Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17373 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17373 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 2332/2021 R.G.) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , con sede in Trapani, alla INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Trapani, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che rappresenta e difende la società stessa, giusta procura speciale in calce al ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzo p.e.c.: ‘ EMAIL) ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata ‘ ope legis ‘ presso gli uffici di quest’ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL) ;
-controricorrente –
n. 2332/2021 R.G.
COGNOME
Rep.
A.C. 13 marzo 2025
–
IRAP, IRES e IVA Redditi d’impresa Costi deducibili.
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia n. 3361/9/2020, pubblicata il 22 giugno 2020;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 13 marzo 2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- Con sentenza n. 414/03/2015 la Commissione Tributaria Provinciale (d’ora innanzi CTP) di Trapani rigettava l’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2007, relativo al recupero a tassazione di costi dedotti dalla società ricorrente con riguardo a fatture emesse dall’Associazione Sportiva dilettantistica ‘ RAGIONE_SOCIALE (dal 2006 ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ ) per un totale di €. 50.000,00 (euro cinquantamila/00), al netto dell’IVA.
Con sentenza n. 413/03/2015 la medesima CTP rigettava l’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento riguardante l’anno di imposta 2009 relativo al recupero a tassazione di costi dedotti dalla società ricorrente con riguardo a fatture emesse dal l’ Associazione Sportiva RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (dal 2006 ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ ) per un totale di €. 40.000,00 (euro quarantamila/00), al netto dell’IVA.
Infine, con sentenza n. 412/03/2015 la CTP di Trapani rigettava l’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento riguardante l’ anno di imposta 2008 relativo al recupero a tassazione di costi dedotti dalla società ricorrente con riguardo a fatture emesse dell’ Associazione Sportiva RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (dal 2006 ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ ) per un totale di €. 39.800,00 (euro trentanovemilaottocento/00), al netto dell’IVA.
I primi giudici, nelle menzionate sentenze, aventi ad oggetto identiche fattispecie, ritenevano che correttamente l’Agenzia delle Entrate aveva ripreso a tassazione i suddetti importi, in quanto dagli atti era emerso che la suindicata associazione era una RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, sicché legittimamente era stato ritenuto applicabile il disposto di cui all’art. 4 del d.m. n. 473 del 26 novembre 1999 e che la società contribuente non aveva comprovato l’esistenza delle operazioni ed il pagamento delle relative fatture ai sensi dell’art. 109 del TUIR.
2.- La Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, investita da separati appelli proposti dalla contribuente e di cui veniva disposta la riunione, li respingeva con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, affermando che: « Va premesso che in forza dei suindicati avviso di accertamento impugnati l’Agenzia delle Entrate dopo avere acquisito la documentazione relativa alla natura della “RAGIONE_SOCIALE” (dal 2006 “RAGIONE_SOCIALE“) nonché chiesto alla società contribuente l’esibizione della documentazione a dimostrazione dei pagamenti effettuati in favore delle menzionata associazione ha correttamente ripreso a tassazione i costi in esame. A fronte delle generiche contestazioni di parte ricorrente la commissione di primo grado, nelle menzionate sentenze, con argomentazioni pienamente condivisibili che in questa sede devono intendersi integralmente richiamate, ha ritenuto comprovato che la “RAGIONE_SOCIALE” era una ADS e che non risultava osservato il disposto di cui all’art. 4 del D.M. citato relativo alle “Modalità di effettuazione dei versamenti e dei pagamenti e procedure di controllo” (riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche ivi comprese quelle non riconosciute dal CONI) in forza del quale: “I versamenti non inferiori a L. 100.000 effettuati a favore di società e associazioni sportive dilettantistiche di cui al presente regolamento, comprese le erogazioni di cui al precedente articolo, i contributi a qualsiasi titolo corrisposti, le quote associative e i proventi che non concorrono a formare il reddito imponibile di cui all’articolo 1, comma 3, sono eseguiti tramite conti correnti bancari o postali intestati all’associazione sportiva o mediante carte di credito o bancomat. 2. I pagamenti non inferiori a L. 100.000 effettuati dalle società e dalle associazioni di cui al presente regolamento per operazioni inerenti l’attività istituzionale, compresi i pagamenti dei compensi di cui all’articolo 2, sono eseguiti con le modalità previste dal comma 1. 3. I pagamenti o i versamenti non inferiori a L. 100.000 effettuati con modalità diverse da quelle previste nei precedenti commi concorrono in ogni caso, rispettivamente, a formare il reddito del percipiente e sono indeducibili nella determinazione del reddito del soggetto erogante e, qualora trattasi di associazioni che si avvalgono delle disposizioni della legge n. 398 del 1991, comportano la decadenza dalle agevolazioni previste dalla legge medesima”. La C.T.P. ha pure chiarito che non risultava prova della
effettiva sussistenza delle prestazioni e dell’intervenuto pagamento, apparendo, conseguentemente, legittimo l’accertamento dell’ufficio impositore. Rileva questa commissione che la società appellante, del tutto infondatamente, nei tre atti di appello deduce un vizio di ultrapetizione non confrontandosi in alcun modo con il tenore generale della argomentazioni dei primi giudici i quali hanno chiarito che, in ultima analisi, non sussisteva prova della effettività del costo dedotto dalla società contribuente. ».
