Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 497 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 497 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7218/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente e ricorrente incidentale-
e
AGENZIA DELLE ENTRATE -RISCOSSIONE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. VENETO n. 582/2019 depositata il 09/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, società operante nel settore delle costruzioni edili, ricorreva avverso l’avviso di accertamento per l’anno di imposta 2010, con il quale l’Agenzia delle Entrate DP di Padova aveva recuperato a tassazione i) la deduzione di euro 108.628,00 per interessi passivi, corrisposti su mutui fondiari, ritenuti non capitalizzabili in quanto la società non avrebbe dimostrato di aver effettuato attività di costruzione e/io ristrutturazione connesse ai mutui, e pertanto riconosciuti come deducibili non integralmente con applicazione dell’art. 110 del TUIR, ma nei limiti e secondo il meccanismo previsto dall’art. 96 del TUIR all’epoca vigente, con riferimento al reddito operativo lordo (ROL); ii) la deduzione di euro 658.543,00 per sopravvenienza passiva conseguente alla chiusura anticipata di alcuni contratti derivati stipulati dalla società, importo eccedente i limiti di deducibilità di cui all’art. 96 cit., come previsto dal successivo art. 112 TUIR e ribadito dalla Circ. n. 19/E del 2009.
La CTP di Padova, in parziale accoglimento del ricorso, riconosceva la deducibilità integrale degli interessi passivi sui mutui, di cui al rilievo sub i), rigettando le censure della società contribuente relative al secondo recupero.
La CTR del Veneto, con la sentenza di cui in epigrafe, confermava la sentenza di primo grado, rigettando l’appello principale della contribuente e quello incidentale dell’Agenzia delle Entrate.
Avverso la predetta sentenza ricorre la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione con unico motivo, con cui articola due autonome censure.
Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso e ricorso incidentale, sorretto da unico motivo.
L’Agenzia delle Entrate Riscossione è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il motivo di ricorso principale la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., i) l’«erroneità della sentenza per violazione ed errata applicazione degli artt. 96, 109, primo comma e 112, quinto comma, del TUIR» e ii) la «violazione dell’art. 2697 del codice civile in tema di ripartizione dell’onere della prova tra le parti».
I giudici di appello, con riguardo al rilievo attinente alla indeducibilità delle sopravvenienze passive rappresentate dagli interessi passivi scaturiti da contratti di derivati per copertura di tassi di interesse sottostanti a contratti di mutuo ipotecario, non hanno condiviso la tesi della ricorrente in merito alla loro riconducibilità all’ambito dell’art. 109, comma 5 del TUIR, ritenendo applicabile l’art. 112, comma 5 del TUIR che «disciplina espressamente tale causalità» e affermando che «pertanto la deducibilità di tali costi deve essere riportata alle disposizioni di cui all’art. 96 del TUIR, risultando tale interpretazione suffragata da quanto indicato nella Circolare Ministeriale n. 19/2009».
Delle due censure articolate nell’unico motivo di ricorso, deve essere esaminata preventivamente la seconda, per evidente pregiudizialità logica.
Lamenta la ricorrente che la CTR avrebbe violato i principi che regolano l’onere della prova, lamentando in particolare che, in presenza di una relazione del Collegio sindacale che aveva confermato la correttezza dell’operato degli amministratori della società senza sollevare alcuna riserva in ordine alla natura di componente straordinaria derivante dalla chiusura dei contratti derivati, i giudici di appello si erano diversamente determinati.
3.1. A tale riguardo la società contribuente invoca l’orientamento espresso da questa Corte secondo cui «la relazione della società di revisione dei bilanci delle società commerciali, una volta messa a disposizione dell’ufficio tributario e/o del giudice tributario, va considerata, in relazione ai profili di controllo
pubblicistico ed alla responsabilità penale e civile del revisore, un documento incorporante enunciati – pur senza dar luogo ad una presunzione relativa della veridicità delle scritture – che possono essere privati della forza dimostrativa dei fatti attestati solo con una prova contraria che non può essere fornita attraverso meri indizi di non veridicità, ma con la produzione di documenti che siano idonei a dimostrare che, nel giudizio di revisione, il revisore sia incorso in errore o abbia realizzato un inadempimento» (così Cass., 12 marzo 2009, n. 5926; conf. Cass., 26 febbraio 2010, n. 4737).
L’Amministrazione, osserva, non avrebbe contrastato la presunzione di veridicità, attribuita alla relazione di revisione, mediante la produzione di documenti idonei a confutarne le conclusioni.
3.2. Il richiamo non è conferente e la censura è di conseguenza infondata.
Nel caso di specie non si verte in materia di fatti economici attestati dalla relazione di certificazione e tradotti in poste di bilancio, e dunque di veridicità delle scritture societarie, con conseguente necessità per l’Amministrazione di offrire prova contraria documentale nei termini indicati da questa Corte e richiamati dalla ricorrente.
La questione investe, al contrario, l’interpretazione della disciplina normativa applicabile alla fattispecie, segnatamente in ordine al regime di deducibilità, integrale o entro i limiti di cui all’art. 96 TUIR, delle sopravvenienze passive da derivati, ed è quindi estranea al tema del rispetto dell’onere probatorio, oggetto della censura della ricorrente.
Anche il primo profilo di censura dedotto nel motivo di ricorso principale è infondato.
Va preliminarmente osservato che non è in contestazione, nel presente giudizio, la finalità di copertura dei contratti derivati in
oggetto, e quindi l’inerenza dei relativi costi all’attività di impresa ai sensi dell’art. 109 del TUIR.
