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Deducibilità costi: la Cassazione sulle frodi carosello

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23921/2024, è intervenuta in un complesso caso di frode carosello, chiarendo la distinzione tra la detraibilità dell’IVA e la deducibilità dei costi. La Corte ha stabilito che, mentre per detrarre l’IVA il contribuente deve provare la propria buona fede e l’estraneità alla frode, la deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette è ammessa se si dimostra che i costi sono stati effettivamente sostenuti e sono inerenti all’attività d’impresa, anche se le operazioni sono soggettivamente inesistenti. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio limitatamente a questo punto, in quanto il giudice di merito non aveva esaminato la questione della deducibilità costi.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deducibilità Costi e Frodi Carosello: La Cassazione Fissa i Paletti

In un contesto economico sempre più complesso, le aziende si trovano a navigare in un mare di normative fiscali intricate. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 23921 del 5 settembre 2024, offre chiarimenti cruciali su un tema tanto delicato quanto frequente: la deducibilità costi nell’ambito di operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, spesso collegate a meccanismi di frode carosello. Questa pronuncia distingue nettamente i requisiti per la detrazione dell’IVA da quelli per la deduzione dei costi ai fini delle imposte dirette, un principio fondamentale per ogni operatore economico.

I Fatti di Causa: Un Complesso Contenzioso Tributario

La vicenda trae origine da avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società informatica in liquidazione per gli anni d’imposta 2002, 2003 e 2004. L’amministrazione finanziaria contestava alla società di aver preso parte a una “frode carosello”, acquistando beni da una società “cartiera” al fine di ottenere indebiti crediti IVA e acquistare merce a un prezzo inferiore a quello di mercato.

Il percorso giudiziario è stato lungo e tortuoso:
1. Primo Grado: La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso della società, ritenendo i costi deducibili ai fini delle imposte dirette (Irpeg e Irap) perché le operazioni erano materialmente avvenute, ma negando la detrazione dell’IVA.
2. Appello: La Commissione Tributaria Regionale, riformando la prima decisione, accoglieva pienamente le ragioni della società, annullando gli avvisi di accertamento in toto.
3. Primo Ricorso in Cassazione: L’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza d’appello. La Corte di Cassazione, con una precedente sentenza (n. 9675/2018), accoglieva il ricorso dell’Agenzia, cassando la decisione e rinviando il caso a un’altra sezione della CTR. La Suprema Corte riteneva che il giudice d’appello non avesse valutato correttamente gli indizi di frode e avesse errato nel considerare coperta da giudicato interno la questione dell’effettività dei costi.

Il presente giudizio nasce dal ricorso della società contro la sentenza emessa dal giudice del rinvio, che aveva rigettato integralmente le sue istanze.

La Questione della Deducibilità Costi in Sede di Rinvio

Nel giudizio di rinvio, la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto che la società contribuente non avesse fornito prova della propria buona fede e della sua estraneità al meccanismo fraudolento. Di conseguenza, ha confermato la pretesa fiscale, negando sia la detrazione IVA sia la deducibilità dei costi.

La società ha quindi presentato un nuovo ricorso in Cassazione, articolato in sei motivi. Tra questi, spiccava la censura relativa alla violazione di legge per mancata pronuncia sulla deducibilità costi ai fini delle imposte sui redditi, questione che la società riteneva distinta e autonoma rispetto alla detraibilità dell’IVA.

L’Onere della Prova e il Ruolo del Contribuente

La Cassazione ribadisce il principio consolidato in materia di operazioni soggettivamente inesistenti. Spetta all’Amministrazione Finanziaria provare, sulla base di elementi oggettivi, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, di essere coinvolto in una frode. Una volta che l’Ufficio ha fornito tali prove (ad esempio, dimostrando che il fornitore è una mera “cartiera”), l’onere probatorio si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare la sua buona fede, e a tal fine non sono sufficienti la regolarità formale della contabilità o la prova dell’avvenuto pagamento.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato gran parte dei motivi di ricorso della società, confermando la correttezza della decisione impugnata per quanto riguarda la detrazione IVA. I giudici hanno ritenuto infondate le censure sulla presunta formazione di un giudicato interno e hanno confermato che la CTR aveva correttamente valutato gli elementi indiziari, concludendo per la consapevolezza della società contribuente circa la frode.

Tuttavia, la Corte ha accolto il sesto motivo di ricorso, ritenendolo fondato. Questo motivo lamentava la totale omissione di pronuncia da parte del giudice di rinvio sulla questione specifica della deducibilità costi ai fini delle imposte dirette (ex Irpeg e Irap).

La Cassazione ha chiarito che, mentre per la detrazione IVA è necessaria la prova della buona fede, per la deducibilità dei costi si applicano regole diverse, sancite dall’art. 14, comma 4-bis, della L. 537/1993 (come modificato dal D.L. 16/2012). Questa norma, con efficacia retroattiva, permette di dedurre i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti a condizione che siano stati effettivamente sostenuti e rispettino i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza e determinatezza. In altre parole, anche se l’acquirente è consapevole del carattere fraudolento dell’operazione, può comunque dedurre il costo se prova di averlo realmente pagato e che esso si riferisce a un’attività inerente all’impresa.

Il giudice del rinvio si era limitato a negare l’esistenza di un giudicato interno sulla questione, senza però esaminarla nel merito. Questa omissione ha costituito una violazione di legge, portando alla cassazione della sentenza su questo specifico punto.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

In conclusione, la Corte di Cassazione accoglie parzialmente il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia nuovamente la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado. Il nuovo giudice dovrà attenersi al principio di diritto stabilito e valutare nel merito se la società contribuente ha fornito la prova dell’effettività e dell’inerenza dei costi contestati, al fine di ammetterne la deduzione dalle imposte sui redditi.

Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche:
Doppio binario: Conferma l’esistenza di un “doppio binario” tra la disciplina IVA e quella delle imposte dirette in caso di frodi.
Centralità della prova: Sottolinea l’importanza per le imprese di conservare documentazione idonea a dimostrare non solo la regolarità formale, ma anche la sostanza economica delle transazioni, specialmente per provare l’effettivo sostenimento dei costi.
Deducibilità dei costi da reato: Ribadisce che, secondo la normativa vigente, i costi effettivamente sostenuti sono deducibili anche se provenienti da fattispecie penalmente rilevanti, purché non siano in contrasto con i principi cardine della determinazione del reddito d’impresa.

Quando un costo derivante da un’operazione ‘soggettivamente inesistente’ può essere dedotto ai fini delle imposte sui redditi?
Un costo da operazione soggettivamente inesistente può essere dedotto se il contribuente prova che tale costo è stato effettivamente sostenuto e che rispetta i principi generali di effettività, inerenza, competenza, certezza e determinatezza. Ciò è possibile anche se il contribuente era consapevole del carattere fraudolento dell’operazione, come previsto dall’art. 14, comma 4-bis, della L. n. 537/1993.

Come viene ripartito l’onere della prova in una contestazione di frode carosello ai fini IVA?
Inizialmente, spetta all’Amministrazione Finanziaria provare con elementi oggettivi che il contribuente sapeva, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, di partecipare a una frode. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare la propria buona fede e la sua completa estraneità alla frode.

La deducibilità dei costi riconosciuta in primo grado forma un ‘giudicato interno’ se l’Agenzia delle Entrate non la impugna specificamente?
No. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha stabilito che non si era formato un giudicato interno sulla deducibilità dei costi. La sentenza di appello era stata annullata integralmente nel primo giudizio di Cassazione, il che ha comportato la necessità di riesaminare tutte le questioni, inclusa quella dei costi, nel successivo giudizio di rinvio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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