Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34919 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34919 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29272/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende – controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del LAZIO n. 7958/2018 depositata il 15/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere COGNOME
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate recuperava nei confronti della contribuente importi Ires, Irap e Iva relativi all’esercizio 2005, avuto riguardo ad una operazione immobiliare tesa, con la partecipazione di diverse società, ad ottenere vantaggi economici e fiscali. Nella prospettazione erariale l’operazione si compendiava in una sopravvalutazione di leasing immobiliare e si iscriveva in una dinamica di gruppo, del quale facevano parte oltre a IRG, odierna ricorrente in via principale, anche RAGIONE_SOCIALE Trust, che ne deteneva il capitale sociale, la controllante RAGIONE_SOCIALE, a sua volta controllata dalla RAGIONE_SOCIALE In particolare, la IRG acquistava da una società esterna al gruppo, la RAGIONE_SOCIALE, un complesso immobiliare in Sesto San Giovanni (MI) per un corrispettivo di euro 59.800.000 oltre Iva. Nella medesima data del 19 luglio 2005 la IRG stipulava due distinti contratti, aventi ad oggetto il complesso immobiliare anzidetto. Innanzitutto, stipulava un contratto preliminare di compravendita del complesso in favore di RAGIONE_SOCIALE -appartenente al proprio gruppo -, la quale si impegnava ad acquistare per un importo di euro 90.000.000, superiore di oltre euro 30.000.000 al prezzo pagato da IRG per l’acquisto, a fronte della garanzia di ricevere dall’investimento una redditività minima annua pari al 7.9% del prezzo d’acquisto e del correlato obbligo della IRG di corrispondere al promissario acquirente una cospicua indennità di integrazione del reddito minimo garantito. Inoltre, la IRG cedeva il compendio immobiliare ad una società di leasing, denominata RAGIONE_SOCIALE per il prezzo di euro 90.000.000. In pari data, quest’ultima cedeva il complesso immobiliare alla RAGIONE_SOCIALE s.r.lRAGIONE_SOCIALE per un importo identico di euro 90.000.000. La IRG conseguiva una plusvalenza, pertanto, di oltre 30.000.000, neutralizzandola, tuttavia, con la contabilizzazione dell’indennità di rendimento minimo garantito inserita, come dianzi evidenziato, nel contratto preliminare stipulato con la RAGIONE_SOCIALE s.r.l.,
appartenente al proprio gruppo. In esito a questa complessiva operazione IRG evitava la tassazione della plusvalenza di euro 30.000.000, derivante dalla cessione del complesso alla RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, cedendo alla RAGIONE_SOCIALE leasing il complesso per un importo superiore di euro 30.000.000 a quello reale -in quanto contestualmente pagato per l’acquisto da RAGIONE_SOCIALE portava in deduzione i costi relativi.
L’avviso di accertamento oggetto dell’odierno giudizio, relativo al 2005, anno in cui si concretizzava l’operazione, contestava la connotazione simulata dell’operazione, attraverso la quale la RAGIONE_SOCIALE e le altre società coinvolte dissimulavano la concessione di un finanziamento da parte della RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’odierna ricorrente in via principale. In sostanza, la RAGIONE_SOCIALE, attraverso il simulato leasing, acquistava di fatto il complesso immobiliare. La RAGIONE_SOCIALE e la IRG simulavano attraverso il leasing un finanziamento, consentendo alla contribuente di acquisire disponibilità finanziaria attraverso un contratto simulato in esenzione Iva. Ancora, l’accordo che contemplava la clausola di rendimento garantito di cui al preliminare fra RAGIONE_SOCIALE e Sesto s.r.l. si atteggiava a operazione antieconomica posta in essere dalla prima in favore della seconda al fine di abbattere l’Ires e l’Iva derivante dalla cessione in favore della RAGIONE_SOCIALE, ridistribuendo le risorse nell’ambito del medesimo gruppo di cui RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE facevano parte. Infine, l’Agenzia contestava la sussistenza delle operazioni relative ad una fattura di euro 2.233.690 emessa dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e un altro costo apparentemente sostenuto da quest’ultima per euro 883.690 nei confronti della RAGIONE_SOCIALE Su queste basi l’Ufficio, con l’avviso di accertamento oggetto di causa, recuperava le Imposte sui redditi e l’Iva relative all’acquisto solo simulato effettuato a monte da IRG dalla Immobiliare Rio Grande, posto che l’acquisto era in realtà
effettuato, con l’interposizione di IRG, direttamente dalla RAGIONE_SOCIALE recuperava, inoltre, le Imposte sui redditi e l’Iva relative all’accordo di rendimento minimo garantito di cui al sopra descritto contratto preliminare, in quanto il costo che esso veicolava era simulato e privo dei requisiti di cui all’art. 109 TUIR; recuperava, infine, i costi accessori relativi alle operazioni di intermediazione intercorsi con la RAGIONE_SOCIALE e con RAGIONE_SOCIALE, anche quelli ritenuti fittizi.