Tanto premesso, va rilevato che il riflesso fiscale dell’identificazione della relazione di copertura risulta disciplinato dalla regola generale contenuta nel comma 4 del successivo art. 112, che declina il principio della c.d. valutazione simmetrica, prevedendo che i componenti positivi e negativi derivanti da valutazione o da realizzo di un derivato di copertura «concorrono a formare il reddito secondo le medesime disposizioni che disciplinano i componenti positivi e negativi, derivanti da valutazione o da realizzo, delle attività o passività rispettivamente coperte». Precisa quindi il comma 5 dell’art. 112 cit., ai fini dell’imputazione, che «Se le operazioni di cui al comma 2 sono poste in essere con finalità di copertura dei rischi relativi ad attività e passività produttive di interessi, i relativi componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito, secondo lo stesso criterio di imputazione degli interessi, se le operazioni hanno finalità di copertura di rischi connessi a specifiche attività e passività, ovvero secondo la durata del contratto, se le operazioni hanno finalità di copertura di rischi connessi ad insiemi di attività e passività».
4.1. In dichiarazione, pertanto, a differenza di quanto avviene in bilancio, è il criterio di valutazione del derivato ad essere attratto alla disciplina fiscale prevista per le componenti attive o passive oggetto di copertura.
Sono pertanto applicabili le regole dettate dall’art. 96, primo comma del TUIR, nella versione ratione temporis vigente, in materia di deducibilità degli interessi passivi e degli oneri assimilati (e dunque delle componenti negative da derivati), in forza delle quali «Gli interessi passivi e gli oneri assimilati, diversi da quelli compresi nel costo dei beni ai sensi del comma 1, lettera b), dell’articolo 110, sono deducibili in ciascun periodo d’imposta fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati. L’eccedenza
è deducibile nel limite del 30 per cento del risultato operativo lordo della gestione caratteristica. La quota del risultato operativo lordo prodotto a partire dal terzo periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, non utilizzata per la deduzione degli interessi passivi e degli oneri finanziari di competenza, può essere portata ad incremento del risultato operativo lordo dei successivi periodi d’imposta» e «Gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati indeducibili in un determinato periodo d’imposta sono dedotti dal reddito dei successivi periodi d’imposta, se e nei limiti in cui in tali periodi l’importo degli interessi passivi e degli oneri assimilati di competenza eccedenti gli interessi attivi e i proventi assimilati sia inferiore al 30 per cento del risultato operativo lordo di competenza.»
4.2. A fronte della complessiva ricostruzione del quadro normativo operata risulta non pertinente l’affermazione della ricorrente, che invoca, isolandolo, il dettato del quinto comma dell’art. 112 del TUIR, al fine di affermare che il richiamo alla disciplina degli interessi passivi varrebbe solamente ai fini della imputazione temporale degli oneri da perdite su derivati, e non della loro regolamentazione complessiva.
4.3. Né rileva il richiamo della contribuente alla ininfluenza nei confronti dell’Erario di una eventuale violazione delle regole di imputazione temporale di cui all’art. 96 del TUIR.
E’ infatti principio costantemente affermato da questo Corte che «In tema di reddito d’impresa, non è consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, neppure al dichiarato fine di bilanciare componenti attivi e passivi del reddito e pur in assenza della configurabilità di un danno per l’erario, atteso che le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dall’art. 75 TUIR vigente “ratione temporis” (oggi art. 109 TUIR), sono
vincolanti sia per il contribuente che per l’erario e, per la loro inderogabilità, non richiedono né legittimano un qualche giudizio sull’esistenza o meno di un danno erariale, per modo che appare decisamente irrilevante l’eventuale (anche effettiva) insussistenza dello stesso nel caso concreto.» (cfr., ex multis., Cass. n. 16093 del 19/05/2022).
Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Amministrazione denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod., proc. civ., la ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 96 e 110 del DPR 917/1986, nonché degli artt. 2423, 2423bis e 2427 c.c.’
5.1. Lamenta l’Agenzia delle Entrate che la CTR abbia ritenuto non fondato il recupero parziale a tassazione della deduzione, che la società ha operato per intero, degli interessi passivi corrisposti sui mutui fondiari. In assenza della prova della effettiva destinazione dei mutui al finanziamento della attività di costruzione o ristrutturazione, osserva l’Amministrazione, la deducibilità avrebbe dovuto essere riconosciuta non per l’intero, in applicazione dell’art. 110, comma 1, lett. b) del TUIR, ma nei limiti del meccanismo del ROL, ai sensi dell’art. 96 del TUIR.
5.2. Il motivo è inammissibile, in quanto attiene a profili meritali, contestandosi nella specie la valutazione delle risultanze istruttorie posta in essere dalla Commissione regionale. Come si legge nella sentenza impugnata, la CTR, con valutazione non sindacabile sotto il profilo della violazione di legge denunciata dalla ricorrente incidentale, ha rilevato che «dalla documentazione in atti risulta invece che gli interessi passivi portati in deduzione sono relativi a contratti di mutuo stipulati dalla RAGIONE_SOCIALE per ottenere finanziamenti destinati all’esecuzione dei lavori nei vari cantieri in cui la società operava (…)».
In conclusione, i ricorsi principale e incidentale devono essere rigettati.
Le spese di lite del giudizio di legittimità, stante la reciproca soccombenza, devono essere compensate.
All’Agenzia delle Entrate, ricorrente incidentale, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio n. 115, art. 13 comma 1-quater, (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14/12/2023.