Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20286 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20286 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10485/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente-
contro
NOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dalla quale è rappresentata e difesa unitamente all’avv. NOME COGNOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA SICILIA, SEZIONE STACCATA DI CATANIA, n. 1904/2024 depositata il 5 marzo 2024;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 5 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Catania dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, già Funivia dell’Etna RAGIONE_SOCIALE, incorporante la RAGIONE_SOCIALE, due distinti avvisi di accertamento relativi all’anno 2015, uno ai fini dell’IRES, l’altro ai fini dell’IRAP, dell’IVA e delle ritenute alla fonte, mediante i quali, per quanto in questa sede ancora interessa, contestava l’indeducibilità di una serie di spese e oneri dichiarati dalla contribuente, ritenuti dall’Ufficio non idoneamente documentati e/o non inerenti, operando le conseguenti riprese fiscali e irrogando le sanzioni amministrative previste dalla legge.
I rilievi erariali si riferivano, in particolare, a presunte spese di rappresentanza, ai costi per e per , nonché agli oneri asseritamente sostenuti dalla prefata società, esercente , per prestazioni di consulenza rese in suo favore dal dott. NOME COGNOME in virtù di un contratto di ‘incarico professionale’ stipulato fra la Funivia dell’Etna s.p.a. e RAGIONE_SOCIALE.n.c.; contratto che, secondo la tesi dell’Amministrazione Finanziaria doveva ritenersi affetto da simulazione oggettiva, in quanto volto a dissimulare il reale rapporto giuridico di lavoro subordinato direttamente instauratosi fra i predetti Funivia dellRAGIONE_SOCIALEEtna RAGIONE_SOCIALEaRAGIONE_SOCIALE e COGNOME.
La COGNOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE impugnava entrambi gli avvisi di accertamento proponendo un unico ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Catania.
Il giudizio così introdotto si concludeva con esito sfavorevole per la ricorrente.
La decisione veniva, però, in sèguito parzialmente riformata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Catania, la quale, con sentenza n. 1904/2024 del 5 marzo 2024, accoglieva per quanto di ragione l’appello della parte
privata e, per l’effetto, confermava la legittimità degli atti impositivi impugnati «solo relativamente ai recuperi relativi a pretese violazioni del ‘principio di competenza’ (ai fini IRES, IRAP e IVA) nella deduzione dei costi (per prestazioni di servizi) complessivamente ammontanti ad € 51.344,99 e al recupero di indeducibilità del 25% delle spese per viaggi e trasferte ex RAGIONE_SOCIALE (€ 6.244,60), rinvia (ndo) all’Agenzia delle Entrate per il ricalcolo dell’accertamento e per la rideterminazione della sanzione unica, come da dispositivo» .
Contro questa sentenza, notificata il 13 marzo 2024, l’ -id est : l’Agenzia delle Entrate, incorporante quella del Territorio ex art. 23quater , comma 1, del D.L. n. 95 del 2012, convertito in L. n. 135 del 2012- ha proposto tempestivo ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è denunciata la violazione dell’art. 4 del D.P.R. n. 444 del 1997.
1.1 Si censura l’impugnata sentenza per aver erroneamente riconosciuto la deducibilità dei costi per l’acquisto di carburante, nonostante l’accertata incompletezza delle relative schede prodotte dalla contribuente, mancanti dei dati richiesti dal menzionato D.P.R. n. 444 del 1997.
1.2 Il motivo è fondato.
1.3 La CGT-2, pur avendo evidenziato che «in molte» delle ‘schede carburante’ esaminate dagli accertatori «manca (va) la firma di convalida dell’addetto di distribuzione» e che «in quasi tutte manca (va) sia l’indicazione dei chilometri iniziali che di quelli di fine
mese rilevabili dal contachilometri dell’automezzo» , ha tuttavia riconosciuto la deducibilità dei costi in questione ai fini delle imposte dirette e la loro detraibilità ai fini dell’IVA, in base al rilievo che l’Amministrazione Finanziaria non avrebbe «minimamente contestato né l’esistenza della documentazione, né l’inerenza di tali costi all’attività dell’impresa, ma solo il parziale difetto formale…» . 1.4 La decisione adottata dal collegio di secondo grado risulta
affetta dal lamentato «error in iudicando» .
