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Deducibilità dei costi: Cassazione su operazioni simulate

Una società ha tentato di neutralizzare una plusvalenza immobiliare attraverso la contabilizzazione di un costo derivante da una clausola di ‘rendimento minimo garantito’ inserita in un contratto preliminare. L’Amministrazione Finanziaria ha contestato l’operazione, ritenendola simulata e finalizzata all’evasione fiscale. La Corte di Cassazione ha confermato l’indeducibilità del costo, poiché non rispettava il principio di competenza, non essendo né certo né determinato nell’esercizio fiscale di riferimento. L’ordinanza sottolinea come la deducibilità dei costi richieda la prova della loro effettiva esistenza e inerenza, onere che spetta al contribuente in caso di contestazione di fittizietà da parte del fisco.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

La deducibilità dei costi in operazioni simulate: l’analisi della Cassazione

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema centrale del diritto tributario: la deducibilità dei costi in presenza di operazioni finanziarie complesse che, secondo l’Amministrazione Finanziaria, nascondono un intento elusivo. La decisione offre importanti chiarimenti sui requisiti di certezza e inerenza che un costo deve possedere per poter essere legittimamente sottratto dal reddito imponibile, specialmente quando le operazioni coinvolgono più società dello stesso gruppo.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava a una società immobiliare la tassazione di Ires, Irap e Iva per l’anno 2005. Al centro della controversia vi era un’articolata operazione immobiliare. La società contribuente acquistava un complesso immobiliare per circa 60 milioni di euro e, lo stesso giorno, lo cedeva a una società di leasing per 90 milioni, realizzando una plusvalenza di 30 milioni.

Per ‘sterilizzare’ fiscalmente tale plusvalenza, la società inseriva in un contratto preliminare di vendita con un’altra entità del proprio gruppo una clausola di ‘rendimento minimo garantito’. In sostanza, si impegnava a versare un’indennità per garantire un certo rendimento all’acquirente, generando così un costo di pari importo rispetto alla plusvalenza. L’Agenzia delle Entrate ha riqualificato l’intera operazione come una simulazione, volta a dissimulare un finanziamento e a creare costi fittizi per abbattere il carico fiscale.

La valutazione della Corte sulla deducibilità dei costi

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso principale della società contribuente, confermando la tesi dell’Amministrazione Finanziaria. I giudici hanno sottolineato che, per essere deducibile, un costo deve rispettare il principio di competenza, sancito dall’art. 109 del TUIR. Questo principio impone che i componenti negativi del reddito siano imputati all’esercizio in cui diventano certi nella loro esistenza e oggettivamente determinabili nel loro ammontare.

Nel caso specifico, il costo derivante dalla clausola di rendimento minimo garantito era qualificato come ‘costo futuro’. La sua effettiva esistenza e il suo preciso ammontare non erano certi né determinabili nell’anno 2005, ma dipendevano da eventi futuri e incerti (la differenza tra i canoni di locazione e il rendimento garantito). Di conseguenza, la società non poteva dedurlo in quell’esercizio fiscale. La Corte ha ribadito che consentire una tale deduzione significherebbe lasciare all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo d’imposta più vantaggioso, snaturando la funzione del principio di competenza, che è un criterio oggettivo e inderogabile.

L’onere della prova nelle operazioni simulate

Un altro aspetto cruciale affrontato dalla Corte riguarda l’onere della prova. Quando l’Amministrazione Finanziaria contesta la fittizietà di operazioni, anche sulla base di presunzioni semplici, spetta al contribuente dimostrare la veridicità, l’inerenza e l’effettività dei costi e delle operazioni passive. Per quanto riguarda la detrazione dell’IVA, non è sufficiente la regolarità formale delle fatture. È necessario provare che l’imposta corrisponda a un’operazione realmente esistente e soggetta a IVA.

La Corte ha evidenziato come la concatenazione di negozi giuridici (compravendita, leasing, locazione) avvenuti nello stesso giorno tra società dello stesso gruppo fosse un forte indizio della natura simulata dell’operazione, il cui unico scopo era quello di ottenere indebite disponibilità finanziarie e vantaggi fiscali.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri principali. In primo luogo, la violazione del principio di competenza fiscale. Il costo, essendo futuro e incerto, non poteva essere imputato all’esercizio 2005. La sua contabilizzazione è stata vista come un artificio per neutralizzare la plusvalenza. In secondo luogo, la natura simulata dell’intera architettura contrattuale. I giudici hanno ritenuto che l’accertamento di fatto compiuto dalla Commissione Tributaria Regionale fosse logico e ben motivato, evidenziando come l’insieme delle operazioni non avesse una reale sostanza economica, ma fosse preordinato al conseguimento di un risparmio d’imposta. La Corte ha inoltre accolto il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate su un altro costo, ritenendo che la corte di merito non avesse adeguatamente valutato gli elementi probatori forniti dall’ufficio che ne contestavano la veridicità.

Le conclusioni

La decisione della Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la deducibilità dei costi non è un diritto automatico ma è subordinata alla prova rigorosa della loro certezza, determinabilità e inerenza all’attività d’impresa. Le operazioni complesse, specialmente quelle infragruppo, vengono scrutinate con particolare attenzione dal Fisco e dalla giurisprudenza. Se emergono elementi che suggeriscono una finalità elusiva, l’onere di dimostrare la sostanza economica e la legittimità fiscale delle transazioni ricade interamente sul contribuente. Questa ordinanza serve da monito per le imprese, sottolineando l’importanza di strutturare le operazioni commerciali su solide basi economiche e non solo su mere convenienze fiscali.

Quando un costo viene considerato non deducibile in una complessa operazione finanziaria?
Un costo è considerato non deducibile quando non rispetta il principio di competenza, cioè non è certo nella sua esistenza e oggettivamente determinabile nel suo ammontare nell’esercizio fiscale di riferimento. Inoltre, è indeducibile se si inserisce in un’operazione complessivamente simulata e priva di sostanza economica, finalizzata unicamente a ottenere un vantaggio fiscale.

Perché il principio di competenza è stato cruciale in questa decisione?
Il principio di competenza è stato decisivo perché ha permesso alla Corte di stabilire che il costo relativo alla ‘garanzia di rendimento minimo’ non poteva essere imputato all’esercizio 2005. Essendo un ‘costo futuro’, la sua esistenza e il suo ammontare non erano ancora certi in quell’anno, rendendone illegittima la deduzione e svelando la natura artificiosa dell’operazione contabile.

In caso di sospetta simulazione, chi deve provare la realtà di un’operazione ai fini fiscali?
Secondo la Corte, quando l’Amministrazione Finanziaria contesta la fittizietà di un’operazione, anche sulla base di presunzioni, l’onere della prova si sposta sul contribuente. È quest’ultimo che deve dimostrare in modo rigoroso la sussistenza, l’entità e l’inerenza del costo o del credito IVA che intende far valere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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