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , la contribuente società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
4.L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 25, comma 5, l. n. 133 del 1999, in base al quale la disposizione di cui all’art. 4 d.m. n. 473 del 1999 non sarebbe più applicabile e, pertanto, in caso di inosservanza dell’obbligo della tracciabilità , non sarebbe più possibile procedere al disconoscimento della deducibilità dei costi in capo ai soggetti eroganti, né del regime di esenzione IRPEF per coloro che percepiscono somme corrisposte da A.SRAGIONE_SOCIALE.. L’art. 25, comma 5, infatti, comporta solo la sanzione della decadenza dalle agevolazioni per le A.S.D. e le sanzioni amministrative. A sostegno di tale interpretazione, la ricorrente invoca la risoluzione n. 45/E del 2015 dell’Agenzia delle Entrate.
2.- La censura è fondata.
L’art. 25, comma 5, l. n. 133 del 1999 – nel testo risultante a seguito della riscrittura operatane dall’art. 37, comma 2, lett. a), l. n. 342 del 2000 applicabile nella specie ratione temporis – prevede che « i pagamenti a favore di società, enti o associazioni sportive dilettantistiche di cui al presente articolo e i versamenti da questi effettuati sono eseguiti, se di importo pari superiore a 1.000.000 di lire, tramite conti correnti bancari o postali a loro intestati ovvero secondo altre modalità idonee a consentire all’amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli, che possono essere stabilite con decreto del Ministro delle finanze da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. L’inosservanza della presente disposizione comporta la decadenza dalle
agevolazioni di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398, e successive modificazioni, recante disposizioni tributarie relative alle associazioni sportive e l’applicazione delle sanzioni previste dall’articolo 11 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, recante riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi ».
Sulla base del tenore letterale della norma, dunque, del tutto corretta risulta la ricostruzione operata dalla ricorrente e secondo cui, all’esito delle modificazioni introdotte mediante la l. n. 342 del 2000, il sistema sanzionatorio applicabile in caso di inosservanza delle forme valevoli a permettere la tracciabilità del pagamenti e versamenti, è suscettibile di essere rinvenuto esclusivamente nel comma 5 dell’art. 25 l. n. 133 del 1999 già sopra menzionato e comporta , a carico dell’associazione sportiva, la decadenza dalle agevolazioni di cui alla l. n. 398 del 1991 e l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 11 d.lgs. n. 471 del 1997.
Per contro, l’interpretazione della CTR si traduce in una sanzione, non prevista dalla norma, a carico del soggetto che abbia erogato il pagamento a ll’associazione , il quale perderebbe il diritto alla deduzione dei costi a causa della violazione di una regola di forma (il mezzo di pagamento).
Questa Corte regolatrice, peraltro, con espresso riguardo ad una A.S.D. sponsorizzata, ha affermato che l’art. 25 l. n. 133 del 1999 si limita a prescrivere che gli emolumenti da corrispondere in favore degli enti associativi, che godono del regime agevolativo di cui alla l. n. 398 del 1991, siano effettuati tramite « conti correnti bancari o postali a loro intestati ovvero secondo altre modalità idonee a consentire all’amministrazione finanziaria lo svolgimento di efficaci controlli », ma null’altro aggiunge ai fini della loro tracciabilità, subordinando la perdita del diritto alla agevolazione alla dimostrazione che il Fisco non è stato in grado di tracciare il pagamento (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 16751 del 9 agosto 2016, Rv. 641064-01). A maggior ragione, in un’ipotesi come quella in esame in cui si fa questione dei costi sostenuti per una convenzione pubblicitaria (cfr., al riguardo, il ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, a pag. 3, nonché il controricorso dell’amministrazione finanziaria, a pag. 6), le modalità di pagamento non possono escludere la deducibilità di tali costi.
Né, del resto, poteva trovare applicazione, con riguardo alla fattispecie in esame, il disposto dell’art. 4 del d.m. 26 novembre 1999, n. 473.
Ed invero, va evidenziato che tale decreto ministeriale è stato emanato in attuazione del comma 7 dell’art. 25 l. n. 133 del 1999, ai sensi del quale « Con decreto del Ministro delle finanze, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge sono stabilite le procedure di controllo, richiedendo anche la necessaria documentazione di tipo bancario per le operazioni inerenti all’attività istituzionale svolta dalle società sportive dilettantistiche e per i proventi alle stesse corrisposti a qualsiasi titolo, aventi ad oggetto importi non inferiori a lire 100.000, in funzione del contenimento del fenomeno dell’evasione fiscale e contributiva. ».
L’art. 4, comma 3, d.m. n. 473 del 1999 aveva disposto che « i pagamenti o i versamenti non inferiori a L. 100.000 effettuati con modalità diverse da quelle previste concorrono in ogni caso a formare il reddito del percipiente e sono indeducibili nella determinazione del reddito del soggetto erogante, e qualora trattasi di associazioni che si avvalgono delle disposizioni della legge n. 398 del 1991, comportano la decadenza dalle agevolazioni previste dalla legge medesima ».
