Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16655 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16655 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/06/2025
Oggetto: Consorzio – co- sti deducibili
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11471/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE COGNOME in persona del legale rappresentante p.t. rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME domiciliato presso la Cancelleria della Corte di cassazione;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, n. 1101/5/2023, depositata il 7.11.2023 e non notificata.
Il sostituto Procuratore NOME NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 26 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana n. 1101/5/2023 depositata il 7.11.2023 veniva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Grosseto n. 143/2/2021 avente ad oggetto l’avviso di accertamento per II.DD. e IVA 2014.
In sentenza si legge che a seguito di un controllo nei confronti del Consorzio Giglio veniva emesso il p.v.c. del l’11 aprile 2019 con cui venivano contestati costi indeducibili ai fini delle II.DD., con corrispondente IVA non detraibile, ed omessa documentazione e registrazione di operazioni imponibili per IVA evasa.
All’esito e tenuto conto delle giustificazioni prodotte e documentate dal Consorzio, l’Agenzia delle Entrate emetteva l’avviso di accertamento con cui contestava alla società contribuente relativamente all’anno di imposta 2014 maggiori imposte dirette, inclusa l’Irap, pari ad euro 336.905,14 ed IVA per euro 227.307,02.
Il giudice di prime cure accoglieva parzialmente il ricorso, limitatamente ai costi, ritenuti non inerenti. Il giudice d’appello riformava in parte la decisione di primo grado, confermando anche la ripresa per i costi non inerenti.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente deducendo un unico motivo, che illustra con memoria
ex art.380-bis.1. cod. proc. civ., cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Considerato che:
Con un unico motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 109 d.P.R. n. 917/86 da parte della sentenza, nella parte in cui conferma la legittimità di una ripresa a tassazione, per difetto di inerenza e motiva in termini di non congruità del costo rispetto all’attività corrispondente svolta. L’accertamento dell’indeducibilità dei costi sarebbe fondato su una valutazione inerente al quantum e alla antieconomicità di questi ultimi, senza la necessaria valutazione del parametro dell’inerenza sulla base del giudizio qualitativo richiesto dalla costante interpretazione giurisprudenziale di legittimità.
Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza.
2.1. Va innanzitutto ricordato che la condivisa giurisprudenza della Corte di cassazione (es. Sez. 5, sentenza n. 24880 del 2022) afferma, in tema di imposte sui redditi, che la deducibilità di costi ed oneri richiede la loro inerenza all’attività esercitata, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Sono così esclusi quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità – anche solo potenziale ed indiretta – secondo un profilo qualitativo e non quantitativo. La prova, in caso di contestazioni dell’amministrazione finanziaria, è a carico del contribuente, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé.
In questo contesto, la Corte ha anche più volte affermato (v. ad es. Sez. 5, ordinanza n. 33568 del 2022) che l’antieconomicità di un
costo – intesa come sproporzione tra la spesa e l’utilità che ne deriva, avuto riguardo agli ulteriori dati contabili dell’impresa – può fungere da elemento sintomatico del difetto di inerenza. In questo caso, ove il contribuente indichi i fatti che consentano di ricondurre il costo all’attività d’impresa, l’Amministrazione è tenuta a dimostrare, anche con il ricorso ad indizi, gli ulteriori elementi addotti in senso contrario, evidenziando, in particolare, l’inattendibilità della condotta del contribuente. Dunque, è eccentrica rispetto alla giurisprudenza della Corte la prospettazione della ricorrente secondo cui l’argomento dell’antieconomicità sarebbe privo di rilevanza in materia.
2.2. Ciò premesso, la censura non coglie la ratio decidendi espressa dal giudice imperniata, in via primaria e in radice, sulla carenza di prova dell’esistenza dei costi.
La sentenza impugnata, sotto tale profilo, accerta che il Consorzio ha fornito nella controversia una descrizione insufficiente delle attività oggetto di fatturazione, «limitandosi a produrre solo un fac-simile di report indicante le operazioni giornaliere da eseguire ed un accordo con la RAGIONE_SOCIALE, in inglese, estremamente generico e privo di firma» (cfr. p.3 sentenza).
Il giudice, inoltre, afferma chiaramente l’inverosimiglianza dei costi riconducibili al coordinamento dell’attività dei consorziati ed alla manutenzione dei mezzi, tenuto conto del rapporto tra il loro ammontare complessivo ed il fatto che i costi imputabili a prestazioni rese da una sola persona fisica.
È irrilevante il presunto errore numerico commesso dal Giudice di appello (più di euro 460.000,00, nel solo anno d’imposta oggetto di accertamento secondo l’accertamento della sentenza, una somma inferiore per il Consorzio visto che il rilievo di cui si controverte è pari a 191.000 euro), come dedotto in ricorso e ulteriormente elaborato nella memoria illustrativa.
Infatti, la ragione primaria del mancato riconoscimento della deducibilità dei costi è stata individuata dal giudice nella mancanza di certezza dell’esistenza dei costi della cui deducibilità si tratta, e conseguente impossibilità che gli stessi siano quantificabili, profilo non specificamente censurato con il motivo in disamina. È poi di merito e non attiene ad un capo della sentenza impugnata l’argomentazione, contenuta in memoria, secondo cui se fosse stata contestata dell’Agenzia in fase amministrativa l’esistenza del costo questo sarebbe stato ripreso a tassazione interamente.
3. Il ricorso è perciò rigettato.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 5.900 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26.3.2025