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Deducibilità dei costi: la Cassazione e l’inerenza

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società contro l’Agenzia delle Entrate, confermando la non deducibilità dei costi per consulenze commerciali e finanziarie. La decisione si fonda sulla mancanza del requisito di inerenza, ritenuto un accertamento di fatto non riesaminabile in sede di legittimità. La Corte ha sottolineato che il ricorso della società, pur formalmente basato su una violazione di legge, mirava in realtà a una inammissibile rivalutazione delle prove e dei fatti già giudicati nei gradi di merito.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deducibilità dei costi per consulenze: quando l’inerenza non basta

La corretta gestione fiscale è un pilastro per ogni impresa, e la deducibilità dei costi rappresenta uno degli aspetti più delicati e controversi nel rapporto con l’Amministrazione Finanziaria. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali in materia, chiarendo i limiti entro cui un costo può essere considerato ‘inerente’ all’attività d’impresa e le modalità con cui tale valutazione può essere contestata in giudizio. Il caso esaminato riguarda una società a cui sono stati negati i benefici fiscali per costi relativi a consulenze, ritenuti privi di un’effettiva e dimostrabile connessione con l’attività produttiva.

I Fatti del Caso: Costi per Consulenze nel Mirino del Fisco

Una società si è vista notificare due avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di alcuni costi e la detraibilità della relativa IVA per gli anni d’imposta 2010 e 2011. Le contestazioni si concentravano su due tipologie di spese:
1. Consulenze commerciali e provvigioni: I giudici di merito hanno ritenuto tali costi indeducibili per diverse ragioni, tra cui la determinazione forfettaria dei compensi, l’inverosimiglianza degli importi e la discrepanza tra il valore delle vendite che sarebbero state procurate dai consulenti e il fatturato effettivo della società.
2. Consulenze finanziarie: Anche questi costi sono stati considerati privi di inerenza. La decisione si è basata sulla stretta interconnessione tra i soggetti coinvolti. In particolare, la società che forniva la consulenza era la controllante della società contribuente, e gli amministratori e soci unici delle due entità erano legati da rapporti personali e di garanzia, creando una commistione di interessi che, secondo i giudici, minava la genuinità dell’operazione.

La società ha impugnato la decisione di secondo grado, portando il caso davanti alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Cassazione sulla deducibilità dei costi

La Suprema Corte ha dichiarato i motivi di ricorso in parte infondati e in parte inammissibili, confermando di fatto la decisione della Commissione Tributaria Regionale.

Il Terzo Motivo: La Motivazione Apparente

La società lamentava che la sentenza d’appello fosse priva di una reale motivazione giuridica. La Cassazione ha respinto questa censura, affermando che la decisione impugnata conteneva un percorso argomentativo chiaro, logico e sufficiente a comprendere le ragioni della decisione, superando ampiamente il ‘minimo costituzionale’ richiesto per una motivazione valida.

Primo e Secondo Motivo: L’Errore nel Contestare i Fatti

I motivi principali del ricorso si basavano sulla presunta violazione dell’art. 109 del TUIR, che disciplina il principio di inerenza dei costi. La società sosteneva che i giudici avessero errato nel negare la deducibilità dei costi per consulenze. La Corte di Cassazione ha dichiarato questi motivi inammissibili, spiegando che la valutazione sull’inerenza di un costo è un accertamento di fatto, riservato ai giudici di merito (primo e secondo grado). La società, presentando il ricorso come un ‘error in iudicando’ (errore di diritto), stava in realtà tentando di ottenere dalla Cassazione una nuova e diversa valutazione delle prove, un’operazione che esula dai poteri della Suprema Corte.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha chiarito un punto processuale cruciale: quando un contribuente vuole contestare la valutazione dei fatti compiuta da un giudice tributario, non può farlo denunciando una semplice violazione di legge. Deve, invece, dimostrare un vizio specifico della motivazione (ad esempio, che è totalmente mancante, illogica o che ha omesso di esaminare un fatto decisivo), nei limiti stringenti previsti dal codice di procedura civile. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che le argomentazioni dei giudici d’appello – basate sull’inverosimiglianza dei costi e sulla commistione di interessi tra le parti – fossero il risultato di un logico e ponderato esame dei fatti. Tentare di contrapporre una diversa interpretazione delle prove in sede di legittimità è un’operazione non consentita.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

Questa ordinanza offre due importanti lezioni per le imprese. In primo luogo, ribadisce che la deducibilità dei costi non è automatica ma richiede una prova rigorosa dell’inerenza, ovvero del legame funzionale tra la spesa e l’attività d’impresa. Costi generici, forfettari o derivanti da operazioni con parti correlate in potenziale conflitto di interessi sono particolarmente a rischio. In secondo luogo, evidenzia l’importanza di impostare correttamente la strategia processuale. Contestare un accertamento di fatto come se fosse un errore di diritto davanti alla Cassazione porta quasi inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. È fondamentale, quindi, fornire ai giudici di merito tutti gli elementi probatori necessari a dimostrare la bontà e la genuinità delle operazioni economiche fin dal primo grado di giudizio.

Quando un costo per consulenza può essere considerato non inerente e quindi non deducibile?
Un costo può essere considerato non inerente quando la sua giustificazione è debole o assente. Secondo la sentenza, ciò avviene, ad esempio, se il compenso è determinato in modo forfettario e generico, se l’importo appare inverosimile rispetto ai benefici procurati all’azienda, o se emerge una stretta interconnessione e commistione di interessi tra i soggetti coinvolti che fa dubitare della genuinità dell’operazione commerciale.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione di un giudice sull’inerenza di un costo?
No, non direttamente. La valutazione dell’inerenza di un costo è considerata un accertamento di fatto, di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado. In Cassazione è possibile contestare solo errori di diritto (error in iudicando) o vizi della motivazione (ad esempio, se è mancante, illogica o apparente), ma non si può chiedere alla Corte di riesaminare le prove per giungere a una diversa conclusione sui fatti.

Cosa significa che un motivo di ricorso è ‘inammissibile’ perché mira a una rivalutazione del fatto?
Significa che il ricorrente, pur mascherando la sua contestazione come una violazione di legge, sta in realtà chiedendo alla Corte di Cassazione di agire come un terzo giudice di merito, riesaminando le prove e sostituendo la propria valutazione a quella del giudice d’appello. Poiché la Cassazione è un giudice di legittimità e non di merito, un simile motivo viene respinto senza essere esaminato nel contenuto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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