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Deducibilità perdita su crediti: il nesso di inerenza

La Corte di Cassazione nega la deducibilità di una perdita su crediti derivante da una fideiussione. Una società aveva garantito un’altra entità sperando in una futura collaborazione commerciale, ma l’accordo non si è mai concretizzato. La Corte ha stabilito che, in assenza di prove documentali solide che dimostrino il nesso di inerenza con l’attività d’impresa, la perdita non può essere dedotta fiscalmente, poiché l’operazione appare come una scelta finanziaria slegata dall’oggetto sociale e priva di adeguate garanzie.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deducibilità Perdita su Crediti: Quando un Costo è Davvero ‘Inerente’?

La corretta gestione fiscale di un’impresa passa inevitabilmente attraverso la comprensione di concetti chiave come il principio di inerenza. Questo principio stabilisce che un costo può essere scaricato (dedotto) dal reddito solo se è direttamente collegato all’attività aziendale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico, mettendo in luce i criteri per la deducibilità perdita su crediti derivante da operazioni finanziarie complesse come una fideiussione.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore della filatura decideva di concedere una fideiussione di 3 milioni di euro a garanzia di un fido bancario di un’altra azienda. L’operazione era motivata dalla speranza di acquisire quest’ultima come cliente strategico, trasformandola nel principale operatore del proprio mercato di riferimento. A fronte di questa garanzia, la società di filatura aveva emesso una fattura di soli 20.000 euro.

Tuttavia, la sperata collaborazione commerciale non si concretizzò mai. L’azienda garantita, dopo una serie di trasformazioni societarie, entrò in una procedura di concordato preventivo e successivamente fallì. La banca escusse la fideiussione, costringendo la società di filatura a pagare l’intera somma di 3 milioni di euro. Di conseguenza, la società registrò tale importo come perdita su crediti, portandola in deduzione dal proprio reddito imponibile.

L’Agenzia delle Entrate contestò l’operazione, emettendo un avviso di accertamento e negando la deducibilità della perdita, sostenendo che la fideiussione fosse estranea all’attività d’impresa. Dopo un primo grado favorevole alla società, la Commissione Tributaria Regionale ribaltò la decisione, dando ragione al Fisco. La questione è così giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione e la Mancata Prova della Deducibilità Perdita su Crediti

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso della società inammissibile, confermando di fatto la decisione dei giudici d’appello. Il punto centrale della controversia ruotava attorno alla dimostrazione del requisito di inerenza. La società sosteneva che la fideiussione rientrasse in una precisa strategia aziendale, documentata da una lettera d’intenti. Tuttavia, per i giudici, questa prova non è stata ritenuta sufficiente.

La Commissione Tributaria Regionale aveva evidenziato come un’operazione finanziaria straordinaria e così rischiosa dovesse essere supportata da una documentazione solida e non da semplici ‘assicurazioni verbali’ o da un accordo preliminare a cui non è seguito alcun sviluppo concreto. La deducibilità perdita su crediti è stata negata perché l’operazione è apparsa slegata dalla gestione aziendale tipica e non giustificata da un’attenta valutazione dei rischi, mancando persino una controgaranzia.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha chiarito che il motivo del ricorso presentato dalla società non verteva su una violazione di legge, ma mirava a ottenere un nuovo esame dei fatti e delle prove, un’attività preclusa al giudice di legittimità. La Corte ha quindi validato il ragionamento della Commissione Tributaria, la quale aveva correttamente sottolineato diversi elementi critici:

1. Mancanza di Documentazione Probante: L’operazione finanziaria non era supportata da contratti, corrispondenza o altre prove che ne dimostrassero la finalità commerciale e la convenienza economica.
2. Assenza di Risultati Concreti: Nei mesi successivi alla concessione della fideiussione, non solo non erano sorti i rapporti commerciali sperati, ma non vi era stato alcun aumento di fatturato. Al contrario, l’azienda garantita era entrata in una crisi irreversibile.
3. Estraneità alla Gestione Aziendale: L’operazione è stata giudicata estranea all’obiettivo di massimizzazione del profitto, apparendo più come un’assunzione di rischio imprenditoriale ingiustificata e non coerente con l’oggetto sociale.

In sostanza, la Corte ha ribadito che l’onere di provare l’inerenza di un costo spetta al contribuente. In questo caso, la società non è riuscita a dimostrare che la concessione della garanzia fosse una spesa funzionale alla produzione di reddito, ma piuttosto un’operazione finanziaria isolata e ad alto rischio.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre un importante monito per tutte le imprese: le operazioni finanziarie straordinarie, anche se potenzialmente legate a strategie commerciali, devono essere pianificate con rigore e documentate in modo inequivocabile. Per poter beneficiare della deducibilità perdita su crediti o di altri costi, non basta affermare l’esistenza di una strategia; è necessario provarla con documenti solidi che ne attestino la fattibilità, la convenienza e la coerenza con l’attività d’impresa. Le semplici speranze o gli accordi verbali non hanno alcun valore di fronte al Fisco, soprattutto quando le operazioni comportano rischi finanziari significativi senza adeguate tutele.

Quando una perdita derivante da una fideiussione è deducibile dal reddito d’impresa?
Secondo la sentenza, una perdita derivante da una fideiussione è deducibile solo se il contribuente è in grado di fornire prove documentali concrete (contratti, corrispondenza, ecc.) che dimostrino che l’operazione era strettamente connessa a una strategia commerciale finalizzata a generare reddito per l’impresa. Non sono sufficienti accordi verbali o lettere d’intenti non seguite da fatti.

È sufficiente una lettera d’intenti per dimostrare l’inerenza di un’operazione finanziaria all’attività d’impresa?
No. La Corte ha ritenuto che una lettera d’intenti, a cui non sia seguito l’inizio di un’effettiva attività produttiva o commerciale, non sia una prova sufficiente per dimostrare l’inerenza, specialmente a fronte di un’operazione finanziaria ad alto rischio e priva di controgaranzie.

Cosa deve dimostrare un’azienda per dedurre un costo come una perdita su crediti?
L’azienda deve dimostrare il ‘nesso di inerenza’, ovvero che il costo sostenuto era necessario e funzionale all’attività d’impresa e al conseguimento di ricavi. L’onere della prova è a carico del contribuente, che deve supportare le proprie affermazioni con una documentazione adeguata e probante che dimostri la coerenza dell’operazione con una corretta e attenta gestione aziendale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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