non specificamente attinta dal mezzo (e comunque non sindacabile in questa sede di legittimità) evidentemente incide, nell’economia della decisione impugnata, sulla rilevanza attribuibile alle singole risultanze della stessa due diligence . Ancora, costituisce una astratta petizione di principio, che vuole sostituirsi alla valutazione operata in fatto dal giudice a quo , l’affermazione generica della ricorrente secondo cui l’identità soggettiva RAGIONE_SOCIALE persone che rivestono cariche sociali non comporta, per ciò solo, l’ipotizzabile natura elusiva RAGIONE_SOCIALE operazioni economiche concluse tra le rispettive società. Anche in questo caso, si tratta soltanto di uno dei concorrenti elementi che la RAGIONE_SOCIALE ha considerato in combinazione tra loro, e che il mezzo tende genericamente a sminuire, isolandolo dal contesto della motivazione.
Lo stesso deve dirsi per quanto riguarda la collocazione temporale della cessione alla fine del periodo d’imposta considerato, circostanza alla quale il mezzo vorrebbe sottrarre ogni possibile rilevanza in quanto dipendente dal momento nel quale la società
incaricata della due diligence ha esaurito il suo compito, sebbene sia logico che tempi e modalità del conferimento e dell’esecuzione dell’incarico di consulenza non siano certo indipendenti dalla sfera di controllo della contribuente committente ( che infatti, come ricorda la sentenza impugnata trascrivendo un passo della consulenza, aveva concesso un ‘tempo esiguo’).
Tanto meno, poi, in questa sede, è possibile mettere in discussione l’accertamento in fatto del giudice a quo relativamente alla circostanza che, a distanza di pochi mesi della cessione di alcuni dei crediti dalla RAGIONE_SOCIALE alla contribuente, quest’ultima abbia ceduto i medesimi diritti alla RAGIONE_SOCIALE, operandone una svalutazione percentuale notevolmente superiore rispetto a quella effettuata al momento dell’acquisizione dei medesimi crediti. Né, peraltro, al fine di sminuire l’ulteriore dato concorrente in questione, emerge la potenziale decisività della censura, sostenuta con riferimento esclusivo alla stima di un solo credito oggetto della ‘doppia cessione’ (quello verso RAGIONE_SOCIALE), di valore del tutto esiguo (euro 62.457,16, come da ricorso) rispetto al complesso dei crediti (euro 18.686.003,18) acquisiti a seguito di una transazione con la RAGIONE_SOCIALE
4. Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., l’omessa pronuncia sulla domanda, proposta in via subordinata, avente per oggetto il riconoscimento della medesima percentuale di svalutazione applicata sui crediti acquisiti dalla contribuente per effetto della cessione dalla RAGIONE_SOCIALE e successivamente oggetto della cessione qui sub iudice .
Il motivo è infondato, non sussistendo l’omessa pronuncia denunziata, in quanto la sentenza impugnata, riconoscendo espressamente integralmente fondata la pretesa erariale ed accogliendo in toto l’appello dell’Amministrazione, peraltro anche sul presupposto della natura elusiva dell’operazione, ha implicitamente, ma necessariamente, rigettato anche la domanda della contribuente finalizzata al riconoscimento di una parziale deducibilità del componente negativo controverso (sul rigetto implicito cfr., ex multis , Cass., 06/11/2020, n. 24953 del in data 5.5.2008.
5. Con il quinto motivo si invoca, ai sensi dell’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., l’applicazione dello ius superveniens in tema di sanzioni, RAGIONE_SOCIALE quali si chiede la rideterminazione ai sensi dl d.lgs. n. 158 del 2015, entrato in vigore l’1 gennaio 2016, ovvero successivamente al deposito della sentenza impugnata.
Il motivo va accolto, in considerazione non solo della sopravvenienza della normativa invocata rispetto alla sentenza impugnata, ma anche della specifica prospettazione, da
parte della ricorrente, RAGIONE_SOCIALE concrete ragioni della sua possibile rilevanza rispetto al caso sub iudice . Consegue all’accoglimento del mezzo la cassazione in parte qua della sentenza impugnata ed il rinvio al giudice d’appello per i necessari accertamenti e provvedimenti in merito.
P.Q.M.
Accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta il primo ed il quarto e dichiara inammissibili il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 6 marzo 2024.