Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14620 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14620 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
Deducibilità interessi passivi -inerenza -anti-economicità
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 22280/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA n. 492/2022, depositata il 15/02/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME Procuratore lette le conclusioni scritte rassegnate dal Sostituto generale, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Rilevato che:
1. L’Agenzia delle Entrate notificava alla RAGIONE_SOCIALE plurimi avvisi di accertamento con i quali, per gli anni di imposta dal 2012 al 2016, contestava la deducibilità degli interessi passivi corrisposti per finanziamenti contratti. Rilevava, infatti, che, negli anni dal 2012 al 2015, la contribuente aveva contratto due finanziamenti, erogati dalla società finanziaria del gruppo (la RAGIONE_SOCIALE di diritto irlandese), corrispondendo interessi passivi; precisamente un primo finanziamento per euro 30 milioni e un secondo finanziamento per euro 20 milioni.
Ciò posto, l’Ufficio pur constatando che non vi era stata violazione dell’art. 96, comma 7, t.u.i.r. e che la normativa tributaria era stata formalmente rispettata, e senza contestare l’incongruità degli interessi passivi corrisposti -riteneva che, dal punto di vista sostanziale, i finanziamenti contratti fossero serviti a gestire un’operatività a favore delle consociate estere piuttosto che della contribuente. Per l’effetto, considerava gli interessi passivi, che avevano inciso sul reddito del consolida to, indeducibili in quanto frutto di un’operazione intercompany valutata come antieconomica. L’anti -economicità, poi, veniva ravvisata in ragione di tre elementi: nel fatto che la contribuente aveva scelto di estinguere prima altri finanziamenti infruttiferi anziché quelli gravati da interessi passivi; nella compresenza di finanziamenti attivi e finanziamenti passivi (in particolare la società aveva erogato un finanziamento di euro 3.500.000,00 ad alta società del gruppo al tasso di interesse dell’1 per cen to); nella distribuzione di utili al socio in luogo della estinzione dei finanziamenti.
L’Ufficio rilevava, infatti, che l’attività principale della contribuente era quella di percepire dividendi dalla società controllata -la RAGIONE_SOCIALE -ma che, comparando i valori incassati con quelli pagati alla RAGIONE_SOCIALE, si determinavano differenze che avrebbero ragionevolmente imposto di fare altre scelte imprenditoriali, come quella di estinguere in tutto o in parte il finanziamento in precedenza ottenuto. In conclusione, l’Ufficio riteneva che, mediante le predette operazioni di prestito, si era voluto «caricare» la società di costi, rappresentati da interessi passivi economicamente non giustificati, per l’erogazione di utili al socio e che tale operazione aveva consentito, mediante la presentazione del consolidato nazionale, di sfruttare il ROL maturato dalla contribuente e quindi di rendere, a livello di dichiarazione di gruppo, tali interessi passivi deducibili fiscalmente.
Per l’effetto, con riferimento agli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, l’Ufficio procedeva al recupero, ai fini dell’Ires e dell’Irap , del maggior imponibile in ragione della ritenuta indeducibilità degli interessi passivi ed applicava le conseguenti sanzioni.
Avverso detti atti impositivi la contribuente spiegava ricorsi innanzi alla CTP di Bergamo che, previa riunione, li accoglieva integralmente.
La CTR della Lombardia, invece, con la sentenza di cui in epigrafe, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, confermava la legittimità dell’atto impositivo e rigettava l’originario ricorso della contribuente.
Avverso detta ultima sentenza la contribuente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico, complesso, motivo.
L ‘Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con l’unico motivo, articolato in plurime censure, la società ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. e all’art. 62 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la violazione e falsa applicazione dei principi di anti-economicità ed inerenza, degli artt. 61 e 96, comma 7 t.u.i.r., dell’art. 39, pri mo comma, lett. b) e d) d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 2697 cod. civ.
1.1. In primo luogo (par. 1.2.) la contribuente critica la sentenza della CTR per aver avallato il ricorso all’accertamento analitico -induttivo. Osserva che l’Ufficio non aveva contestato la violazione diretta di alcuna norma di legge, tale da giustificare la rettifica ex art. 39, comma 1, lett. b) d.P.R. n. 600 del 1973; non aveva riscontrato l’inattendibilità delle scritture contabili o individuato passività dichiarate inesistenti tali da giustificare il ricorso alla lett. d) della medesima disposizione; non aveva contestato una fattispecie abusiva o un fenomeno evasivo. Evidenzia che l’anti -economicità di un’operazione non è sufficiente ad operare una rettifica ai sensi della lett. d) potendo rilevare solo quale indizio.
1.2. In secondo luogo (parr. 1.1., 1.2., 1.3.) censura la sentenza di appello per aver ritenuto legittimo il disconoscimento integrale della deducibilità degli interessi passivi generati da finanziamenti infragruppo, in assenza di una valutazione in termini di non congruità degli stessi, ponendosi in contrasto con i principi di anti-economicità e di inerenza e attuando un sindacato indebito su legittime scelte imprenditoriali.