1.5 Invero, con riferimento alle modalità di documentazione degli acquisti di carburante per autotrazione, il regolamento emanato con D.P.R. n. 444 del 1997 abrogato dall’art. 1, comma 926, lettera b), della L. n. 205 del 2017 a decorrere dal 1° gennaio 2018, ma applicabile «ratione temporis» alla presente controversia -prevede l’istituzione di apposite ‘schede carburante’, le quali devono recare la firma di convalida dell’addetto alla distribuzione, da apporre all’atto di ogni rifornimento, e contenere l’annotazione del numero dei chilometri percorsi dal veicolo alla fine del mese o del trimestre (artt. 2, 3 e 4).
1.6 In sede di interpretazione della richiamata normativa, questa Corte ha avuto modo di precisare che l’osservanza delle previsioni regolamentari costituisce condizione imprescindibile sia per la deducibilità dei costi inerenti al consumo di carburante dal reddito d’impresa o di lavoro autonomo, sia per la detraibilità dell’IVA assolta sugli acquisti di combustibile, e che gli adempimenti prescritti non ammettono equipollenti e non possono essere sostituiti dalla mera contabilizzazione delle operazioni nelle scritture contabili (cfr. Cass. n. 23291/2024, Cass. n. 9052/2023, Cass. n. 16809/2017, Cass. n. 24409/2016, Cass. n. 25122/2014). 1.7 Dai surriferiti princìpi di diritto, che vanno qui ulteriormente ribaditi, si è erroneamente discostata la Corte tributaria etnea.
1.8 Peraltro, non risulta che i costi in questione fossero stati sostenuti nell’àmbito di un contratto di «netting» , fattispecie
negoziale riconducibile alla somministrazione di beni di cui all’art. 1559 c.c., nel qual caso sarebbe venuto meno per la contribuente l’obbligo di redazione della «scheda carburante» (cfr. Cass. n. 19782/2024, Cass. n. 21036/2020, Cass. n. 25663/2018).
1.9 La doglianza va, pertanto, accolta.
Con il secondo motivo, pure proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., viene dedotta la violazione dell’art. 109 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR).
2.1 Si censura la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti per la deducibilità delle spese di rappresentanza, nonché di quelle per viaggi e trasferte e per , pur non essendone stata dimostrata dalla contribuente l’inerenza all’attività d’impresa.