La CTP di Roma accoglieva il ricorso della contribuente limitatamente all’importo di euro 833.690, relativo ad una asserita prestazione di servizi. La CTR del Lazio ha respinto sia l’appello principale della contribuente, sia quello incidentale dell’Agenzia.
Il ricorso per cassazione della contribuente è affidato a cinque motivi. Nel costituirsi con controricorso, l’Agenzia ha spiegato, a sua volta, ricorso incidentale incentrato su un solo motivo.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso la contribuente adduce, a mente dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, 54 d.P.R. n. 633 del 1972, 2729 c.c., in quanto la CTR ha ritenuto la simulazione della ‘clausola di rendimento minimo garantito’ e la indeducibilità del relativo costo sulla scorta di elementi di fatto privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Con il secondo motivo di ricorso la contribuente contesta, a mente dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 109 e 107 d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), laddove la CTR ha affermato che, ai fini Ires e Irap, il costo derivante dalla clausola di rendimento minimo garantito sarebbe stato privo, nell’anno 2005, dei necessari requisiti legali di ‘esistenza certa’.
Con il terzo motivo di ricorso la contribuente censura, a mente dell’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4,
c.p.c., e dell’art. 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, per mancanza assoluta di motivazione in ordine al rilievo relativo alla ‘ indeducibilità/indetraibilità ai fini IRES, IRAP ed IVA, del costo di intermediazione ‘.
Con il quarto motivo di ricorso la contribuente si duole, a mente dell’art. 360, n. 3, c.p.c., della violazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, 54 d.P.R. n. 633 del 1972, 2729 c.c., in quanto l’affermazione di inesistenza del costo relativo alla ‘prestazione di intermediazione’ di euro 1.350.000, risulta basata su elementi privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Con il quinto motivo di ricorso la contribuente contesta, a mente dell’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., e dell’art. 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, per mancanza assoluta di motivazione sul rilievo relativo alla ‘ indetraibilità dell’IVA assolta e pagata dalla ricorrente sull’acquisto del complesso immobiliare vendutogli dalla RAGIONE_SOCIALE
Con l’ unico motivo del ricorso incidentale l’Agenzia lamenta la violazione dell’art. 109 d.P.R. n. 917 del 1986, degli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 e 54bis d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 1414 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto giustificato il costo di euro 863.690, riferito ad un incarico di due diligence , ancorché il pagamento della prestazione non sia mai avvenuto.
Il primo motivo e il secondo motivo, suscettibili di trattazione unitaria per intima connessione, sono infondati e vanno respinti.
La CTR in punto di clausola di rendimento minimo garantito ha diffusamente osservato quanto segue: la società ‘ ha ritenuto di ‘sterilizzare’ la plusvalenza positiva scaturita dall’operazione di compravendita del complesso immobiliare attraverso l’assunzione della garanzia alla promissaria acquirente di un reddito locativo annuo minimo ‘; inoltre, contemporaneamente ‘ ha erogato una
somma pari al rendimento garantito ‘, destinata ad essere ‘ trattenuta in modo definitivo per la quota parte della differenza tra il rendimento garantito ed i canoni ‘. Il giudice d’appello evidenzia, poi, che i costi correlati all’operatività della clausola, i quali ‘ realizzano costi futuri ‘, non sono stati imputati come invece previsto dal principio di competenza -nell’anno in cui ne è divenuta ‘ certa l’esistenza ‘; poiché essi non erano ancora determinabili ‘ in modo obiettivo ‘, nel relativo ammontare, la clausola non ha potuto operare secondo la sua funzione. La CTR ha anche puntualizzato che è il contribuente, in linea di principio, a dover provare l’inerenza dei costi, quindi la loro funzionalità alla produzione di ricavi.
Appare evidente che la C.T.R. abbia compiuto un accertamento di fatto, esercitando un sindacato di merito sulla pretesa fiscale. L’ambizione dell a società di ottenere una più appagante rivisitazione del merito in parola traligna il paradigma del vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., volgendolo a finalità eccentriche rispetto alla sua connotazione.
In tal senso non vi è alcuna violazione di legge, posto che le componenti negative sono deducibili, anche ai sensi dell’art. 109 TUIR di cui si contesta la violazione, proprio nell’anno in cui esse acquistano ‘certezza’, giacché, in caso contrario, si rimetterebbe all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo d’imposta più vantaggioso per operare la deduzione, snaturando proprio quella regola espressa dal principio di competenza per l’individuazione dell’esercizio cui imputare i componenti del reddito, che rappresenta invece criterio inderogabile e oggettivo per determinare il reddito d’impresa.
Il terzo motivo è infondato.
In tema di processo tributario è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la sentenza della CTR completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse
dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle, tanto da rendere impossibile l’individuazione del ” thema decidendum ” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. n. 28113 del 2013; Cass. n. 15884 del 2017; Cass. n. 24452 del 2018). La motivazione è viziata a tal punto da travolgere la pronuncia solo in quanto riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento. Detto criterio logico in realtà è enucleato nel caso di specie dacché la CTR, sui compensi su cui s’incentra la censura avanzata col terzo mezzo di ricorso, si è pronunciata sulla scorta di una motivazione che ben lascia cogliere la propria ratio decidendi , avendo sufficientemente evidenziato che il costo asseritamente sostenuto non è corroborato da elementi che consentano di apprezzarne la riconducibilità al perimetro di svolgimento di un’attività intermediaria-finanziaria.
Il quarto motivo è infondato.
La CTR ha compiuto un accertamento di fatto, mettendo in risalto, nel proprio libero sindacato, gli elementi di prova che sono parsi ad essa più attendibili.
Come chiarito da questa Corte spetta unicamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (Cass., 13 giugno 2014, n. 13485; Cass., 15 luglio 2009, n. 16499).
Questa Corte ha anche chiarito che, in sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass. n. 3541 del 2020).
In altri termini, la violazione delle norme sulle presunzioni è censurabile, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., solo ‘ se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice si sia limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne l’effettiva rilevanza in una valutazione di sintesi ‘ (Cass. n. 10973 del 2017).
Non è d’altronde previsto che la CTR sia tenuta a rispondere punto su punto alle considerazioni e/o argomentazioni di parte ricorrente in ordine alla maggiore affidabilità di un elemento probatorio in luogo di un altro. Una pretesa di tal fatta ambisce -al fondo -ad una rivisitazione preclusa del merito della controversia, invero preclusa in questa sede.
Il quinto motivo è infondato.
Non si registra l’omissione motivazionale addotta dalla ricorrente in via principale.
La CTR, infatti, ha puntualmente osservato che le operazioni, ‘ tutte avvenute nello stesso giorno, e poste in essere attraverso una serie di negozi giuridici di compravendita, leasing, locazione commerciale, rinunce e compensazioni’ , tendevano all” ottenimento di indebite disponibilità finanziarie da società dello stesso gruppo’.
L’amministrazione ha contestato in modo specifico la natura simulata dell’operazione complessiva sicché alla contribuente
spettava un preciso onere di dimostrare la sussistenza, l’entità e l’inerenza del credito fatto valere in detrazione.
L’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 (secondo la quale ” è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa… “), ” in considerazione del particolare meccanismo che presiede al funzionamento dell’IVA ” deve essere ‘ letta in coerenza con quanto prescritto dagli artt. 17 e 20 della sesta direttiva del Consiglio CEE n. 77/388 e del principio affermato dalla Corte di Giustizia CEE con sentenza 13 dicembre 1989 (causa C-342/87) nel senso che il diritto alla detrazione non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, che l’imposta sia effettivamente dovuta e, cioè, corrispondente ad operazione effettivamente soggetta all’IVA (Cass. n. 11110 del 2003; Cass. n. 8959 del 2003; Cass. n. 12756 del 2002; Cass. 13222 del 2001).