Osserva, in proposito, che gli interessi passivi sono esclusi dal sindacato di inerenza per espressa previsione dell’art. 109, comma 5, t.u.i.r., sicché l’indeducibilità (escludendo fattispecie di abuso) può essere contestata soltanto a seguito di un giudizio di sproporzione che ne evidenzi il loro eccessivo ammontare, nella fattispecie non sussistente; che, in mancanza di una valutazione di tipo quantitativo,
l ‘ anti-economicità si traduce in una valutazione di non inerenza, non consentita dall’art. 109 t.u.i.r. rispetto agli interessi passivi in quanto oneri afferenti alla gestione finanziaria; che, stante l’assenza di un giudizio di non congruità del costo, era precluso alla CTR l’esame degli elementi indiziari considerati dall’Ufficio per supportare la valutazione di antieconomicità. Assume, per l’effetto, che la CTR ha confuso i concetti di anti-economicità/congruità e di inerenza.
Aggiunge che una contestazione in termini di abuso non sarebbe astrattamente configurabile nella fattispecie, sia per mancanza di qualsiasi riferimento nell’atto impositivo alla assenza di «sostanza economica» che ne costituisce il fondamento, sia per l’in osservanza delle garanzie di cui all’art. 10 -bis dello Statuto del contribuente.
1.3. In terzo luogo (parr. 1.4. e 1.5.), ferme le assorbenti considerazioni di cui alle censure precedenti, critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha tratto l’asserita anti -economicità della condotta da elementi privi di valenza indiziaria e, di conseguenza, assume che l’Ufficio non aveva assolto all’onere probatorio sul medesimo gravante.
Rileva il collegio che, nel presente giudizio, si pongono questioni di diritto di particolare rilevanza, con la conseguente opportunità di rimettere la trattazione e decisione del ricorso in pubblica udienza ai sensi dell’art. 375, primo comma, cod. proc. civ.
2.1. Viene in primo luogo in rilievo l’interpretazione dell’art. 109, comma 5, t.u.i.r., con specifico riferimento alla deducibilità degli interessi passivi, rispetto alla quale non vi è nella giurisprudenza di legittimità un orientamento che possa dirsi consolidato.
Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, gli interessi passivi (a differenza della precedente normativa contenuta nell ‘art. 74 d .P.R. n. 597 del 1973) sono sempre deducibili, anche se nei limiti della disciplina
dettata dall’art. 96 (già 63) t.u.i.r. , che indica misura e modalità del calcolo degli interessi passivi deducibili in via generale, senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza (Cass. 21/11/2001 n. 14702; Cass. 02/02/2005, n. 2114; Cass. 13/10/2006, n. 22034; Cass. 21/04/2009, n. 9380; Cass. 14/05/2014, n. 10501).
Successivamente, si è chiarito che l’assolutezza di questo arresto giurisprudenziale va temperata dall’ulteriore principio di diritto secondo il quale «ai fini della determinazione del reddito d’impresa, resta precluso tanto all’imprenditore quanto all’Amministrazione finanziaria dimostrare che gli interessi passivi riguardano finanziamenti contratti per la produzione di specifici ricavi, dovendo, invece, essere correlati all’intera attività dell’impresa esercitata. Gli interessi passivi, infatti, sono oneri generati dalla funzione finanziaria che afferiscono all’impresa nel suo essere e progredire, e, dunque, non possono essere specificamente riferiti ad una particolare gestione aziendale o ritenuti accessori ad un particolare costo. Si è precisato, pertanto, che la disposizione in esame non può essere intesa nel senso che essa fissa una presunzione legale assoluta di inerenza degli interessi passivi, ma, più semplicemente e limitatamente, nel senso che li affranca da una correlazione diretta con i componenti attivi del reddito di impresa, certamente e comunque rilevandone il vincolo con l’attività dell’impresa nel suo complesso (v. Cass. 29/10/2020, n. 23872, ripresa da Cass. 05/02/2025, n. 2795).
Nonostante ciò, altre pronunce hanno continuato a fare riferimento al principio generale secondo il quale gli interessi passivi sono sempre deducibili, senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza (Cass. 27/02/2020, n. 5332, Cass. 01/0/2022, n. 17875).
2.2. Ulteriore punto controverso appartiene al rapporto tra l’inerenza anche ove debba ragguagliarsi all’intera attività economica -e la valutazione di anti-economicità, con particolare riferimento alle
operazioni interne al gruppo ed in rapporto, altresì, alle scelte gestionali dell’imprenditore, ritenute insindacabili.
2.3. Infine, viene in rilievo il rapporto tra la mancanza di inerenza, l’anti -economicità e una possibile fattispecie abusiva.
P.Q.M.
La Corte rinvia a nuovo ruolo e rimette la causa in pubblica udienza.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2025.