Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23393 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23393 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30038/2018 R.G. proposto da
NOME , rappresentato e difeso da ll’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, come da procura speciale in calce al ricorso;
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-resistente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale RAGIONE_SOCIALE Marche n. 364/06/2018, depositata l’8.06.2018 .
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 29 maggio 2024.
RILEVATO CHE
La CTP di Pesaro accoglieva parzialmente il ricorso proposto da COGNOME COGNOME avverso l’avviso di accertamento, per imposte
Oggetto:
Tributi
dirette e IVA, in relazione all’anno d’imposta 20 07, con il quale venivano recuperati a tassazione costi ritenuti indeducibili;
con la sentenza in epigrafe indicata la CTR RAGIONE_SOCIALE Marche accoglieva parzialmente l’appello proposto dal predetto contribuente, annullando il recupero ai fini IRAP e contributi;
dalla sentenza della CTR si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
-la disciplina del cd. raddoppio dei termini, ratione temporis applicabile, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, non essendo applicabile agli avvisi notificati entro il 2.09.2015 la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 128 del 2015;
-la presunzione legale assoluta di cui all’art. 90, comma 8, della l. n. 289 del 2002 non esonera il contribuente dall’onere di provare l’effettività della spesa, ove l’Ufficio abbia dimostrato, anche mediante presunzioni semplici, che la stessa sia inesistente;
-l’Ufficio aveva indicato, nella specie, elementi sufficienti (in termini di presunzioni semplici) a dimostrare l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni (la genericità dei contratti, l’assenza di prova dell’effettività RAGIONE_SOCIALE prestazioni, la divergenza tra prestazioni fatturate e contratto, l’ incongruità rispetto ad altre spese di sponsorizzazione riguardanti altre imprese o altre annualità);
il contribuente , invece, a fronte dell’elevato importo del costo, si era limitato a richiamare elementi, quali il contratto, la fattura, il pagamento mediante bonifico, non idonei a vincere il quadro presuntivo fornito dall’Ufficio;
dalle fotografie prodotte non si riusciva a desumere un nesso tra le immagini e le prestazioni asseritamente eseguite;
-il ricorrente non aveva dimostrato che l’erogazione eseguita non fosse, in concreto, ‘ altro che un atto di liberalità, scollegato da qualsivoglia finalità imprenditoriale ‘;
il contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi;
-l ‘RAGIONE_SOCIALE si costituiva al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per error in iudicando , violazione e falsa applicazione degli artt. 90, comma 8, della l. n. 289 del 2002 e 2728 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente sostenuto che, nonostante il costo di sponsorizzazione fosse inerente, congruo e costituisse una presunzione legale assoluta, il contribuente non ne aveva dimostrato l’effettività, senza esaminare la documentazione attestante l’effettività dei pagamenti e della spesa, che aveva prodotto in giudizio; precisa che la presunzione legale assoluta lo esonerava dall’onere probatorio riguardante la deducibilità della spesa e di essere stato assolto in sede penale dal reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in relazione all’anno 2009;
con il secondo motivo, denuncia la nullità della sentenza impugnata per error in iudicando , violazione dell’art. 132 , comma 1, n. 4 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per non avere la CTR esaminato la sentenza penale n. 253 del 2017, emessa dal Tribunale di Pesaro in data 31.10.2017, che ha assolto il contribuente dal reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE,
prodotta nel giudizio di appello , dalla quale si evinceva l’effettività RAGIONE_SOCIALE operazioni relative alle fatture contestate;
-i predetti motivi, che per connessione vanno esaminati unitariamente, sono infondati;
occorre premettere che, in generale, ‘in tema d’imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 108 (ex 74, comma 2) del d.P.R. n. 917 del 1986, costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese di pubblicità o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta. Ne consegue che le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, deducibili nei limiti della norma menzionata, ove il contribuente non provi che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta aspettativa di ritorno commerciale ( ex plurimis , Cass. n. 21877 del 28/10/2015);
– a questa regola deroga l’art. 90, comma 8, della legge n. 289 del 2002 (nel testo vigente ratione temporis) , secondo il quale ‘Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di RAGIONE_SOCIALE, associazioni RAGIONE_SOCIALE fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonchè di associazioni RAGIONE_SOCIALE scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni RAGIONE_SOCIALE o da enti di promozione RAGIONE_SOCIALE costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell’articolo 74, comma 2, del testo unico RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917′;
-secondo un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, la citata disposizione ha introdotto, a favore del “soggetto erogante” il corrispettivo, una presunzione legale assoluta circa la natura pubblicitaria (e non di rappresentanza) RAGIONE_SOCIALE spese di sponsorizzazione, a condizione che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine RAGIONE_SOCIALE dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale (Cass. 7.06.2017, n. 14232), senza che rilevino requisiti ulteriori ( ex plurimis , Cass. 1.02.2022, n. 2985);
il legislatore ha, dunque, stabilito una presunzione assoluta di deducibilità del costo, sotto il profilo dell’inerenza e della congruità RAGIONE_SOCIALE sponsorizzazioni rese a favore di imprese o associazioni RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, laddove risultino soddisfatti i requisiti sopra indicati, ossia che i corrispettivi erogati siano destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante e sia riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima (Cass., 19 gennaio 2018, n. 1420; Cass., 6 maggio 2019, n. 11797; Cass., 15 gennaio 2020, n. 8540), essendo in tal caso integralmente deducibili tali spese dal soggetto sponsor (Cass., 27 luglio 2021, n. 21452);
