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Deducibilità costi: prova dell’esistenza e inerenza

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un consorzio contro un avviso di accertamento. Il caso verteva sulla deducibilità dei costi, che era stata negata dall’Agenzia delle Entrate. La Corte ha chiarito che il problema principale non era la mancanza di inerenza o l’antieconomicità delle spese, ma la totale assenza di prove sufficienti a dimostrare l’esistenza stessa dei costi contestati, rendendo impossibile la loro deduzione.

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Pubblicato il 1 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deducibilità Costi: Quando la Prova dell’Esistenza Supera quella dell’Inerenza

La corretta gestione della deducibilità costi è un pilastro fondamentale per ogni impresa. Spesso, il dibattito con il Fisco si concentra sul concetto di ‘inerenza’, ovvero sul legame tra una spesa e l’attività aziendale. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda un principio ancora più basilare: prima di poter discutere se un costo sia inerente, bisogna dimostrare in modo inequivocabile che quel costo esista davvero. Vediamo come questo principio è stato applicato in un caso concreto.

I Fatti di Causa: Una Contestazione su Costi e IVA

Un consorzio si è visto notificare un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2014, con cui venivano contestati costi ritenuti indeducibili ai fini delle imposte dirette (II.DD.) e IVA non detraibile. L’amministrazione finanziaria contestava, tra le altre cose, l’inerenza di alcune spese sostenute dalla società.

Il caso è approdato prima davanti alla Commissione Tributaria Provinciale, che ha accolto parzialmente il ricorso del contribuente, e poi alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado. Quest’ultima, riformando la decisione iniziale, ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate, confermando la ripresa a tassazione per i costi non inerenti. A questo punto, il consorzio ha deciso di portare la questione davanti alla Corte di Cassazione.

Il Motivo del Ricorso in Cassazione

Il contribuente ha basato il suo ricorso su un’unica argomentazione: a suo dire, il giudice d’appello avrebbe erroneamente negato la deducibilità costi basandosi su una valutazione di antieconomicità e non congruità della spesa, senza aver prima compiuto la necessaria analisi qualitativa sull’inerenza del costo rispetto all’attività svolta. In pratica, il consorzio sosteneva che il Fisco non può negare la deduzione di un costo solo perché lo ritiene ‘troppo alto’ o ‘sconveniente’.

Le Motivazioni della Suprema Corte sulla Deducibilità Costi

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ma per una ragione che sposta completamente il focus del problema. I giudici hanno chiarito che la ratio decidendi, ovvero il vero motivo della decisione del giudice d’appello, non era l’antieconomicità, ma qualcosa di molto più profondo e preliminare: la totale carenza di prova sull’esistenza stessa dei costi.

La sentenza impugnata, infatti, aveva accertato che il consorzio aveva fornito una documentazione del tutto insufficiente a supporto delle proprie ragioni. Nello specifico, erano stati prodotti solo:
1. Un ‘fac-simile di report’ che indicava generiche operazioni giornaliere.
2. Un accordo con una società terza, scritto in inglese, estremamente vago nei contenuti e, soprattutto, privo di firma.

Secondo la Suprema Corte, questa documentazione non era idonea a provare che le spese fossero state realmente sostenute. Il giudice d’appello aveva inoltre sottolineato l’inverosimiglianza dei costi, considerando che erano riconducibili alle prestazioni di una sola persona fisica. Di fronte a una prova così debole, la discussione sull’inerenza o sull’antieconomicità diventava superflua. L’onere della prova dell’esistenza del costo, che grava sul contribuente, non era stato assolto. Pertanto, la questione della deducibilità costi non poteva nemmeno essere affrontata nel merito.

Conclusioni: L’Onere della Prova è del Contribuente

Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale in materia fiscale: l’onere della prova spetta al contribuente. Prima di poter argomentare sull’inerenza di un costo all’attività d’impresa, è indispensabile fornire una prova certa, documentata e non generica della sua effettiva esistenza. Documenti vaghi, report non circostanziati o contratti non firmati non sono sufficienti a superare il vaglio dell’amministrazione finanziaria e, successivamente, del giudice. La lezione è chiara: una contabilità solida e una documentazione impeccabile sono il primo e insostituibile passo per garantire la corretta deducibilità dei costi aziendali.

È sufficiente che un costo sia inerente all’attività d’impresa per essere deducibile?
No. Prima di poter valutare l’inerenza, il contribuente ha l’onere di fornire la prova certa e inequivocabile dell’esistenza stessa del costo. Senza questa prova fondamentale, la deducibilità è esclusa a priori.

L’antieconomicità di un’operazione può essere l’unica ragione per negare la deducibilità di un costo?
No. La giurisprudenza costante afferma che l’antieconomicità (cioè la sproporzione tra spesa e utilità) è solo un elemento sintomatico che può indicare un difetto di inerenza. Tuttavia, la ragione primaria per negare la deducibilità, come nel caso esaminato, è la mancata prova dell’esistenza del costo.

Quale tipo di prova è necessario fornire per dimostrare l’esistenza di un costo?
La prova deve essere concreta e non generica. Secondo la Corte, documenti come un ‘fac-simile di report’ o un accordo ‘estremamente generico e privo di firma’ sono considerati insufficienti a dimostrare che una spesa sia stata effettivamente sostenuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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