Tuttavia, come si è già sopra chiarito, il menzionato art. 25 l. n. 133 del 1999 è stato successivamente sostituito per effetto dell’articolo 37, comma 2, lett. a), della l. 21 novembre 2000, n. 342, che ha abrogato la disposizione del comma 7 dello stesso art. 25 ed ha introdotto, al comma 5 , la disciplina compiuta degli effetti della violazione dell’obbligo di tracciabilità, che è già stata sopra delineata.
Infine, successivamente, l’art. 1, comma 713, della l. 23 dicembre 2014, n. 190, con decorrenza dal 1° gennaio 2015, ha innalzato da €. 516,46 (euro cinquecentosedici/46) a €. 1.000,00 (euro mille/00) la soglia dei pagamenti e/o versamenti alle A.S.D. soggetti all’obbligo della tracciabilità, equiparandola a quella prevista in via generale per le transazioni finanziarie.
Dal quadro normativo delineato consegue che il sistema sanzionatorio applicabile a far tempo dalla data del 1° gennaio 2000 all’esito delle modificazioni introdotte dalla l. n. 342 del 2000 – in caso di inosservanza della tracciabilità dei pagamenti e versamenti, è rinvenibile
esclusivamente nel comma 5 dell’art. 25 l. n. 133 del 1999 e comporta, a carico dell’associazione sportiva, la decadenza dalle agevolazioni della legge n. 398 del 1991 e l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 11 del d.lgs. n. 471 del 1997.
Ne deriva, pertanto, che in ragione della nuova formulazione dell’art. 25, comma 5, la disposizione ex art. 4 d.m. n. 473 del 1999 non era, in alcun modo, applicabile alla fattispecie in esame e non era dunque possibile procedere al disconoscimento della deducibilità dei costi in capo alla società contribuente, quale soggetto erogante il pagamento.
3.- Con il secondo (e ultimo) motivo, la società contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c..
Sostiene, infatti, che la CTR sarebbe andata ultra petitum laddove ha affermato che: « La C.T.P. ha pure chiarito che non risultava prova della effettiva sussistenza delle prestazioni e dell’intervenuto pagamento, apparendo, conseguentemente, legittimo l’accertamento dell’ufficio impositore. Rileva questa commissione che la società appellante, del tutto infondatamente, nei tre atti di appello deduce un vizio di ultrapetizione non confrontandosi in alcun modo con il tenore generale della argomentazioni dei primi giudici i quali hanno chiarito che, in ultima analisi, non sussisteva prova della effettività del costo dedotto dalla società contribuente. ».
E ciò, in quanto la contestazione concerneva esclusivamente l’applicazione dell’ art. 4 d.m. n. 473 del 1999.
4.- Anche tale censura è fondata.
Ed invero, dalla lettura e disamina degli atti prodotti (consistenti nell’originario ricorso della contribuente e nella sentenza di primo grado) , può agevolmente desumersi come a sostegno degli atti impositivi impugnati l’amministrazione finanziaria avesse posto esclusivamente la violazione dell’art. 4 d.m. n. 473 del 1999 .
Nondimeno, pur a fronte di tale motivazione degli avvisi di accertamento, la CTR ha realizzato un’ estensione del proprio sindacato, giungendo ad affermare l’assenza di prova dei costi che la contribuente aveva affermato aver sostenuto e di cui aveva invocato la deducibilità.
Così facendo, dunque, la CTR ha violato il principio secondo cui le ragioni poste a base dell’atto impositivo segnano i confini del processo tributario, il cui carattere impugnatorio comporta che l’ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse da quelle fatte valere con l’atto impugnato ed è pervenuta, quindi, a consentire un’indebita integrazione della motivazione degli atti impositivi di cui si tratta (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. 6-5, ordinanza n. 12400 del 21 maggio 2018, Rv. 648519-01).
Del resto, è appena il caso di rammentare il principio secondo cui quando col ricorso per cassazione venga denunciato un error in procedendo (qual è senz’altro la violazione dell’art. 112 c.p.c.) , sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione sul punto, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda (cfr., in tal senso ed ex multis , Cass. civ., Sez. 2, sentenza n. 134 dell’8 gennaio 2020, Rv. 656823-01).
5.Dalle considerazioni finora sviluppate, deriva, dunque, l’accoglimento del ricorso.
6.- Deve, conseguentemente, disporsi, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può senz’altro essere decisa nel merito, con accoglimento degli originari ricorsi proposti dalla società contribuente.
7.- Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della controricorrente e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono, invece, in ragione dell’andamento del giudizio, motivi idonei a giustificare l’integrale compensazione delle spese relative ai gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie gli originari ricorsi della contribuente RAGIONE_SOCIALE dichiara interamente compensate le spese relative ai gradi di
merito; condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in €. 5.900,00 per compensi, €. 200,00 per esborsi , oltre rimborso forfettario nella misura del 15% del compensi ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,