LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Deducibilità costi pubblicitari: la Cassazione decide

Un imprenditore individuale si è opposto a un avviso di accertamento che contestava la deducibilità di costi pubblicitari. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che per gli accertamenti “a tavolino” non è obbligatorio il contraddittorio preventivo di 60 giorni. Inoltre, ha confermato l’indeducibilità dei costi per mancata prova dell’effettiva svolgimento dell’attività pubblicitaria e per la sproporzione della spesa rispetto al reddito.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deducibilità costi pubblicitari: la Cassazione fa il punto

La questione della deducibilità costi pubblicitari è un tema centrale nel diritto tributario d’impresa. Un’azienda può scaricare fiscalmente le spese sostenute per promuovere la propria attività, ma a quali condizioni? E quali sono i diritti del contribuente durante un controllo fiscale? L’Ordinanza n. 15582/2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su questi aspetti, analizzando il caso di un imprenditore individuale a cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato ingenti spese di sponsorizzazione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda il titolare di una ditta individuale, operante come agente nel settore delle calzature, che aveva dedotto dal proprio reddito d’impresa costi per circa 80.000 euro relativi a prestazioni pubblicitarie e di ristorazione per l’anno d’imposta 2007. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di un controllo, emetteva un avviso di accertamento recuperando a tassazione tali costi, ritenendoli non documentati, non inerenti e sproporzionati.

Il contribuente impugnava l’atto e, dopo un iter giudiziario nei gradi di merito, la Commissione Tributaria Regionale confermava l’indeducibilità della spesa di 80.000 euro per pubblicità. Secondo i giudici, era irrilevante che il contratto di sponsorizzazione fosse stato stipulato nel 2007, poiché non erano state emesse fatture a fronte di tale spesa né era stata adeguatamente provata l’effettiva attività pubblicitaria. Inoltre, la spesa appariva sproporzionata, rappresentando il 40% del reddito d’impresa dichiarato.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imprenditore si rivolgeva alla Corte di Cassazione lamentando due principali violazioni:

1. Violazione del contraddittorio preventivo: Sosteneva che l’Amministrazione Finanziaria, pur trattandosi di un accertamento “a tavolino”, avrebbe dovuto concedergli il termine di 60 giorni prima di emettere l’avviso, per consentirgli di presentare le proprie difese.
2. Errata valutazione sulla deducibilità dei costi: Contestava la decisione dei giudici di merito di considerare indeducibile la spesa per sponsorizzazione, sostenendo che i pagamenti erano stati effettuati, che i costi erano inerenti all’attività e che la loro presunta antieconomicità non poteva essere un criterio per negarne la deducibilità. Invocava anche l’applicazione di una norma agevolativa per le sponsorizzazioni a favore di istituzioni scolastiche.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo una chiara analisi su entrambi i punti sollevati. Vediamo nel dettaglio le argomentazioni dei giudici.

L’insussistenza della violazione del contraddittorio nell’accertamento “a tavolino”

Sul primo motivo, la Corte ha ribadito un principio consolidato: l’obbligo per l’amministrazione di attendere 60 giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione (p.v.c.) prima di emettere l’avviso di accertamento, previsto dall’art. 12 dello Statuto del Contribuente, si applica solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali del contribuente.

Nel caso di specie, il controllo era stato un “accertamento a tavolino”, ovvero un’analisi puramente documentale condotta presso gli uffici dell’Agenzia sulla base della dichiarazione e dei documenti già forniti dal contribuente. In queste circostanze, non essendo previsto un accesso fisico, non sorge l’obbligo di redigere un p.v.c. e, di conseguenza, non si applica il termine dilatorio di 60 giorni. La garanzia del contraddittorio non è stata quindi violata.

L’inammissibilità della censura sulla deducibilità costi pubblicitari

Il secondo motivo, relativo alla deducibilità costi pubblicitari, è stato dichiarato inammissibile per diverse ragioni.

In primo luogo, il ricorso mancava del requisito di autosufficienza. Il contribuente non aveva trascritto o allegato gli atti dei precedenti gradi di giudizio in cui avrebbe sostenuto le sue tesi, impedendo alla Corte di valutare compiutamente la fondatezza della censura.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che spetta al contribuente l’onere di provare l’effettiva esistenza e l’inerenza dei costi che intende dedurre. La valutazione compiuta dalla Commissione Tributaria Regionale – che aveva ritenuto non provata l’attività pubblicitaria e sproporzionata la spesa – costituisce un giudizio di fatto, che non può essere riesaminato in sede di legittimità. Pretendere una nuova valutazione dei fatti trasformerebbe la Cassazione in un terzo grado di merito, cosa non consentita.

Infine, l’argomento relativo all’applicabilità della presunzione di deducibilità per le sponsorizzazioni a un’istituzione scolastica è stato considerato una questione nuova, in quanto non risultava essere stato trattato nei precedenti gradi di giudizio. La Corte ha ricordato che non è possibile introdurre per la prima volta in Cassazione temi d’indagine non affrontati in precedenza.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Corte di Cassazione rafforza alcuni principi cardine del diritto tributario. Primo, le garanzie procedurali, come il termine di 60 giorni, sono strettamente legate alla tipologia di controllo effettuato: non si applicano agli accertamenti documentali “a tavolino”. Secondo, la deducibilità di un costo non dipende solo dalla sua esistenza formale (un contratto o un pagamento), ma dalla prova concreta della sua inerenza e, in certi casi, della sua congruità. L’onere di fornire tale prova grava interamente sul contribuente. Infine, il giudizio di Cassazione non è una terza istanza per rivedere i fatti, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge, e i motivi del ricorso devono essere autosufficienti e non possono introdurre questioni nuove.

In caso di accertamento fiscale “a tavolino”, l’Agenzia delle Entrate è obbligata a concedere 60 giorni al contribuente prima di emettere l’avviso?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il termine dilatorio di 60 giorni previsto dall’art. 12 dello Statuto del Contribuente si applica solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche nei locali del contribuente, non per i controlli puramente documentali effettuati presso gli uffici dell’Amministrazione Finanziaria.

Per quali motivi principali la Corte ha ritenuto indeducibili i costi pubblicitari?
La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, che avevano ritenuto indeducibili i costi perché il contribuente non aveva fornito prova adeguata dell’effettivo svolgimento dell’attività pubblicitaria e perché la spesa era stata giudicata sproporzionata rispetto al reddito d’impresa dichiarato (pari al 40% del reddito).

È possibile presentare per la prima volta in Cassazione un argomento non discusso nei precedenti gradi di giudizio?
No. La Corte ha dichiarato inammissibile la censura basata su una specifica norma agevolativa (art. 90, comma 8, legge n. 289/2002) perché la questione non risultava essere stata trattata nella sentenza impugnata né il ricorrente ha dimostrato di averla sollevata nei precedenti gradi di giudizio. Si tratta di una questione nuova, non ammissibile in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati