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Deducibilità costi: la Cassazione sul principio di competenza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha respinto sia il ricorso di una società che quello dell’Agenzia delle Entrate in merito alla deducibilità dei costi per servizi di marketing. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, che avevano riconosciuto una deducibilità parziale, ribadendo che la valutazione sui fatti, se confermata in due gradi di giudizio, non è riesaminabile in sede di legittimità. È stato inoltre sottolineato come la certezza e la determinabilità del costo, necessarie per la sua imputazione secondo il principio di competenza, si realizzano al momento dell’ultimazione della prestazione, la cui prova spetta al contribuente.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Deducibilità Costi: la Cassazione fa il punto su Principio di Competenza e Onere della Prova

L’ordinanza della Corte di Cassazione in commento affronta un tema cruciale per le imprese: la corretta deducibilità dei costi e l’applicazione del principio di competenza fiscale. La decisione chiarisce i limiti del sindacato della Suprema Corte sulle valutazioni di fatto compiute nei gradi di merito e ribadisce i principi che governano l’onere della prova a carico del contribuente. Il caso riguardava la deducibilità di spese per servizi di marketing, parzialmente disconosciute dall’amministrazione finanziaria.

I Fatti del Contenzioso Tributario

Una società holding si vedeva notificare un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2007, con il quale l’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di costi per circa 120.000 euro relativi a servizi di marketing. L’Agenzia riteneva tali costi non giustificati.

Il contenzioso approdava in Commissione Tributaria Provinciale, la quale accoglieva parzialmente il ricorso della società, riconoscendo la deducibilità limitatamente a una somma inferiore (circa 45.000 euro). Tale decisione veniva poi integralmente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale, che rigettava sia l’appello principale della società, sia quello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Entrambe le parti decidevano quindi di ricorrere per Cassazione: la società per ottenere il riconoscimento della totale deducibilità, l’Agenzia per negarla completamente.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato e rigettato entrambi i ricorsi, quello principale della contribuente e quello incidentale dell’Agenzia, compensando le spese di lite data la soccombenza reciproca. L’analisi della Corte si è concentrata su due aspetti fondamentali: l’inammissibilità delle censure di fatto e la corretta applicazione del principio di competenza.

Il Ricorso della Società e la Deducibilità dei Costi

La società contribuente lamentava la violazione delle norme sulla determinazione del reddito d’impresa (art. 109 TUIR), sostenendo che i giudici di merito avessero errato nel non riconoscere la deducibilità per l’intero importo. Secondo la ricorrente, il pagamento tramite assegni, anche se avvenuto prima della ricezione delle fatture, provava la spettanza del costo.

La Cassazione ha dichiarato questo motivo inammissibile. La Corte ha evidenziato come la questione della parziale inconciliabilità tra fatture e modalità di pagamento fosse un accertamento di fatto, già valutato in modo conforme sia dal giudice di primo grado che da quello d’appello. In presenza di una cosiddetta “doppia conforme”, il ricorso per Cassazione è precluso se mira a ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove, cosa non consentita al giudice di legittimità.

Il Ricorso dell’Agenzia e il Principio di Competenza

L’Agenzia delle Entrate, con il suo ricorso incidentale, contestava la violazione dell’art. 109 TUIR sotto il profilo del principio di competenza. Sosteneva che i giudici d’appello avessero erroneamente presunto che la data di ultimazione delle prestazioni di servizio coincidesse con la data di emissione delle fatture, senza un reale accertamento e senza considerare che l’onere di provare la competenza dell’esercizio spettava al contribuente.

Anche questo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha ricordato che, secondo l’art. 109 TUIR, i costi sono di competenza dell’esercizio in cui le prestazioni sono ultimate. Tuttavia, ha rilevato che i giudici di merito avevano compiuto un preciso accertamento fattuale, concludendo che, pur esistendo un rapporto professionale tra le società dal 2006, l’esistenza e la determinabilità oggettiva del costo non erano certe fino al momento dell’emissione della fattura e dei relativi pagamenti. Questo accertamento, essendo basato sul materiale probatorio e non illogico, non è sindacabile in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano sulla netta distinzione tra il giudizio di legittimità e quello di merito. La Cassazione non può riesaminare i fatti o sostituire la propria valutazione delle prove a quella dei giudici dei gradi precedenti, specialmente quando le due decisioni di merito sono concordanti. La doglianza della società è stata respinta proprio perché, dietro l’apparenza di una violazione di legge, celava una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio.

Per quanto riguarda il principio di competenza, la Corte ha confermato l’interpretazione secondo cui un costo è deducibile nell’esercizio in cui la prestazione è ultimata e il suo ammontare è determinabile in modo oggettivo. I giudici di merito avevano correttamente applicato questo principio, ritenendo, con valutazione di fatto incensurabile, che tale momento coincidesse con l’emissione delle fatture. In assenza di prove contrarie fornite dal contribuente, su cui grava il relativo onere, la decisione era immune da vizi.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici per le aziende. In primo luogo, sottolinea l’importanza cruciale di una documentazione contabile e contrattuale precisa, in grado di dimostrare non solo l’esistenza del costo, ma anche il momento esatto in cui la prestazione è stata completata. Questo è fondamentale per una corretta applicazione del principio di competenza e per la deducibilità dei costi nell’esercizio corretto.

In secondo luogo, la decisione ribadisce un principio processuale fondamentale: è estremamente difficile ribaltare in Cassazione una valutazione sui fatti quando i giudici di primo e secondo grado hanno raggiunto la medesima conclusione. Le imprese devono quindi concentrare i propri sforzi probatori fin dai primi stadi del contenzioso tributario. Infine, viene confermato che l’onere di provare tutti gli elementi che giustificano la deduzione di un costo, inclusa la sua corretta imputazione temporale, grava sempre sul contribuente.

Quando un costo per un servizio si considera di competenza di un determinato anno fiscale?
Secondo l’art. 109 del TUIR, i costi per prestazioni di servizi si considerano sostenuti, e quindi di competenza, alla data in cui le prestazioni sono state ultimate. L’esistenza e l’ammontare del costo devono inoltre essere determinabili in modo oggettivo.

È possibile contestare in Cassazione una valutazione sui fatti già confermata in primo grado e in appello?
No, di regola non è possibile. Il principio della “doppia conforme” (ora confluito nell’art. 360 cod. proc. civ.) prevede l’inammissibilità del ricorso per Cassazione per omesso esame di un fatto decisivo, quando la decisione di secondo grado conferma quella di primo grado basandosi sulle stesse ragioni di fatto.

Chi deve provare il momento in cui una prestazione di servizi è stata ultimata ai fini della deducibilità dei costi?
L’onere della prova della competenza dell’esercizio a cui un costo è imputato, e quindi del momento in cui la prestazione è stata ultimata, spetta al contribuente che intende dedurre tale costo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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