Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11189 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11189 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE sedente in Valbrembo, in persona del legale rappresentante, con avv. NOME COGNOME;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato;
–
contro
ricorrente –
Avverso la sentenza della CTR della Lombardia-Brescia, n. 2217/67/2015 depositata il 18 maggio 2015.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.A seguito di apposita verifica fiscale, l’Agenzia recuperava a tassazione varie voci di costo, fra cui (oltre a una serie di provvigioni e altro) il compenso ad amministratore rappresentato da riaddebito da parte della capogruppo danese RAGIONE_SOCIALE alla controllata italiana della differenza tra il prezzo di mercato delle
TRIBUTI
azioni opzionate e il costo sopportato dal dipendente (cd. strike price), differenziale considerato non inerente ai sensi dell’art. 109 TUIR in ragione dell’assenza dei relativi presupposti, tra cui l’assenza di rapporto di lavoro al momento della stipula della stock option; della sottoscrizione del piano da parte della controllata italiana e dell’assenza della delibera assembleare relativa al riconoscimento del compenso ai sensi dell’art. 2389 c.c.
La CTP, con sentenza n. 38/2013, accoglieva parzialmente il ricorso della contribuente, ma appunto rigettava lo stesso in relazione alla ripresa dei costi inerenti alla suddetta stock option, per cui la stessa proponeva ricorso in appello.
La CTR, con la sentenza impugnata, confermava la pronuncia di primo grado.
Ricorre quindi la contribuente con un unico motivo, mentre l’Agenzia resiste a mezzo di controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.Pregiudizialmente occorre prendere in esame l’eccezione di inammissibilità del ricorso per sua tardività.
Va premesso che pacificamente la sentenza d’appello venne depositata il 18 maggio 2015, mentre il ricorso è stato consegnato all’UNEP in data 19 dicembre 2015, entrambi giorni feriali.
Va altresì premesso che il giudizio di primo grado venne introdotto successivamente al 18 giugno 2009, risultando che le controdeduzioni in sede di p.v.c. vennero depositate all’Agenzia il 9 settembre 2009 e il procedimento di accertamento con adesione venne chiuso infruttuosamente il 5 dicembre 2011.
Così pure va ricordato che la sospensione feriale dei termini di cui all’art. 1 l. 7 ottobre 1969, n. 742, individuata nel periodo tra il 1° e il 31 agosto, si applica a partire dall’anno 2015, come stabilito dall’art. 16, d.l. n. 132/2014.
Orbene l’osservanza del termine decadenziale in capo al soggetto notificante deve essere riguardato con riferimento al momento in
cui egli consegna all’ufficiale giudiziario l’atto per la notifica, restando a tali effetti irrilevante la data di perfezionamento per il soggetto destinatario. Va anche richiamato l’orientamento della Corte secondo cui i termini determinati ‘ad anni’ o a ‘mesi’, come quelli stabiliti dall’art. 327 c.p.c. per impugnare, si computano secondo il calendario comune (art. 155 cod. proc. civ.), cioé secondo il calendario gregoriano non ex numero sed ex numeratione dierum ; dunque, il dies a quo va escluso dal calcolo e la scadenza si ha all’ultimo istante del giorno, mese ed anno corrispondente a quello in cui il fatto si sia verificato (Cass. 14/03/1962, n. 499 ed altre; da ultimo Cass. 35570/23).
Dunque, al termine di decadenza semestrale dev’essere aggiunto il periodo di sospensione di trentuno giorni (dal 1° al 31 agosto), e conseguentemente l’ultimo giorno utile era il 19 dicembre (18 novembre più trentuno giorni), e dunque il ricorso è tempestivo.
Va quindi esaminato l’unico motivo.
Con esso si denuncia violazione degli artt. 109 TUIR, 2364 e 2389, cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ritiene che manchino nella specie i presupposti per la deducibilità dei compensi, cioè l’essere questi ultimi o prestabiliti dallo statuto o deliberati dall’assemblea dei soci.
A parere della ricorrente invece, sarebbe sufficiente l’accordo tra le società per il distacco dello COGNOME presso la società contribuente e poi quello ulteriore con cui al distaccato COGNOME è stata attribuita la ‘stock option’ in questione, col che sarebbero da ritenersi presenti i requisiti di certezza e obiettiva determinazione.
2.1. Il motivo è inammissibile, dal momento che con ciò il ricorrente disconosce il valore attribuito dal giudice del merito agli elementi probatori acquisiti al processo (che peraltro si è conformato all’orientamento sul punto di questa Corte, ex plurimis Cass. n. 5763/21), su cui si basa l’accertamento in fatto svolto dalla CTR.
2.Il ricorso è dunque inammissibile, con aggravio di spese in capo alla ricorrente soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 5600,00, oltre spese prenotate a debito.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2025