Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 985 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 985 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2025
AVVISO ACCERTAMENTO IRPEF-IRAP 2008
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22020/2016 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso, e dall’avv. NOME COGNOME in virtù di comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata il 9 agosto 2024,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente/ricorrente in via incidentale -avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte n. 188/22/2016, depositata il 10 febbraio 2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3 ottobre 2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME dato atto che il Pubblico Ministero ha concluso chiedendo il rigetto del primo e secondo motivo di ricorso principale, e l’ accoglimento del terzo motivo limitatamente al conto 8.11.500, con rigetto dei restanti sub-motivi, nonché l’accoglimento del ricorso incidentale;
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento n. T7G011302002/2012, notificato il 10 luglio 2012, l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale II di Torino rettificava, ai sensi dell’art. 41 -bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il reddito da lavoro autonomo dichiarato da COGNOME NOME NOME (esercente l’attività di prestazione di servizi di contabilità e di consulenza) per l’anno 200 8, attraverso il disconoscimento di alcuno costi ritenuti non giustificati e/o non inerenti.
Avverso tale avviso di accertamento COGNOME NOME proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino la quale, con sentenza n. 83/12/2013, depositata il 20 giugno 2013, lo accoglieva, annullando l’avviso di accertamento impugnato .
Interposto gravame dall’Agenzia delle Entrate , la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, con sentenza n. 188/22/2016, pronunciata il 16 novembre 2015 e depositata in segreteria il 10 febbraio 2016, accoglieva parzialmente l’appello dell’Ufficio, riconoscendo la legittimità solo di una parte dei costi portati in detrazione e recuperati a tassazione, con compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME FrancescoCOGNOME sulla base di tre motivi (ricorso notificato il 14 settembre 2016).
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, che propone altresì ricorso incidentale, sulla base di tre motivi.
Con decreto del 6 giugno 2024 stata fissata per la discussione l’udienza pubblica del 3 ottobre 2024.
Il ricorrente ha depositato memoria.
All’odierna udienza pubblica è comparso il procuratore della controricorrente, che ha concluso come da verbale in atti.
Il Pubblico Ministero ha concluso chiedendo il rigetto del primo e secondo motivo di ricorso principale, e l’accoglimento del terzo motivo limitatamente al conto 8.11.500, con rigetto dei restanti submotivi, nonché l’accoglimento del ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale, come si è detto, è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso COGNOME Francesco eccepisce nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione e violazione dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 36, comma 1, num. 5), c.p.c.
Deduce, in particolare, il ricorrente che la sentenza impugnata sera priva di motivazione, non essendo state espresse, in relazione a ciascuna delle voci di costo riprese a tassazione, le ragioni dell’accoglimento parziale dell’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria.
1.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché degli artt. 12,
comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, e 42 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva che l’Ufficio, in assenza di qualsivoglia motivo di urgenza, non aveva atteso il prescritto termine di gg. 60, decorrenti dalla data di chiusura del contraddittorio (21 giugno 2012), per l’emissione dell’avviso di accertamento (notificato il 10 luglio 2012), senza alcuna previa comunicazione delle ragioni che, nonostante il deposito della richiamata documentazione e delle richiamate memorie, ostavano alla deducibilità dei suddetti costi; inoltre, secondo il ricorrente, la relativa eccezione, sollevata anche in sede di appello, non era stata esaminata dalla C.T.R. nella sentenza impugnata.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso il contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 50 e 54 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (testo unico delle imposte sui redditi), nonché dell’art. 53 del d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare che: a ) la C.T.R. aveva errato nel confermare la ripresa a tassazione dei costi sostenuti dal contribuente per il rifacimento integrale del proprio studio professionale, sebbene si trattasse di costi documentati; b ) erroneamente e contraddittoriamente la C.T.R., in relazione alle utenze telefoniche (conto n. 8.11.301), aveva riconosciuto la correttezza della deducibilità dei costi, con riferimento all’immobile sito in Ivrea, INDIRIZZO, adibito ad uso promiscuo abitazione/studio professionale, mentre, in relazione alle utenze energetiche, aveva escluso la deducibilità di tali costi, sul presupposto che presso la suddetta unità immobiliare l’odierno ricorrente non esercitasse la propria
attività professionale; c ) in relazione alla voce di costo ‘Altre spese documentate -Conto n. 8.11.103’, la C.T.R. non aveva considerato che l’Ufficio non aveva indicato nell’accertamento quali sarebbero stati i costi non inerenti portati in deduzione; d ) in relazione alle ‘Spese auto deducibili Conto n. 8.11.411’, a fronte della mancata specifica censura, da parte dell’Agenzia delle Entrate, del capo della sentenza di primo grado relativa a dette voci di costo, la C.T.R. avrebbe dovuto dichiararne il pa ssaggio in giudicato e, in ogni caso, l’inammissibilità dell’appello, perché in violazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546/1992; e ) per le stesse ragioni, anche con riferimento ai costi di cancelleria e stampati la sentenza della C.T.R. si rivelerebbe erronea, per non avere rilevato il passaggio in giudicato.
Il ricorso incidentale, dal canto suo, è affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 5 4, commi 1, del d.P.R. n. 917/1986 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, l’ Amministrazione finanziaria, con riferimento al Conto 8.12.009, la C.T.R. aveva errato nel ritenere deducibili alcune spese riguardanti costi non inerenti, quali tre televisori, un lettore DVD, un sistema dolby surround; inoltre, considerando che il contribuente aveva dichiarato di svolgere la propria attivit à senza l’ausilio di lavoratori dipendenti e collaboratori, aveva ritenuto non deducibili spese per tre telefonini (su cinque acquistati), due coppie di auricolari blue tooth (su quattro acquistate), due climatizzatori su sei, una telecamera su due acquistate.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale l’Ufficio eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 1, e 4, del d.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, che, nel conto 8.12.010, il contribuente aveva portato integralmente in deduzione le spese per l’acquisto di 8 quadri di pittura per un importo comples sivo di € 3.333,34 (IVA esclusa), acquistati presso la RAGIONE_SOCIALE, e tale deduzione era stata erroneamente confermata dalla C.T.R., che aveva qualificato tali quadri come oggetti di modico valore e non come oggetti d’arte, nel mentre la qualificazione di tali quadri come oggetti d’arte avrebbe dovuto portare ad escluderne la deducibilità integrale, anche perché il contribuente non aveva provato l’inerenza del relativo costo.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 1 -bis , del d.P.R. n. 917/1986 e degli artt. 3, comma 1, e 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), cod. proc. civ.
Rileva, in particolare, che, con riferimento al conto n. 8.11.900, era stato recuperato a tassazione l’importo della minusvalenza dedotta dal contribuente, ammontante ad € 19.454,49 (costo recuperato a tassazione non deducibile per € 17.460,49), in quant o l’estromissione di beni mobili strumentali dal regime di lavoro autonomo genera plusvalenza tassabile o minusvalenza deducibile solo se riferita a beni
mobili acquistati in epoca successiva all’entrata in vigore del d.l. n. 223/2006 (4 luglio 2006), il cui art. 36, comma 29, lett. a ), num. 1), ha introdotto il comma 1bis all’art. 54 d.P.R. n. 917/1986, prevedendo la tassabilità delle plusvalenze e la deducibilità delle minusvalenze derivante dalla cessione di beni mobili strumentali.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
3.1. Il primo motivo di ricorso principale è infondato.
Come è noto, il sindacato di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla verifica del rispetto del c.d. minimo costituzionale, nel senso che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza – nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile. Infatti, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c. , non è più consentito censurare in sede di legittimità la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione, essendo evidente che ammettere, in sede di legittimità, la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle
quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (da ultimo, Cass. 28 aprile 2023, n. 11263; Cass. 7 aprile 2023, n. 9543).
A tal proposito, la violazione del principio del c.d. minimo costituzionale è individuabile nei soli casi – che si tramutano in vizio di nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’articolo 132, comma 2, num. 4) c.p.c., e, nel processo tributario, all’art. 36, comma 2, num. 4), d.lgs. n. 546/1992 -di «mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili» e di «motivazione perplessa od incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza della mera «insufficienza» o «contraddittorietà» della motivazione (Cass. 18 agosto 2023, n. 24808).
Nel caso di specie, tale minimo costituzionale appare comunque raggiunto, in quanto la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha esaminato le singole voci di costo che l’Ufficio ha ripreso a tassazione, indicando analiticamente quali di queste voci, a suo avviso, era giusto portare in deduzione, e quali invece correttamente l’Amministrazione finanziaria ha recuperato a tassazione. In pratica, quindi, la Corte regionale ha dato pienamente conto, con la dovuta logicità, delle ragioni poste a fondamento dell a propria decisione, e dell’ iter logicogiuridico seguito.
3.2. Anche il secondo motivo è infondato.
In particolare, per quanto riguarda l’eccepita omessa pronuncia sulla eccepita violazione dell’art. 12, comma 7, della
legge n. 212/2000 -questione sollevata in primo grado, e riproposta in appello -deve rilevarsi che la C.T.R., entrando nel merito delle censure riguardanti i singoli costi portati in dedizione, ha implicitamente rigettato tale eccezione, conformandosi a quanto già statuito in primo grado.
A tal proposito, è noto che, per la giurisprudenza di questa Corte, «non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata dal giudice del merito comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o della eccezione formulata dalla parte» (Cass. 4 marzo 2020, n. 8064).
Ancora, nella giurisprudenza di legittimità è stato affermato che «Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto» (cfr., ex plurimis , Cass. civ., 13 maggio 2022, n. 15367; Cass. civ., sez. VI, 27 novembre 2017, n. 28308; Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7653); ed ancora «Il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che richieda una pronuncia di accoglimento o di rigetto, e va escluso ove ricorrano gli estremi di una reiezione implicita o di un suo assorbimento in altre statuizioni. In particolare, la figura
dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande, cosicché l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa» (in tal senso Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663; Cass. 19 dicembre 2019, n. 33764; Cass. 12 novembre 2018, n. 28995).
Orbene, nel caso di specie, poiché la C.T.R. è entrata nel merito della valutazione diretta dei singoli costi portati in deduzione, essa ha evidentemente implicitamente rigettato l’eccezione di inesistenza del potere di emissione dell’avviso di accertamento, che, ove invece accolta, sarebbe stata dirimente ed assorbente.
In ogni caso, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, previsto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, non determina la nullità
dell’avviso di accertamento emanato prima di detto termine, ove si tratti di tributi ‘non armonizzati’, e ove si tratti di avvisi emessi non all’esito di accessi, ispezioni e verifiche presso la sede dell’esercizio commerciale o professionale (Cass. 20 lug lio 2016, n. 14861).
Più in particolare, le ipotesi del controllo eseguito presso la sede del contribuente e del controllo c.d. a tavolino non possono essere assimilate. Nella prima ipotesi l’espansione della tutela del contraddittorio procedimentale è massima, in quanto tale tutela tende a bilanciare lo squilibrio tra contribuente e Amministrazione derivante dall’assoggettamento del primo ai poteri ispettivi della seconda; cosicché, il termine dilatorio in questione si applica in tutti casi di accesso presso i locali del contribuente, pur quando il relativo processo verbale non contenga rilievi o addebiti (dovendo infatti, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6, richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, redigersi processo verbale anche degli accessi che si risolvano in una mera acquisizione di dati, elementi e notizie) (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27420; Cass. 5 novembre 2020, n. 24793).
Nella seconda ipotesi, per contro, la naturale vis expansiva dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto da imporre termini dilatori all’azione di accertamento che derivi da controlli fatti dall’Amministrazione nella propria sede, in base ai dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente.
Al riguardo, il Collegio intende ribadire che, nell’ordinamento non sussiste un principio generale che imponga il contraddittorio fin dalla fase di formazione della pretesa fiscale;
né l’esistenza di tale principio potrebbe desumersi dal diritto comunitario, avendo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza 22 ottobre 13 C-276/12, NOME COGNOME , affermato che «l’Amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta ad informarne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista» (punto 45) (Cass. 13 giugno 2014, n. 13588).
Ciò posto, è pacifico che, nella fattispecie in esame, non vi è stato alcun accesso o ispezione dell’Ufficio presso i locali destinati, ma solo un contradditorio su invito dell’Ufficio in sede per ottenere chiarimenti sulla deducibilità del costi, ragion per cui non vi era obbligo per l’A.F. di attendere il termine di 60 gg. per l’emanazione dell’avviso di accertamento (da ultimo, v. Cass. 30 agosto 2023, n. 25445).
3.3. Con riferimento al terzo motivo di ricorso principale, infine, deve rilevarsi quanto segue.
3.3.1 In primo luogo, il ricorrente censura la sentenza della Corte territoriale, per avere ritenuto indeducibili i costi da rifacimento del bagno dello studio professionale, senza consentire al contribuente di dedurre il valore eccedente la prima deduzione.
Tale motivo si riferisce alla ripresa a tassazione relativa al conto 8.11.402 -Spese per immobili. A tal proposito, va rilevato che l’Ufficio non ha disconosciuto integralmente la deducibilità dei costi di rifacimento del bagno dello studio professionale del ricorrente, ma ha rilevato che, in violazione dell’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 917/1986, il ric orrente aveva dedotto integralmente il totale delle spese (pari ad €
9.780,00), nel periodo di imposta 2008, mentre avrebbe dovuto ammortizzare la spesa in sei anni.
L’Ufficio ha quindi recuperato a tassazione la parte di costo dedotta in eccedenza rispetto alla quota consentita dell’anno, così come previsto dall’art. 54, comma 2, cit., a mente del quale « Le spese relative all’ammodernament o, alla ristrutturazione e alla manutenzione di immobili utilizzati nell’esercizio di arti e professioni, che per le loro caratteristiche non sono imputabili ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili, nel periodo d’imposta di sostenimento, nel limite del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili, quale risulta all’inizio del periodo d’imposta dal registro di cui all’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni; l’eccedenza è deducibile in quote costanti nei cinque periodi d’imposta successivi», e tale disposizione è stata quindi correttamente applicata dalla C.T.R.
3.3.2. Per quel che riguarda la parte di motivo attinente alla deducibilità delle spese telefoniche ed energetiche relative all’immobile utilizzato promiscuamente sito in Ivrea, INDIRIZZO essa è da ritenere inammissibile per mancanza di interesse, in quanto la C.T.R., sul punto, ha rigettato l’appello dell’Ufficio, confermando la deducibilità di tali spese .
3.3.3. Con riferimento alla parte di motivo riguardante il conto n. 8.11.103, essa è da ritenere infondata, in quanto l’avviso di accertamento, al punto 11 della motivazione, rinvia alla tabella allegata che contiene l’elenco delle spese recuperato, con l’indicazione del loro oggetto nonché, nella prima colonna, del numero di registrazione, consentendo dunque ampiamente al
contribuente di individuarle. Corretta, quindi, appare la decisione della C.T.R., nella parte in cui ha ritenuto che trattasi di costi non inerenti.
3.3.4. Con riferimento alla parte di motivo attinente alle spese di cui al conto n. 8.11.411 (costi del carburante), esso è da ritenere infondato. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’Ufficio ha specificamente impugnato il capo della pronuncia di primo grado concernente il conto suddetto, cui si riferisce il motivo di gravame.
3.3.5. Fondata è invece la parte del terzo motivo di ricorso, riguardante i costi di cui al conto n. 8.11.500 (spese di cancelleria).
Invero, la sentenza di primo grado non si era pronunciato sul recupero dei costi di cui al conto suddetto , e l’Ufficio, in sede di gravame, ha riproposto gli argomenti difensivi già esposti in primo grado, e quindi non si è formato il giudicato; trattandosi di materiale di cancelleria, tuttavia, deve ritenersi sussistete l’inerenza con l’attività svolta dal ricorrente, ragion per cui la sentenza impugnata, in parte qua, deve essere riformata.
Venendo ora ad esaminare il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate, la Corte osserva quanto segue,
4.1. Il primo motivo di ricorso incidentale è fondato.
Con riferimento al conto 8.12.009, la C.T.R. ha riconosciuto la deducibilità dei costi indicati nel conto n. 8.12.009 (televisori, dolby sorround, tre telefoni cellulari pur in assenza di dipendenti, ecc.)
Sul punto, la C.T.R. ha confermato la totale deducibilità di tali costi, ritenendo che il contribuente fosse «libero di organizzare al meglio il proprio Ufficio», senza tuttavia valutare in alcun
modo l’inerenza di tali costi all’attività professionale del contribuente, sul quale grava anche il relativo onere della prova.
4.2. Anche il secondo motivo di ricorso incidentale è fondato. La C.T.R. ha escluso la natura di oggetti d’arte con riferimento ai quadri acquistati dal contribuente presso la RAGIONE_SOCIALE Nicosia RAGIONE_SOCIALE, trattandosi essi di oggetti di valore limitato.
Orbene, l’esclusione della natura di oggetti d’arte è stata operata dalla C.T.R. con accertamento di fatto insindacabile in questa sede; tuttavia, avendo escluso tale natura, la C.T.R. non ha valutato l’inerenza dei relativi costi, ai fini della deducibilità integrale degli stessi, e quindi ha dato per scontata tale inerenza, senza verificare l’assolvimento in tal senso del relativo onere probatorio, che è in capo al contribuente (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21184).
4.3. Fondato deve ritenersi anche il terzo motivo di ricorso incidentale.
Ed invero, Ed invero, l’introduzione del comma 1 -bis dell’art. 54 del d.P.R. n. 917/1986, ad opera d.l. n. 223/2006, conv. dalla legge n. 248/2006, prevedendo nuove ipotesi di tassazione o di deducibilità di costi, deve ritenersi applicabile soltanto a fattispecie che riguardano beni strumentali acquistati successivamente al 4 luglio 2006, tenendo conto anche dei principi di irretroattività, legittimo affidamento e certezza del diritto espressi dagli artt. 3 e 10 legge n. 212/2000.
In conclusione, il ricorso principale deve essere accolto, limitatamente alla parte del terzo motivo di ricorso riguardante
il conto 8.11.500, con rigetto del primo e secondo motivo e della restante parte del terzo motivo; deve invece essere integralmente accolto il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, con riferimento alla parte del terzo motivo del ricorso principale, e del ricorso incidentale accolto, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso incidentale, per la parte e nei limiti di cui in motivazione; rigetta per il resto il ricorso principale medesimo.
Accoglie il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate.
Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla parte del terzo motivo del ricorso principale accolta, ed al ricorso incidentale, e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2024.