Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21388 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21388 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
Oggetto: Interessi passivi su finanziamento bancario -Deducibilità – Art. 110, del d.P.R. n. 917 del 1986 -Presupposti.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30387/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Taranto, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata al ricorso.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della C.T.R. della Puglia, n. 1396/2022, depositata il 20.5.2022 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15.4.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Taranto, la RAGIONE_SOCIALE società avente ad oggetto l’attività di costruzione e vendita di immobili, impugnava l’avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate aveva contestato l ‘avvenuta illegittima deduzione, ai fini Ires ed Irap, di costi relativi al servizio idrico, all’Ici e agli interessi passivi di mutui, recuperando a tassazione il relativo importo.
In primo grado, la C.t.p. accoglieva il ricorso della società contribuente, ritenendo dimostrata l’inerenza di tali costi all’attività di impresa esercitata, in quanto oneri finanziari di cui aveva tenuto conto nella valorizzazione dei beni in costruzione e nel prezzo finale pattuito con gli acquirenti degli immobili finiti.
Tale pronuncia, tuttavia, veniva integralmente riformata dalla C.t.r., la quale, in accoglimento del gravame proposto dall’Agenzia delle entrate, riteneva non integralmente deducibili gli interessi passivi sul finanziamento bancario, in quanto non capitalizzati nelle forme di cui all’art. 110, del d.P.R. n. 917 del 1986, poiché la nota integrativa al bilancio chiariva che nel costo dei beni non era stata imputata la quota di interessi passivi e, tra i costi sostenuti, non menzionava gli interessi e il loro ammontare, né tale lacuna era colmabile con la produzione di fotocopie del bilancio analitico, trattandosi di copie informali senza l’esposizione dei criteri di imputazione.
Avverso tale pronuncia, proponeva ricorso per cassazione la società contribuente, sulla base di due motivi. L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, la RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 96 e 110, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 917 del 1986 e dell’art. 15 del d.lgs. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , avendo errato la C.t.r. nell’escludere l’applicabilità dell’art. 110 del
d.P.R. n. 917 del 1986 e la deducibilità integrale degli interessi passivi relativi ai finanziamenti contratti dalla società per la costruzione degli immobili-merce, applicando invece il limite di deducibilità previsto dall’art. 96 del medesimo d.P.R., poi ché sin dal primo grado di giudizio la società avrebbe spiegato che tali interessi erano stati portati ad incremento del valore delle rimanenze. Sostiene, in particolare, che, dall’esame congiunto del valore degli interessi passivi, come risultanti dai contratti di finanziamento allegati, e del valore delle risultanze finali, come risultanti dal bilancio d’esercizio al 31.12.2011, si dovrebbe dedurre che gli interessi passivi in questione erano stati portati ad incremento delle rimanenze iniziali all’1.1.20 11.
Con il secondo motivo di doglianza, la RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 111, comma 6, della Costituzione; 112 e 132, comma 4, c.p.c.; 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 118, disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., essendo meramente apparente la motivazione della C.t.r. con riferimento alla asserita genericità delle contestazioni sollevate dalla contribuente in relazione agli altri costi ritenuti indeducibili, relativi alle spese per il servizio idrico e per l’Ici.
Nel controricorso , l’Agenzia delle entrate contesta la fondatezza del primo motivo di doglianza, poiché la società contribuente non avrebbe dimostrato l’inclusione del valore degli interessi passivi del finanziamento nelle rimanenze, così come richiesto dall’art. 110 del d .P.R. n. 917 del 1986, per poter usufruire della integrale deducibilità. In particolare, sostiene che la contribuente, avendo optato per il regime dell’art. 96 del t.u.i.r., non avendo capitalizzato i predetti oneri finanziari nelle rimanenze finali di beni e servizi del conto economico, e non avendo contestualmente illustrato le ragioni di tale imputazione, mediante la corretta e chiara esposizione dei principi contabili adottati nella nota integrativa del bilancio, non avrebbe diritto alla deduzione degli stessi.
Eccepisce, altresì, l’inammissibilità del secondo motivo, avendo il giudice di merito chiaramente indicato gli elementi da cui ha tratto il suo convincimento. In ogni caso, sostiene la sua infondatezza, poiché la società contribuente non avrebbe censurato i restanti recuperi, limitandosi ad asserire, senza tuttavia dimostrare, che i predetti costi non avrebbero avuto incidenza sul reddito per via della presunta inclusione nel valore delle rimanenze.
4. Il primo motivo di doglianza è infondato.
Giova premettere che l’art. 110, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 917 del 1986, nel disciplinare i costi deducibili dal reddito d’impresa, stabilisce che, agli effetti delle norme del presente capo che fanno riferimento al costo dei beni senza disporre diversamente, si comprendono nel costo anche gli oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali. Tuttavia, per i beni materiali e immateriali strumentali per l’esercizio dell’impresa si comprendono nel costo gli interessi passivi iscritti in bilancio ad aumento del costo stesso per effetto di disposizioni di legge. Nel costo di fabbricazione si possono aggiungere con gli stessi criteri anche i costi diversi da quelli direttamente imputabili al prodotto; per gli immobili alla cui produzione è diretta l ‘ attività dell ‘ impresa si comprendono nel costo gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro costruzione o ristrutturazione.
L’art. 96 del d.P.R. n. 917 del 1986, successivo alla legge finanziaria 2008 prevede che ‘gli interessi passivi e gli oneri assimilati, diversi da quelli compresi nel costo dei beni ai sensi del comma 1, lettera b), dell’art. 110, sono deducibili in ciascu n periodo d’imposta fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati. L’eccedenza è deducibile nel limite del 30% del risultato operativo lordo della gestione caratteristica. La quota di risultato operativo lordo prodotto a partire dal terzo periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, non utilizzata per la deduzione degli interessi passivi e degli oneri finanziari di
competenza, può essere portata ad incremento del risultato operativo lordo di successivi periodi d’imposta’. Al secondo comma dell’art. 96 si chiarisce che ‘per risultato operativo lordo si intende la differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell’art. 2425 del codice civile, con esclusione delle voci di cui al n. 10, lettere a e b, dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali, così come risultanti di dal conto economico dell’esercizio; per i soggetti che red igono il bilancio in base ai principi contabili internazionali si assumono le voci di conto economico corrispondenti ‘ .
Le due disposizioni vanno, quindi, lette congiuntamente, essendo prevista la deducibilità integrale solo per gli interessi passivi compresi nel costo dei beni secondo quanto disposto dall’art. 110, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 917 del 1986, altrimenti essi sono deducibili nei limiti indicati dall’art. 96 del d.P.R. n. 917 del 1986, e cioè integralmente sino alla concorrenza della franchigia costituita dall’ammontare degli interessi attivi e dei proventi assimilati e, per l’eccedenza, nel limite del 30% del risultato operativo lordo della gestione caratteristica.
Orbene, è necessario premettere che, in materia di IRAP, nella determinazione della base imponibile opera il principio di diretta derivazione dal bilancio di esercizio, redatto applicando correttamente i principi contabili (Cass. n. 6492/2023, Rv. 66733501).
A tal riguardo, la Suprema Corte ha affermato che, in tema di deduzioni dalla base imponibile, nel quadro normativo delineato dal combinato disposto dell’art. 96 del d.P.R. n. 917 del 1986, come risultante dalla novella apportata dalla l. n. 244 del 2007, disposizione sostanziale non retroattiva che trova applicazione dall’esercizio successivo a quello chiuso al 31 dicembre 2007, e dell’art. 110, comma 1, lett. b), del medesimo d.P.R., per gli immobili alla cui produzione è diretta l’attività di impresa, la
deducibilità dal reddito degli interessi passivi sostenuti per l’acquisto, la costruzione o ristrutturazione, può avvenire soltanto attraverso una loro previa capitalizzazione quale costo di fabbricazione, in quanto costo parte integrante del valore del bene iscrivibile in bilancio, essendo gli interessi passivi già compresi nel costo per l’acquisto dei beni strumentali, e per tale ragione non autonomamente deducibili, e rilevando, a tal fine, unicamente all’interno della quota di ammortamento propria del bene al quale direttamente si riferiscono (Cass. n. 27917/2022, Rv. 665672-01).
È stato, inoltre, precisato che, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, gli interessi passivi, ai sensi dell’art. 75, comma 5, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ed a differenza della precedente normativa contenuta nell’art. 74, del d.P.R. 20 settembre 1973, n. 597, sono sempre deducibili, anche se nei limiti di cui all’art. 63 (ora 96) del detto d.P.R. n. 917 del 1986, che indica misura e modalità del calcolo degli interessi passivi deducibili in via generale, senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza. (Cass. n. 10501/2014, Rv. 630816-01).
6. Ciò posto, nel caso in esame, la C.t.r. ha fatto corretta applicazione dei suesposti principi, escludendo la integrale deducibilità degli interessi passivi sul finanziamento bancario contratto dalla società contribuente, in quanto non capitalizzato nelle forme previste dal citato art. 110. Ed infatti, con accertamento di fatto, non sindacabile nella presente sede, ha riscontrato che nella nota integrativa al bilancio si affermava che nel costo dei beni non era stata imputata la quota di interessi passivi e, in altra parte, che l’scrizione vi era, ma senza la menzione tra i co sti degli interessi e del loro ammontare.
Tali emergenze consentono di escludere gli interessi passivi in questione dall’ambito applicativo del citato art. 110 , essendo impossibile verificare se essi siano stati inseriti contabilmente tra le
rimanenze ed eventualmente in quale misura, risultando una iscrizione generica e non analitica.
Peraltro, tale conclusione non appare smentita da quanto dedotto nel ricorso, secondo cui l’inserimento degli interessi passivi in questione nell’ambito delle rimanenze poteva ricavarsi dal confronto tra i contratti di finanziamento e il valore delle risultanze finali medesime. Tale affermazione, infatti, conferma che l’importo degli interessi passivi non è stato chiaramente e correttamente capitalizzato nelle rimanenze finali di beni e servizi, con contestuale spiegazione nella nota integrativa dei criteri contabili seguiti in tale annotazione.
7. Parimenti infondato risulta il secondo motivo di doglianza.
Giova ricordare che, a seguito della riforma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’unica contraddittorietà della motivazione che può rendere nulla una sentenza è quella insanabile e l’unica insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella insuperabile (cfr. Cass., Sez. Un, 28 ottobre 2022, n. 32000). A tal riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che è oggi denunciabile in sede di legittimità solo l ‘ anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all ‘ esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. 27 dicembre 2023, n. 35947; Cass. 11 ottobre 2023, n. 28390; Cass. 18 settembre 2023, n. 26704; Cass. 13 gennaio 2023, n. 956 del 2023; Cass.17 novembre 2022, n. 33961). Questa anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione o di sua contraddittorietà (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile
2014, n. 8053; nello stesso senso anche le più recenti e già menzionate Cass. nn. 28930 del 2023 e 33961 del 2022).
7.1. Orbene, la sentenza impugnata, pur in modo sintetico, contiene una motivazione anche relativamente ai restanti costi portati in deduzione dalla contribuente, condividendo il rilievo sulla genericità del ricorso introduttivo. Nella pagina precedente, poi, la C.t.r. dà atto delle difese dell’ Agenzia delle entrate, secondo cui la società contribuente non aveva contestato il recupero della parte residua dei costi, essendosi limitata ad escludere la loro incidenza sul reddito stante la loro inclusione nel valore delle rimanenze senza dar conto, con adeguata attività probatoria, di tale affermazione.
U na siffatta motivazione consente di individuare l’iter argomentativo seguito dai giudici di merito, che hanno utilizzato la tecnica della motivazione per relationem , rinviando, e facendo proprie, le considerazioni espresse dell’Agenzia delle entrate con il secondo motivo di appello, riportato nel corpo della sentenza impugnata. In particolare, la C.t.r. ha ritenuto non applicabile il regime di integrale deducibilità anche con riferimento alle spese per il servizio idrico e per l’Ici, in quanto non chi aramente contabilizzate nel bilancio di esercizio nell’ambito delle rimanenze. Per tale ragione, essa si sottrae alla censura articolata, collocandosi al livello del minimo costituzionale, richiesto dalla giurisprudenza sopra richiamata (cfr., da ultimo, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024, n. 9807; Cass. 7 marzo 2024, n. 6127).
Pertanto, sulla base di tutte le suesposte considerazioni, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese relative al presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, ove dovuto (Cass. SU n. 4315/2020, Rv. 657198-03).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore d ell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.400,00, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione