Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15275 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15275 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
Oggetto: II.DD. -IVA -costi -deducibilità e detraibilità
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21682/2024 R.G. proposto da COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso l’indirizzo Pec: isolarocEMAILpec.avvocaticassinoEMAIL;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, n. 1775/15/2023, depositata il 28.3.2023 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 27 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio n. 1775/15/2023 depositata il 28.3.2023 veniva rigettato l’ appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Frosinone n. 221/3/2020, la quale aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, nella qualità di titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE che svolge l’attività di rivestimento di pavimenti e muri, per l’anno di imposta 2013 con cui l’Agenzia delle Entrate riprendeva ad imposizione maggiori II.DD. e IVA e irrogava le relative sanzioni oltre interessi.
In particolare, si legge in sentenza che l’Ufficio contestava costi del personale non documentati per euro 8.000,00 in riferimento ad indennità forfettarie erogate ai dipendenti, l’indeducibilità di costi relativi alle fatture emesse dalle società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE per l’importo complessivo di euro 63.500,00; costi non documentati per euro 769,00 di cui al conto manutenzione e riparazioni, IVA indetraibile per euro 166,92. Per l’effetto, l’avviso impugnato accertava il mancato versamento di maggiori imposte per IRPEF, IRAP, IVA, Addizionali Comunali e Regionali, oltre accessori.
Il giudice di prime cure negava l’esistenza dei presupposti per la deducibilità dei costi, accertando che nel caso in esame la sola documentazione prodotta dal ricorrente a sostegno delle proprie ragioni erano le fatture, con descrizione alquanto generica delle prestazioni svolte, e l’allegazione dei contratti di sub-appalto, non attendibili in assenza di data certa. Inoltre, con riferimento alla ripresa
per costi dei viaggi e delle trasferte oltre al richiamo della normativa sulla liquidazione forfettaria (art. 51 del Tuir) nessun altro atto a supporto era stato presentato, per cui riteneva di non poter accogliere il ricorso con motivazione integralmente condivisa dal giudice di secondo grado.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione il contribuente deducendo quattro motivi, che illustra con memoria ex art.380-bis.1. cod. proc. civ., cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo il ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 del d.P.R. n. 633/72, 109 del d.P.R. n.917/86, 2697, 2704 e 2729 cod. civ., 112 cod. proc. civ., per illegittima ripresa a tassazione di costi sostenuti dal ricorrente per prestazioni di terzi. Il ricorrente si duole del fatto che, nonostante le plurime argomentazioni evidenziate negli atti processuali, e l’ingente documentazione integrativa delle fatture depositata nel fascicolo telematico -asseritamente non esaminata dal giudicante -, per il solo fatto che i contratti commerciali sottoscritti tra le parti siano privi di data certa, sono stati ingiustamente disconosciuti i costi inerenti all’attività di impresa, nonostante la presenza di pagamenti tracciati a riscontro e un principio di indicazione delle prestazioni nelle fatture.
Il motivo è inammissibile, come eccepito in controricorso.
2.1. Lo stesso ricorrente ricorda che l ‘impugnata sentenza, nella parte motivazionale relativa ai costi sostenuti per prestazione di terzi, dopo aver richiamato gli artt. 109 Tuir, e art. 21 del d.P.R. 633/72 seguito da alcune massime di giurisprudenza, conclude affermando che «nel caso di specie, non è dato rilevare il corretto assolvimento all’obbligo gravante sulla parte in quanto le prescrizioni di cui all’art. 21 del d.P.R. n. 633/72 non risultano assolutamente
rispettate, potendosi rinvenire agli atti unicamente delle fatture con sommaria descrizione delle prestazioni svolte (‘Vi emetto fattura per posa in opera di pavimenti, rivestimenti eseguiti presso il Vostro cantiere in INDIRIZZO‘, questa la dicitura) e dei contratti che per essere stati versati in scritture private che non riportano neppure una data certa, non possono tenere luogo di quel documento altamente probante richiesto dal legislatore ed anche dalla giurisprudenza» (pagina 3, ultimo capoverso della sentenza impugnata).
2.2. Dunque, il giudice non si è limitato a verificare il contenuto delle fatture, di cui riporta a campione il contenuto, ma anche la documentazione a riscontro, inclusa la presenza dei contratti. Nondimeno, la sentenza motivatamente accerta che il compendio non è idoneo a dimostrare, prima ancora che l’inerenza, l’esistenza stessa dei costi, quanto agli elementi dei pagamenti tracciati su cui la censura particolarmente insiste. Va al proposito ricordato che, per consolidata interpretazione giurisprudenziale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie offerte dalle parti. Orbene, come sopra visto, nella fattispecie il fatto storico è indubbiamente stato considerato.
In ogni caso, i pagamenti non sono neppure indizi decisivi, trattandosi di elementi retrovertibili che possono ben essere creati ad arte per far figurare operazioni economiche non svolte, per costante interpretazione giurisprudenziale.
Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 109 del d.P.R. n. 917/86, degli artt. 2697, 2704 e 2729 cod. civ., dell’art. 112 cod. proc. civ., per un asserito illegittimo recupero di costi forfettari deducibili relativi alle trasferte dei propri dipendenti.
4. Il motivo è inammissibile.
4.1. Si ribadisce che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine, non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità del costo (tra le molte, Cass. n. 13300 del 2017)
Egualmente, in materia di IVA e ai fini della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente (v. ad es., Cass. n. 18904 del 2018), in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato.
4.2. Ciò premesso, il giudice, nel capo della sentenza relativo al recupero dei costi forfettari afferenti i viaggi e le trasferte calcolati dal contribuente ex art. 51 del TUIR, a pag.4 della sentenza accerta: «Con riferimento all’altra tipologia di costi, quella afferente ai viaggi e trasferte, la situazione non è molto dissimile, atteso che l’appellante ha operato unicamente il riferimento alla liquidazione forfettaria di cui all’art. 51 del TUIR senza produrre la relativa documentazione necessaria ad attestare i motivi della trasferta, la tipologia di automezzo impiegato dai lavoratori, il costo chilometrico, ma limitandosi a richiamare la circostanza che gli operai utilizzati svolgevano l’attività fuori della sede di lavoro. Si legge, infatti, che ‘è documentalmente provato che gran parte dei lavori commissionati al ricorrente siano stati effettuati in Roma e zone limitrofe, al di fuori della sede della ditta (cfr. fatture attive di Testa Stefano)’ ».
La censura riporta tale capo di decisione, ma non impugna specificamente l’accertamento fattuale relativo alla mancata prova dell’esistenza del costo e, al contrario, insiste a riproporre argomenti di merito già vagliati dal giudice, essenzialmente l’ avere rimborsato ai lavoratori le asserite spese di trasferta. Il ricorrente, al contrario, avrebbe dovuto dimostrare l’erroneità dell’accertamento del giudice dimostrando che i lavoratori interessati abbiano effettivamente svolto attività lavorativa al di fuori della sede di lavoro, prospettazione e dimostrazione non articolata dal contribuente, con conseguente inammissibiltà della doglianza.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt.112, 115 e 116, cod. proc. civ. e art. 42 del d.P.R. 600/73, art. 2697 cod. civ., art. 4 bis del d.l. 78/2015, e la nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine ad un motivo di appello formulato da parte ricorrente, relativo al difetto di valida sottoscrizione dell’avviso di accertamento.
Con il quarto motivo con cui il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt.112, 115 e 116, cod. proc. civ., 16 e 17 del d. lgs 472/97, e la nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine alla questione relativa all’illegittimità della sanzione pecuniaria irrogata.
I due motivi, di analoga concezione, possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati. Le censure sono specifiche e riportano l’introduzione in primo grado delle questioni sottese relative al procedimento amministrativo e al merito con riferimento al tema sanzionatorio, come pure la loro riproposizione in appello. Su di esse il giudice non si è pronunciato.
8. In accoglimento dei motivi terzo e quarto, inammissibili i primi due, l a sentenza impugnata è perciò cassata e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili, a quelli rimasti assorbiti, e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, inammissibili i primi due, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 27.3.2025