2.2 Anche questo motivo è fondato.
2.3 La Corte etnea ha ritenuto sussistenti i presupposti per la deducibilità dei costi innanzi indicati sulla scorta della seguente motivazione: «In punto di fatto, l’attinenza delle spese di rappresentanza a doni e regalie per le festività natalizie era nel caso di specie di per sé stessa attestata dal loro essere state sostenute (per quasi il 90%) presso un negozio di articoli da regalo e nei giorni (tra il 17 ed il 24/12/2015) immediatamente antecedenti il Natale. In punto di diritto, l’inerenza all’impresa delle ‘spese di rappresentanza’ (che sono di per sé sempre erogazioni liberali) non postula affatto la loro destinazione a specifiche ‘tipologie’ di soggetti ed è invece costituita da regole (finalistiche) e limiti (quantitativi) che nel caso di specie risultavano certamente rispettati. Infatti (e sotto il primo profilo), nel disciplinare l’inerenza delle spese di rappresentanza, dispone l’art. 1, comma 1, del DM 19/11/2008 che ‘…si considerano inerenti, semprechè effettivamente sostenute e documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di
ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore…’; quanto ai limiti quantitativi, nel secondo comma del medesimo articolo si specifica che, in ciascun periodo d’impresa, tali spese sono ‘…commisurate all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi…’ e deducibili ‘…in misura pari all’1,3 per cento dei ricavi ed altri proventi fino a euro 10 milioni…’ e dello ‘…0,5 per cento dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 10 milioni e fino a 50 milioni…’; e discende da tali inequivocabili disposizioni che la Società, avendo nel 2015 contabilizzato e dichiarato ricavi pari a poco meno di € 25.000.000,00, avrebbe potuto sostenere e dedurre spese di rappresentanza per oltre il quadruplo. Sulle spese di noleggio, a sèguito della richiesta di chiarimenti, il legale rappresentante della ricorrente Società, con la memoria del 20/7/2020, aveva puntualizzato che ‘trattasi di evento svoltosi in data 08 novembre 2015 presso il INDIRIZZO, per il quale la Società ha volontariamente contribuito mediante il pagamento del noleggio delle attrezzature. (…)’. Malgrado l’evidente natura di ‘spesa di rappresentanza’ della suddetta erogazione liberale, e la sua pacifica correlazione ad un evento culturale, i verificatori hanno ritenuto di operare il recupero dicendo (a pag. 36) che ‘…non risulta provata l’inerenza dei componenti negativi di reddito oggetto del presente controllo, rispetto all’attività svolta dalla Funivia dellRAGIONE_SOCIALE‘. L’Agenzia delle Entrate ha poi acriticamente riversato tale addebito negli impugnati avvisi; e non si vede cos’altro la Società avrebbe potuto dedurre e provare per una evidente spesa di rappresentanza pienamente deducibile dal punto di vista sia dell’an che del quantum. In merito ai viaggi e trasferte ex RAGIONE_SOCIALE (€ 6.244,60), deve parzialmente accogliersi. Come documentato dalla Società, ‘…trattasi di soggiorni fruiti
dall’amministratore pro -tempore per le medesime finalità evocate per RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE..’. Deve essere riconosciuta la deducibilità del 75% del loro ammontare. La sussistenza del profilo dell’inerenza deve essere riconosciuta ai sensi dell’art. 109, comma 4 (recte: 5 -n.d.r.), ultimo periodo, ove appunto si dispone che ‘…le spese relative a prestazioni alberghiere… sono deducibili nella misura del 75%…’, essendo tale forfettizzazione di per se stessa assorbente di ogni discorso di inerenza» .
2.4 Il percorso argomentativo seguìto dalla CTR si appalesa giuridicamente erroneo.
2.5 Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, incombe al contribuente l’onere della prova dell’esistenza dei costi portati in deduzione, della loro inerenza intesa come riferibilità all’attività d’impresa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura (cfr. Cass. n. 7741/2025, Cass. n. 679/2025, Cass. n. 15530/2023, Cass. n. 24880/2022) e, ove contestata dall’Amministrazione Finanziaria, della loro coerenza economica.
A tal fine, non può reputarsi sufficiente la mera contabilizzazione della spesa, essendo invece necessaria una documentazione di supporto che ne attesti l’importo, la ragione e la congruità (cfr. Cass. n. 4557/2025, Cass. n. 27657/2021, Cass. n. 6240/2020, Cass. n. 13300/2017).
2.6 Le predette «regulae iuris» sono state riaffermate con specifico riguardo alle spese di rappresentanza (cfr. Cass. n. 7667/2025, Cass. n. 18936/2015, Cass. n. 21450/2014), per le quali trova applicazione la previsione di cui all’art. 1, comma 1, del D.M. 19 novembre 2008, emanato in attuazione dell’art. 108, comma 2, del TUIR, che così recita: «… si considerano inerenti, sempreché effettivamente sostenute e documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche
potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore. Costituiscono, in particolare, spese di rappresentanza: (…) e) ogni altra spesa per beni e servizi distribuiti o erogati gratuitamente, ivi inclusi i contributi erogati gratuitamente per convegni, seminari e manifestazioni simili il cui sostenimento risponda ai criteri di inerenza indicati nel presente comma ».
