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Deducibilità costi sponsorizzazione: la prova spetta a te

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23403/2024, ha stabilito che la presunzione legale sulla deducibilità dei costi di sponsorizzazione a favore di associazioni sportive dilettantistiche non esonera il contribuente dall’onere di provare l’effettiva esistenza della prestazione. Anche in presenza di un’assoluzione in sede penale, il giudice tributario può ritenere indeducibili i costi se l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi sulla loro inesistenza e il contribuente non offre una prova contraria adeguata.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deducibilità Costi Sponsorizzazione: La Prova di Effettività è Cruciale

La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 23403/2024 offre un’importante lezione per le imprese sulla deducibilità costi sponsorizzazione. Anche quando la legge prevede una presunzione di deducibilità, come nel caso delle sponsorizzazioni a favore di associazioni sportive dilettantistiche, spetta sempre all’azienda dimostrare che l’operazione è realmente avvenuta. Vediamo nel dettaglio i contorni di questa vicenda e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un contribuente per l’anno d’imposta 2006. L’Amministrazione Finanziaria contestava la deducibilità di ingenti costi per sponsorizzazioni, recuperando a tassazione le relative imposte dirette e l’IVA.
Il contribuente si era opposto, forte della presunzione legale di cui all’art. 90 della legge 289/2002, che qualifica come spese di pubblicità (e quindi interamente deducibili entro certi limiti) i corrispettivi erogati a favore di società e associazioni sportive dilettantistiche.

La Commissione Tributaria Regionale, pur accogliendo parzialmente l’appello del contribuente su altri punti, aveva confermato il recupero dei costi di sponsorizzazione. Secondo i giudici di merito, l’Agenzia delle Entrate aveva fornito sufficienti elementi presuntivi per dubitare dell’esistenza stessa delle operazioni (contratti generici, assenza di prove sull’effettività delle prestazioni). Di contro, il contribuente non era riuscito a fornire una prova contraria convincente, limitandosi a produrre il contratto, la fattura e la prova del pagamento, elementi ritenuti non sufficienti a vincere il quadro indiziario dell’Ufficio.

La Presunzione sulla Deducibilità Costi Sponsorizzazione Non Basta

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella corretta interpretazione della presunzione legale. I giudici hanno chiarito un punto fondamentale: la presunzione prevista dall’art. 90, comma 8, della legge 289/2002 riguarda la natura della spesa, non la sua effettività.

In altre parole, la norma stabilisce che, se i requisiti sono rispettati (soggetto sponsorizzato dilettantistico, limite di importo, ecc.), quella spesa va considerata come pubblicità e non come spesa di rappresentanza (soggetta a limiti di deducibilità più stringenti). Tuttavia, questa presunzione non solleva il contribuente dall’onere probatorio di dimostrare che il costo sia reale, certo e che la prestazione di sponsorizzazione sia stata effettivamente eseguita.

Quando l’Amministrazione Finanziaria contesta l’esistenza stessa dell’operazione, presentando indizi validi (come nel caso di specie), la palla torna al contribuente, che deve fornire prove concrete e idonee a dimostrare la veridicità dell’operazione sponsorizzata.

L’Irrilevanza dell’Assoluzione Penale nel Giudizio Tributario

Un altro motivo di ricorso del contribuente si basava su una sentenza penale di assoluzione dal reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, pronunciata con la formula “perché il fatto non sussiste”. Il ricorrente sosteneva che tale sentenza dovesse vincolare il giudice tributario.

La Cassazione ha respinto anche questa argomentazione, ribadendo il consolidato principio della separazione tra giudizio penale e tributario. Una sentenza di assoluzione, anche con formula piena, non ha efficacia automatica di giudicato nel processo fiscale. Questo perché i due processi si basano su regole e standard probatori differenti: nel processo penale vige la regola della prova “oltre ogni ragionevole dubbio”, mentre nel processo tributario sono ammesse anche le presunzioni semplici e gravi, precise e concordanti, che possono non essere sufficienti per una condanna penale ma bastare per fondare una pretesa fiscale.

Il giudice tributario, pertanto, può e deve valutare autonomamente le prove, inclusa la sentenza penale, ma come una semplice fonte di prova e non come un verdetto vincolante.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha rigettato tutti i motivi di ricorso, ritenendoli infondati. In sintesi, le motivazioni si basano sui seguenti pilastri giuridici:

1. Onere della Prova: La presunzione di cui all’art. 90 L. 289/2002 attiene alla qualificazione del costo come pubblicitario, ma non alla sua effettività. Se l’Ufficio fornisce elementi presuntivi che mettono in dubbio l’esistenza dell’operazione, spetta al contribuente fornire la prova contraria sull’effettiva esecuzione delle prestazioni.
2. Autonomia del Giudizio Tributario: La sentenza di assoluzione in sede penale non vincola il giudice tributario, che deve condurre una valutazione autonoma dei fatti e delle prove secondo le regole proprie del suo processo.
3. Coerenza della Motivazione: La Corte non ha ravvisato alcuna contraddizione nella sentenza d’appello. I giudici di merito hanno correttamente distinto tra la qualificazione astratta del costo (congruo e inerente) e la sua prova concreta, che hanno ritenuto mancante.
4. Applicazione della Legge nel Tempo: Per quanto riguarda il raddoppio dei termini di accertamento, la Corte ha confermato la sua legittimità basandosi sulla normativa applicabile ratione temporis, ovvero al momento dei fatti, rigettando le doglianze del contribuente basate su modifiche legislative successive e non retroattive.

Conclusioni

Questa ordinanza è un monito per tutte le imprese che investono in sponsorizzazioni. La deducibilità dei costi di sponsorizzazione non è automatica. Non è sufficiente avere un contratto e una fattura; è essenziale poter documentare e provare in modo inequivocabile che le attività promozionali pattuite sono state concretamente e realmente svolte. È consigliabile conservare meticolosamente ogni prova utile: materiale fotografico e video, rassegne stampa, report dettagliati sulle attività svolte, testimonianze e qualsiasi altro elemento che possa attestare l’effettiva esecuzione del contratto di sponsorizzazione. In un contenzioso tributario, una documentazione solida e ben organizzata può fare la differenza tra vedere riconosciuto un proprio diritto e subire un costoso recupero fiscale.

La presunzione legale per i costi di sponsorizzazione è sufficiente a garantirne la deducibilità?
No. La presunzione legale prevista dall’art. 90 della L. 289/2002 qualifica la spesa come ‘pubblicità’, ma non esonera il contribuente dal dover provare l’effettiva esistenza e l’avvenuta esecuzione della prestazione sponsorizzata, specialmente se contestata dall’Agenzia delle Entrate.

Una sentenza di assoluzione in un processo penale per false fatturazioni ha valore vincolante nel processo tributario?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione non ha efficacia automatica di giudicato nel processo tributario. Il giudice tributario può prenderla in considerazione come fonte di prova, ma deve valutarla autonomamente, poiché i due processi hanno regole probatorie diverse.

Cosa deve dimostrare un’azienda per dedurre i costi di sponsorizzazione se l’Agenzia delle Entrate ne contesta l’esistenza?
L’azienda deve fornire prove concrete e idonee che vadano oltre il semplice contratto, la fattura e il pagamento. Deve dimostrare l’effettiva esecuzione delle prestazioni promozionali pattuite, ad esempio tramite fotografie, report delle attività, rassegne stampa o altro materiale che attesti la veridicità dell’operazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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