In buona sostanza, nella determinazione dell’IVA, la detrazione di cui all’art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non si relaziona alla formale corresponsione dell’imposta, che il soggetto passivo afferma a sua volta assolta o dovuta per l’acquisto di beni o servizi nell’esercizio dell’impresa, ma richiede che l’IVA sia effettivamente dovuta e cioè corrispondente ad operazioni effettivamente poste in essere e ad essa soggette, in coerenza con quanto prescritto dagli artt. 17 e 20 della sesta Direttiva del Consiglio CEE n. 77/388 e del principio affermato dalla Corte di giustizia CEE con sentenza 13 dicembre 1989 (causa C-342/87); a tal fine, e secondo la previsione dell’art. 54 del d.P.R. cit., pur a fronte della regolarità formale della contabilità, l’amministrazione può contestare la fittizietà delle operazioni e l’inattendibilità delle scritture contabili e delle fatture utilizzate dal contribuente per le operazioni passive,
ancorché sulla base di presunzioni semplici, spettando perciò al contribuente la prova sulla verità e inerenza delle medesime operazioni.
Sulla base di tali principi, ai quali il Collegio intende dare continuità, deve escludersi che il giudice di appello sia incorso nel prospettato vizio di violazione di legge.
Il motivo unico di ricorso incidentale è fondato e va accolto.
L’art. 109 d.P.R. n. 917 del 1986 (cd. TUIR) consente di dedurre ricavi, spese e altri componenti negativi nell’esercizio in cui si verificano le condizioni della certezza della loro esistenza e della determinabilità. Ai fini della deducibilità, l’onere di provare la sussistenza dei requisiti di certezza e determinabilità delle componenti negative del reddito in un determinato esercizio sociale incombe su chi assume d’aver sostenuto i costi; il contribuente, pertanto, è tenuto a dimostrare e documentare l’esistenza e la natura di detti costi e i relativi fatti giustificativi.
Nel caso di specie, assiomaticamente la CTR ha affermato che è ‘ corretta la valutazione operata in primo grado dalla CTP ‘, riferendosi l’importo di euro 883.690 a un ‘ compenso per intermediazione finanziaria ‘.
Il giudice d’appello, trascurando il riparto degli oneri probatori, ha tralasciato di scandagliare alcuni profili addotti dall’Agenzia in costanza di giudizio, tra i quali: la circostanza che la società Monte Rosa per il 2005 avesse presentato una dichiarazione con elementi positivi di reddito pari all’irrisoria somma di euro 1.756,00; la mancanza di data certa nel contratto fra le società Calamatta e Monterosa; la discrasia temporale fra il contratto in virtù del quale IRG subentrava nell’attività di due diligence e la costituzione -anteriore al contratto in parola -di detta società; la datazione cronologica della prestazione; l’anteriorità dell’asserita prestazione svolta da COGNOME rispetto alla costituzione di IRG; la diversa descrizione del costo nel conto economico e nell’accordo
contrattuale, posto che se nel primo si fa menzione dell’intermediazione immobiliare, nel secondo si fa riferimento alla consulenza tecnica; l’assenza di un pagamento della prestazione. In ultima analisi, il ricorso avanzato in via principale va rigettato, mentre va accolto il ricorso avanzato in via incidentale dall’Agenzia. La sentenza dev’essere, pertanto, cassata , nei limiti del motivo accolto, e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, ivi comprese quelle della presente fase, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso avanzato dalla RAGIONE_SOCIALE in via principale; accoglie il ricorso avanzato dall’Agenzia delle Entrate in via incidentale; cassa la sentenza impugnata nei limiti di quanto accolto; rinvia la causa per un nuovo esame delle questioni trattate con il ricorso incidentale e per la regolazione delle spese del giudizio, ivi comprese quelle della presente fase, alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio.
Così deciso in Roma, il 23/10/2024.