la presunzione prevista dalla richiamata disposizione non riguarda, quindi, l’effettività del costo;
-nella specie, l’RAGIONE_SOCIALE ha contestato l’effettiva corresponsione di tali somme da parte del contribuente e la loro destinazione alla promozione dell’immagine e dei prodotti del soggetto erogante;
la CTR si è attenuta ai principi sopra esposti, in quanto non ha escluso l’inerenza e la congruità dei predetti costi, ma la loro effettività, avendo ritenuto che l’Ufficio avesse dimostrato, sulla base
di presunzioni semplici, la loro inesistenza o, comunque, la loro mancata destinazione alla promozione dell’immagine e dei prodotti dell’impresa erogante che, a sua volta, non aveva fornito, come era suo onere, idonea prova contraria;
– per quanto riguarda, in particolare, la asserita omessa valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze del procedimento penale e del suo esito (si tratta della sentenza di assoluzione n. 253/2017, emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Pesaro, a seguito di giudizio abbreviato, prodotta dal ricorrente, in allegato al ricorso per cassazione), occorre ribadire il principio secondo il quale ‘ La sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perché il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare’ ( ex multis , Cass. n. 17258 del 27/06/2019);
– non va dimenticato, invero, che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Cass. n. 16262 del 28/06/2018);
il giudice di appello ha seguito anche i suddetti principi, in quanto ha disatteso l’esito del procedimento penale, avendo ritenuto fondata la pretesa fiscale e la riconducibilità della stessa all’odierno ricorrente, secondo i parametri stabiliti in ambito tributario;
-ogni ulteriore critica mossa dal contribuente in ordine all’accertamento effettuato dalla CTR risulta inammissibile, in quanto mira, in realtà, a rimettere in discussione la stessa valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie operata dal giudice di merito, non ammissibile nel giudizio di legittimità;
con il terzo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per error in iudicando , violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per motivazione apparente e palesemente contraddittoria, in quanto, sebbene la CTR abbia affermato che le spese di pubblicità erano congrue e inerenti, ha poi rigettato l’appello del contribuente ritenendo che le stesse non fossero state provate e che non fosse stato provato che l’erogazione eseguita non era altro che un atto di liberalità, scollegato dall’attività imprenditoriale;
il motivo è infondato;
è stato più volte affermato che ‘la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture ‘ (Cass., Sez. U. 3.11.2016, n. 22232);
la motivazione della sentenza impugnata non rientra affatto nei paradigmi invalidanti indicati nel citato, consolidato e condivisibile, arresto giurisprudenziale, in quanto indica, in maniera sintetica, ma
comprensibile, le ragioni sulla base RAGIONE_SOCIALE quali la CTR ha ritenuto non deducibili le spese di sponsorizzazione contestate dall’Amministrazione finanziaria, laddove spiega che il contribuente non aveva dimostrato, come era suo onere, di averle effettivamente sostenute, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
con il quarto motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per error in iudicando , per falsa applicazione degli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 e l. n. 208 del 2015, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., lamentando una disparità di trattamento in ordine all’applicabilità del cd. raddoppio dei termini dell’accertamento, in presenza di una violazione fiscale che imponga l’obbligo di denuncia per un reato fiscale , per gli avvisi di accertamento notificati prima dell’entrata in vigore della modifica legislativa;
anche questo motivo è infondato;
in base all’art. 37, comma 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, che ha modificato il terzo comma dell’art. 43, del d.P.R. n. 600 del 1973, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen., per uno dei reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione;
come già affermato da questa Corte, «in tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di
denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza» , come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31.12.2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; Cass. n. 26037 del 2016);
è estraneo, pertanto, al perimetro del presente giudizio lo ius superveniens , consistente nelle modifiche introdotte, dapprima, dall’art. 2, primo e secondo comma, del d.lgs. 3 agosto 2015, n. 128, che ha limitato il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, e, in seguito, dall’art. 1, commi da 130 a 132, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno, tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari; la prima modifica, infatti, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dall’art. 2, d.lgs. n. 128 del 2015, non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, come è avvenuto nella fattispecie in esame, in cui la notifica dell’avviso di accertamento, relativo all’anno 200 7, è intervenuta in data 17.02.2015;
quanto alla seconda modifica, invece, il regime transitorio previsto dalla legge n. 208 del 2015, per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132,
opera, nel caso RAGIONE_SOCIALE indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’Amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 3, secondo comma, del d.lgs. n. 128 del 2015, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’RAGIONE_SOCIALE fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (Cass. 16/12/2016, n. 26037; 9/08/2016, n. 16728);
la CTR ha fatto corretta applicazione anche RAGIONE_SOCIALE norme sopra richiamate;
in conclusione, il ricorso va rigettato;
-nulla sulle spese nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, non avendo la stessa svolto difese;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 29 maggio 2024.