2.7 Si è, in proposito, sottolineato che la norma sopra trascritta non consente la deduzione indiscriminata di qualunque spesa contabilizzata e dichiarata come di rappresentanza, neppure se rientrante nei limiti percentuali stabiliti dal successivo comma 2, essendo in ogni caso richiesta la prova della sua inerenza; e ciò vale anche per i cd. ‘omaggi a clienti’ di importo inferiore a 50 euro, per i quali occorre comunque dimostrare: (a) che i costi siano stati realmente sostenuti e risultino idoneamente documentati; (b) che le erogazioni a titolo gratuito siano state «effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni» (cfr. Cass. n. 7667/2025).
2.8 Il ricordato indirizzo nomofilattico di questa Corte è stato completamente disatteso nel caso di specie dai giudici di seconda istanza, i quali hanno apoditticamente affermato la deducibilità delle spese di rappresentanza, per viaggi e trasferte e per noleggio di attrezzature formanti oggetto dei rilievi dell’Ufficio, limitandosi a verificare l’osservanza dei limiti quantitativi fissati dalle norme di riferimento (art. 1, comma 2, del D.M. 19 novembre 2008 e art. 109, comma 5, ultimo periodo, del TUIR), senza minimamente dare conto dell’avvenuto assolvimento, da parte della contribuente, dell’onere della prova della loro inerenza all’attività di impresa, nel senso dianzi chiarito.
Con il terzo mezzo sono prospettati: (a) ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione degli artt. 53, 55 e 109 del D.P.R. n. 917 del 1986, dell’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973,
dell’art. 54 del D.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 2084 e 2697 c.c.; (b) a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 36 del D. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c.; (c) a mente dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
3.1 Si critica, sotto diversi aspetti, la gravata decisione nella parte in cui riconosce la deducibilità degli oneri relativi alle prestazioni rese in favore della contribuente dal dott. NOME COGNOME, sull’apodittico assunto che l’attività di natura «professionale» dallo stesso resa non fosse riconducibile a un rapporto di lavoro dipendente, come invece sostenuto dall’Ufficio.
3.2 Viene, al riguardo, dedotto che:
-l’Amministrazione Finanziaria aveva offerto una serie di elementi presuntivi da cui era possibile inferire la natura simulata del contratto di ‘incarico professionale’ stipulato dalla Funivia dell’Etna s.p.aRAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE s.n.c., costituente un mero artificio utilizzato ;
in un simile contesto , incombeva alla contribuente l’onere della prova contraria;
-l’impugnata sentenza è assistita «in parte qua» da una motivazione solo apparente, perché inidonea rivelare la «ratio decidendi» ;
non sono state prese in considerazione dalla Corte di secondo grado le circostanze di fatto addotte dalla parte pubblica a sostegno della propria ricostruzione;
la disamina delle difese svolte dall’Agenzia delle Entrate ha dato luogo anche alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. 3.3 La complessiva doglianza è fondata nei termini che seguono.
3.4 Come emerge dalla ricostruzione operata dalla sentenza che ci occupa (pag. 4, righi 1719), l’Ufficio aveva contestato l’inesistenza oggettiva del contratto di ‘incarico professionale’ stipulato fra la Funivia dell’Etna s.p.a. e la Idea 87 s.n.c., sull’assunto che detto negozio dissimulasse un rapporto di lavoro subordinato instauratosi direttamente fra la medesima Funivia dell’Etna s.p.a. e il dott. NOME COGNOME ( «L’appellante ha sempre rappresentato che è stato contestato alla Società ‘…l’utilizzo di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti’ mediante la riqualificazione, fatta dai verificatori, del rapporto della società con il dott. COGNOME in termini di ‘lavoro subordinato’» ).
