Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14923 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14923 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29551/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME che hanno indicato indirizzo p.e.c.
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. dell’EMILIA -ROMAGNA n. 426/2020 depositata il 17/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La soc. RAGIONE_SOCIALE realizza edifici residenziali e commerciali per la cui costruzione contrae mutui bancari o altre forme di finanziamento oneroso, deducendo gli interessi passivi, ritenendoli spese connesse all’esercizio dell’impresa.
Con avvisi di accertamento notificati in data 18 luglio 2012, l’Ufficio riprendeva a tassazione il maggior reddito di impresa conseguente al mancato riconoscimento come onere di impresa di alcuni finanziamenti.
I gradi di merito erano favorevoli alla parte contribuente, sull’assunto trattarsi di spese necessarie al funzionamento dei cantieri e, per l’effetto, di oneri fiscalmente deducibili.
Avverso questa sentenza ricorre l’Agenzia delle entrate, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, proponendo unico motivo di doglianza, cui replica la parte contribuente, spiegando tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
Viene proposto unico motivo di ricorso.
1.1. Con l’unico motivo di ricorso si solleva censura ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 del codice di rito civile per violazione dell’art. 101, primo comma, lett. b) del d.P.R. n. 917/1986. Nella sostanza, si lamenta la violazione della norma in epigrafe per aver consentito la deduzione di somme non riferibili univocamente alla costruzione degli immobili da compravendere. Più specificamente, la confluenza di più cantieri in un unico conto non consentirebbe di individuare quali somme siano state utilizzate e quali no, considerando anche una rimanenza nel predetto conto, a dimostrazione di danaro preso a muto e non impiegato per la costruzione dei detti immobili.
Il motivo, così come posto, è inammissibile, laddove si sostanzia in una richiesta di revisione dell’apporto probatorio offerto dalle parti e compendiato dal giudice di merito, con motivazione che
supera il perimetro del sindacato di questa Suprema Corte di legittimità.
Dalla lettura della sentenza in scrutinio si evidenzia la ricostruzione delle operazioni sulla contabilità aziendale, non disconosciuta dall’Ufficio, né contestata in sede processuale. Altresì, viene proposta prova di resistenza con argomentazione ad absurdum , circa il rapporto fra rimanenze ed interessi pagati (ultima pagina, quintultimo capoverso, della sentenza in esame) che dimostra la coerenza interna delle operazioni.
Né la norma chiamata a parametro è stringente o particolarmente precisa sul punto. Infatti, il richiamato art. 101, primo comma, lett. b) si limita a considerare deducibili gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro costruzione o ristrutturazione. Resta quindi confinata al giudice di merito la valutazione di quali e quanti prestiti siano stati contratti per l’edificazione o il restauro di un edificio da parte di un’impresa del settore: in questo senso, il legislatore ha inteso individuare solo un carattere di collegamento fra mutuo e operazione edilizia, lasciano ogni più ampia discrezionalità all’alea d’impresa. Né questa Corte è intervenuta con limitazioni esegetiche, salvo individuare il limite temporale di deducibilità nel momento di completamento dell’edificio (cfr. Cass. V, n. 3787/2013), prospetto peraltro considerato anche nella sentenza in scrutinio.
Sotto altro profilo è stato ribadito essere inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass. S.U. n. 34476/2019).
Peraltro, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito,
insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. III, n. 23940/2017).
Il ricorso è, quindi, inammissibile e tale va dichiarato, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità a favore della controricorrente che liquida in €. seimila /00, oltre ad €.200 ,00 per esborsi, rimborso in misura forfettaria del 15%, oltre a iva e cpa come per legge.
Così deciso in Roma, il 20/05/2025.