3.5 Sulla questione in esame questa Corte regolatrice è costante nell’affermare che, qualora l’Ufficio dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza di un’operazione, spetta al contribuente provarne l’effettiva esistenza al fine di poter dedurre i relativi costi e detrarre l’IVA; con la precisazione che un siffatto onere non può ritenersi assolto mediante l’esibizione della fattura o la dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (cfr. Cass. n. 5342/2024, Cass. n. 28628/2021, Cass. n. 17619/2018, Cass. n. 17290/2017).
Tale enunciazione rinviene il suo fondamento normativo nell’art. 54, comma 2, del D.P.R. n. 633 del 1972 e nell’art. 39, comma 1, lettera d) (richiamato dal successivo art. 40, comma 1), del D.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui le omissioni e le false o inesatte indicazioni contenute nella dichiarazione annuale presentata dal
contribuente ai fini dell’IVA e delle imposte sui redditi possono essere indirettamente desunte anche sulla base di presunzioni semplici, qualora queste siano gravi, precise e concordanti.
3.6 È stato, inoltre, ripetutamente statuito che:
gli elementi assunti a fonte di una presunzione non devono essere necessariamente plurimi, potendo in proposito rivelarsi sufficiente anche un unico elemento, purché grave e preciso (cfr. Cass. n. 17596/2021, Cass. n. 14150/2021, Cass. n. 43/2019);
-l’onere gravante sull’Amministrazione Finanziaria con riferimento ad operazioni oggettivamente inesistenti non si estende anche alla prova della mala fede; invero, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non può ritenersi configurabile la buona fede del contribuente, poiché egli sa certamente se e in che misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (cfr. Cass. n. 24345/2023, Cass. n. 2470/2023, Cass. n. 28628/2021, Cass. n. 22851/2020);
ove sia investito della controversia sulla legittimità e fondatezza di un atto impositivo, il giudice tributario di merito è tenuto ad apprezzare singolarmente e complessivamente gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; soltanto in un secondo momento, se ritiene che i suddetti elementi siano dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente (cfr. Cass. n. 5342/2024, Cass. n. 35453/2023, Cass. n. 28121/2023, Cass. n. 28628/2021).
3.7 Orbene, a fronte degli indizi addotti dall’Agenzia delle Entrate a dimostrazione dell’oggettiva natura fittizia dell’operazione negoziale in argomento, illustrati nell’atto di controdeduzioni depositato in appello e ritrascritto nel corpo del ricorso per cassazione alle pagg. 35-37, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado non ha sottoposto gli stessi a una pur sintetica disamina, ma si è limitata a
esprimere in maniera apodittica un giudizio finale di carenza probatoria in merito alla tesi sostenuta dall’Ufficio, senza esternare il processo cognitivo attraverso il quale è pervenuta al qui criticato convincimento.
3.8 Appaiono, pertanto, configurabili sia la dedotta grave anomalia della motivazione della sentenza, che per questa parte non supera la soglia del cd. «minimo costituzionale» di cui all’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale (cfr. Cass. Sez. Un. nn. 80538054/2014), sia la denunciata falsa applicazione delle regole sul riparto dell’onere probatorio in caso di operazioni oggettivamente inesistenti.
3.9 Resta assorbita l’ulteriore censura pure inserita all’interno del terzo motivo – di omesso esame di un fatto decisivo e controverso.
Per quanto precede, va dunque disposta, ai sensi degli artt. 383, comma 1, e 384, comma 2, prima parte, c.p.c. e dell’art. 62, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, la cassazione dell’impugnata pronuncia con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Catania, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai suenunciati princìpi di diritto e offrendo congrua motivazione in ordine alla questione trattata nel paragrafo 3.
4.1 Al giudice del rinvio è demandata anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità, a norma degli artt. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. cit.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Catania, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione